La criminale politica anti-immigrati del governo Lega&Cinquestelle

1. Basta invasione! ululano da settimane Salvini e i suoi soci di governo nella più impudente delle disinformazioni di stato. Hanno fatto ricorso a questo grido sguaiato per impedire all’Aquarius di attraccare in un porto italiano. Invasione? Quale invasione? Da gennaio a fine di maggio di questo anno sono arrivati via mare in Italia poco più di 13.000 emigranti da Africa e Medio Oriente, il 78% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Questo grazie al mitico Minniti, ministro dell’interno del governo Gentiloni, e al suo patto con le gang di ascari torturatori della costa libica. Negli ultimi 45 anni, da quando l’Italia è diventata un paese di immigrazione, non c’è mai stato un movimento migratorio in entrata così ridotto.

2. Ma un’invasione c’è davvero: è l’invasione dell’Africa da parte delle imprese, delle banche, degli eserciti europei e occidentali, di stato e privati (chiedere alla neo-ministra grillina Trenta, lei se ne intende!). È proprio questa invasione che produce milioni di emigranti. Basta salire sull’Aquarius e vedere da quali paesi vengono gli uomini e le donne a bordo: Siria, Etiopia, Somalia e altri paesi dell’Africa sub-sahariana. Sulle navi attraccate in Italia negli ultimi mesi troviamo, oltre iracheni e afghani, persone in fuga dalla Nigeria, dal Niger, dal Mali, dall’Eritrea, etc. Molti di questi paesi sono stati devastati per decenni dalle armate della superiore civiltà euro-occidentale, altri (Etiopia ed Eritrea) sono riforniti di continuo di armi e di consiglieri, quelli italiani in prima fila, affinché si facciano guerra in eterno, a beneficio dei neo-colonialisti e dei loro caporali locali.

3. Gli sciami di cavallette con cui Geova atterrì gli egiziani, sono nulla se messi a confronto con le orde degli agenti del capitale globale che si sono avventati sul corpo dell’Africa.

Solo qualche esempio all’ingrosso.

In The Changing Wealth of Nations 2018, la Banca mondiale, non esattamente un ente anti-imperialista, ha tradotto in numeri l’impoverimento dell’Africa sub-sahariana (un tempo si chiamava l’Africa nera). Risultato: in questo grande insieme di paesi il “risparmio netto rettificato” è stato, tra il 1990 e il 2015, costantemente negativo (tra il 5 e il 10% annuo) per circa 100 miliardi di dollari l’anno. È avvenuto, cioè, un saccheggio pari a circa 2.500 miliardi di dollari. Alla storica rapina coloniale di ferro, rame, carbone, oro, argento, platino, diamanti, fosfati, si è aggiunta la nuova rapina concentrata sul coltan (la guerra per il coltan tra le multinazionali statunitensi e francesi nel Congo è costata montagne di cadaveri), i metalli rari, il petrolio, il gas. Un altro strumento di espropriazione e rapina delle popolazioni sub-sahariane è il debito estero, esploso dai 13 miliardi di dollari del 1973 ai 195 miliardi del 2008, per più che raddoppiare nei dieci anni successivi, toccando quota 450 miliardi di dollari, e superando di molto il valore totale delle esportazioni.

Nel forsennato assalto neo-colonialista all’Africa un posto particolare l’ha il land grabbing, il furto di terre africane su larga scala da parte di imprese statunitensi, italiane, cinesi, di Singapore, dell’Arabia saudita, degli Emirati, etc. Nel mondo le terre oggetto di questo furto legale, acquistate o affittate per un pugno di dollari, sono oltre 68 milioni di ettari; l’Africa ha il non invidiabile primato di averne quasi la metà (più di 30 milioni di ettari, per il 64% destinati a colture non alimentari). Sono colpiti anche paesi come il Niger che è uno dei paesi più aridi del mondo, con un territorio agricolo molto ridotto. Le imprese italiane dell’agro-industria ed energetiche si sono accaparrati 1,1 milioni di ettari, per la gran parte in Romania e proprio in Africa (Gabon, Liberia, Etiopia, Senegal, Madagascar, Mozambico, Nigeria, Tanzania, Camerun, Kenia).

Il saccheggio di terre da destinare alla produzione di bio-carburanti, alle monoculture di alberi o al business della produzione di ortaggi e frutta manda in rovina grandi masse di piccoli produttori, allevatori, agricoltori, utilizzatori di foreste, pescatori, artigiani, edili, etc., che si dirigono verso le poverissime bidonville delle metropoli africane, o direttamente verso l’Europa. Come ha mostrato E. Galeano per l’America del Sud, il massimo delle “sfortune” coincide con la massima concentrazione delle ricchezze naturali in una data area. È il caso del bacino di Taoudeni, tra Mauritania, Mali e Algeria dove sembra esserci uno scrigno con dentro petrolio, bauxite, oro e – cosa rarissima in natura – un enorme giacimento di idrogeno puro al 98,8%. In zona sono piombate Total, Eni e altre loro consorelle. Violenze d’ogni genere, guerra, distruzioni e migrazioni di massa sono assicurate per decenni.

Aiutarli a casa loro? Si può sempre fare di meglio e di più, ma bisogna riconoscere che i capitali globali ce la stanno mettendo tutta. Specie e proprio le grandi imprese italiane (l’ENI in testa), che a inizio 2018 hanno trionfalmente annunciato di avere agguantato il terzo posto in Africa per massa di investimenti (11,6 miliardi di dollari), subito dopo Cina e Emirati arabi. Evviva!

4. In Italia e in Europa le élite dominanti sono perfettamente consapevoli che lo scempio da loro promosso e guidato produce e produrrà gigantesche migrazioni – la sola Africa sub-sahariana ha più di 800 milioni di abitanti, l’Africa del Nord ne ha altri 200, e non è certo al riparo dai meccanismi imperialisti di oppressione, spoliazione e super-sfruttamento del lavoro. Queste migrazioni non possono essere contenute in Africa. Anche perché nei prossimi decenni ad alimentarle provvederà anche il cambiamento climatico. È una contraddizione sociale esplosiva. Le cui cause affondano nei meccanismi automatici di funzionamento del modo di produzione capitalistico che non potranno certo essere bloccati dai governi e dagli stati che hanno il compito di proteggerli e implementarli.

Da anni la risposta italiana ed europea a questa esplosiva contraddizione è la militarizzazione delle politiche migratorie. Con il rafforzamento del controllo dei confini di terra dell’area Schengen e dei confini marittimi, la creazione e l’espansione di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, e con lo spostamento delle frontiere europee in Africa. Per l’Italia il primo passo lo fece Berlusconi nell’agosto 2008 inserendo nell’accordo con Gheddafi l’appalto alla Libia del “contrasto all’immigrazione clandestina”. In seguito si è proceduto sulla stessa strada fino agli accordi-Minniti della scorsa estate. In questo modo la costa libica è diventata la costa dei lager: 34 centri di detenzione (a tempo illimitato) gestiti dalle “autorità” libiche, cioè da milizie e bande varie, e una super-banda che prende il nome di Guardia costiera, armata e addestrata dall’Italia, finanziata con fondi europei. Dev’essere chiaro, perciò, che il governo Lega-Cinquelle si colloca lungo la strada tracciata dai precedenti governi di Forza Italia/Lega e del Pd – e che il Pd, e quelli che con il Pd hanno collaborato, in quanto critici di Salvini&Co., hanno credibilità zero. La stessa di figuri come Macron: né più né meno.

Perfino gente con metri di pelo sullo stomaco quali i funzionari dell’ONU hanno descritto i campi di concentramento libici come dei luoghi in cui vengono violati sistematicamente i “diritti umani”. Lo stupro e la tortura sono metodici, e sono nello stesso tempo mezzi di ricatto per estorcere denaro alle vittime; il cibo, sempre insufficiente, è spesso avariato; l’assenza di acqua induce a bere urina; i reclusi sono condannati a scavare fosse comuni per i morti. I kampi, lo si vede anche nell’ultimo film di Segre, sono interamente sotto giurisdizione italiana/europea, sono Italia/Europa d’oltremare. E non basta più la sola Libia. Si vuole portare le frontiere dell’Europa e i lager anche in Niger e Ciad, sempre più dentro il territorio dell’Africa. Su questo, sulla progressiva occupazione militare dell’Africa in nome del controllo delle vie dell’emigrazione, è più che probabile un accordo anche tra le contendenti Italia e Francia.

5. A che serve militarizzare ed esternalizzare le frontiere? A impedire totalmente il passaggio degli emigranti? Assolutamente no! La “chiusura” delle frontiere non è affatto completa, in nessun luogo. La moltiplicazione dei muri e dei controlli va infatti di pari passo con la proliferazione delle bande, anche transnazionali, della criminalità organizzata specializzate nell’oltrepassamento dei muri. E i kampi, come luoghi di umiliazione attraverso gli stupri, le torture, le violenze morali, le condanne a morte, le morti per inedia e malattia, servono a educare i “fortunati” che riusciranno a sopravvivere e coronare il loro progetto/sogno migratorio all’obbedienza, alla docilità, alla radicale riduzione delle loro aspettative. I muri, i campi di concentramento, i controlli ad opera dei locali kapò della Unione europea sono gli strumenti di una spietata selezione degli aspiranti all’emigrazione in Europa (privi di alternative all’emigrazione). Potranno passare solo i più resistenti, i più tenaci, i più abili, quelli con maggiori mezzi materiali a disposizione; ma è fondamentale che, attraverso questa pedagogia del terrorismo e razzismo di stato europeo esternalizzato, le centinaia di migliaia che ce la faranno tocchino il suolo italiano ed europeo con la paura conficcata nel più profondo del loro essere, prostrati, indebitati il più possibile (più muri ci sono, più si deve pagare per superarli), così che per anni e anni non dovranno pensare ad altro che a spezzarsi la schiena di fatica.

Tutto questo mostruoso meccanismo repressivo e selettivo non è fine a sé stesso, un’espressione del sadismo di chi comanda per il semplice gusto di essere sadici. Serve a forgiare forza-lavoro che sia “disposta”, per stato di necessità, ad accettare ogni forma di super-sfruttamento pur di sfuggire al rischio di essere rispedita nei luoghi di partenza. Troppo filo da torcere hanno dato finora, anche in un passato molto recente, i proletari immigrati in Italia e in Europa. Ora gli si fa una bella scuola dell’obbligo preliminare perché siano pronti ad entrare senza fiatare nell’economia sommersa e della precarietà strutturale. E si comincia con la severa pedagogia della morte: 30.000 emigranti sono stati mandati a fondo nel Mediterraneo negli ultimi vent’anni, diventato la via di emigrazione più pericolosa del mondo. Noi da tempo la chiamiamo guerra europea agli emigranti africani, medio-orientali e asiatici.

6. Un meccanismo guidato dagli stessi criteri vale anche per la storia dei porti chiusi. Anche la tanto strombazzata chiusura dei porti italiani decisa dall’asse anti-immigrati Salvini-Toninelli non è stata affatto totale. Nello stesso giro di giorni in cui l’Aquarius veniva fermata al largo di Malta con i suoi 629 crocieristi, attraccava a Reggio Calabria la nave della Guardia costiera italiana Diciotti, con 932 persone a bordo raccolti in cinque differenti operazioni di soccorso, attraccavano a Reggio Calabria la Sea Watch di una ONG tedesca con 232 persone a bordo e vicino Ragusa, a Pozzallo, la See Fuchs e un’imbarcazione italiana con altri 225 emigranti dall’Africa. Non si conoscono le ragioni di questa diversità di trattamento. Ma fa pensare che sulla Diciotti vi fossero ben 200 minori, di cui 167 non accompagnati. .. fa pensare perché ogni anno “scompaiono” in Italia migliaia di minori stranieri non accompagnati. Che ci siano organizzazioni criminali specializzate nel trattamento di questa “merce finale”?

7. Disinformazione, impostura e razzismo si tengono nella propaganda di Salvini e delle sue protesi (Fratelli d’Italia, etc.), e hanno larghissima eco nella stampa e nei media “non razzisti”, che non vi oppongono alcuna critica radicale. All’impostura della messa in scena della “invasione”, mai viene opposto un minimo di contro-informazione sull’effettiva invasione/rapina in corso in Africa. A meno che non si tratti di fare qualche puntura di spillo al concorrente francese o tedesco… in quel caso, come ai tempi del fascismo con i britannici, ci si ricorda del loro colonialismo, della loro usura ai danni degli africani, con l’intento smaccato di coprire e legittimare quelli operati da “noi”-Italia, come in un recente spot della Meloni.

Si tratta, invece, di attaccare alla radice il discorso pubblico dominante e le politiche di stato anti-immigrati che non sono affatto politiche anti-immigrazione. In specie in Italia la classe dominante vuole altra immigrazione, anche perché il paese continua a perdere popolazione (nel 2017 -105.472 unità rispetto al 2016) e la popolazione autoctona continua a invecchiare. Ma la si vuole in ginocchio, preferibilmente irregolare per pagarla di meno e poterla privare di ogni diritto (il sogno di ogni capitalista). Basta scorrere i decreti-flussi degli ultimi dieci anni: con l’eccezione del 2011, per gli ingressi regolari di immigrati/e non stagionali sono stati fissati tetti irrisori (in media intorno ai 13-14.000 l’anno), e spesso si è trattato di semplici conversioni di permessi di soggiorno, non di nuovi ingressi. Il che significa che è stata programmata la crescita degli immigrati senza permesso di soggiorno, salvo sparargli poi addosso e accusarli di ogni malefatta in quanto intrusi. E significa anche avere programmato (nelle alte sfere) la fornitura di nuova manovalanza alle imprese della criminalità organizzata. Non ci vuole molto a comprendere che il plebiscito accordato al Sud all’accoppiata Di Maio-Salvini ha anche questa componente: più repressiva è la politica governativa contro gli emigranti/immigrati, più lucrosi sono gli affari della criminalità organizzata. E si capisce anche perché la parola mafia è apparsa una sola volta, quasi per sbaglio, nel testo di un “contratto” in molte parti ridicolmente prolisso (contenuti a parte, su cui c’è poco da ridere).

8. La critica di classe delle infami politiche migratorie del governo Lega-Cinquestelle e dei governi che gli hanno aperto la strada impatta contro la volgare obiezione: “volete portare qui tutti gli 800 milioni di africani”. Al contrario! Noi marxisti siamo contrari alle migrazioni forzate, quali sono la pressoché totalità delle migrazioni contemporanee. Per rimuoverle è però necessario rimuoverne le cause. Processo molto complicato, data la loro profondità storica e il loro carattere strutturale. Per avanzare qui in questa direzione sono necessari grandi scontri sociali. Ma, tanto per cominciare, si dovrebbe azzerare immediatamente il debito estero dei paesi africani, ritirare immediatamente dall’Africa le truppe di stato e private italiane ed europee, i consiglieri militari, gli addestratori di truppe e di polizie, etc., restituire le terre razziate con il land grabbing, cessare di inondare l’Africa con i prodotti agricoli sovvenzionati europei che distruggono l’agricoltura locale, cessare di razziare il pescato dei loro mari (come avviene con il Senegal), e così via. Altro che riempire l’Africa di kampi, muri, truppe, eserciti mercenari, debiti e guerre!

9. L’anti-salvinismo democratico, alla Saviano per intenderci, non va oltre la richiesta di canali di ingresso regolari, legali, e la richiesta di regolarizzare gli irregolari, che ovviamente condividiamo, ma che richiede la lotta organizzata. In questa impostazione la “questione immigrati” resta comunque una questione a sé, mentre invece è vitale e centrale anche per la condizione e le prospettive dei lavoratori italiani. Le politiche terroristiche, repressive, discriminatorie contro i proletari emigranti e immigrati sono politiche che colpiscono anche i proletari autoctoni perché se c’è una frazione, non minima, del mercato del lavoro forzata ad accettare forme di super-sfruttamento estreme (i 2,5 euro l’ora dei braccianti africani della piana di Gioia Tauro o i 3-4 euro dei facchini degli ortomercati del Nord), l’effetto sarà di deprimere anche le condizioni di lavoro, i salari, i residui diritti di tutti gli altri lavoratori. E la mega-macchina della repressione militare e poliziesca messa in piedi contro gli emigranti e gli immigrati non è messa in piedi soltanto per loro.

Il destino dei proletari è indivisibile.

Alla costruzione di artificiali muri materiali e ideali tra gli sfruttati dell’Africa e gli sfruttati dei paesi europei, tra i proletari immigrati e quelli autoctoni, opponiamo la costruzione di ponti di lotta tra loro. La propaganda razzista batte tanto sul fatto che gli immigrati sono concorrenti sleali sul mercato del lavoro, che “ci” rubano questo e quello. Ma in questi anni i facchini della logistica, quasi tutti immigrati, con le loro irriducibili lotte, hanno dato e stanno dando una lezione su come si può tagliare le unghie ai veri, grandi ladri di tempo, di salario, di diritti, di dignità – i padroni -, si nascondano o meno dietro lo schermo delle false cooperative. Si fanno tante chiacchiere sulla integrazione o non integrazione degli immigrati, ma questo, e altri, sono ottimi esempi, per quanto ancora limitati, di integrazione nella lotta, di integrazione reciproca, di solidarietà, di unità, tra uomini e donne di tutto il mondo nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro vivo: qualunque sia il colore della pelle, la nazionalità, la religione (o non religione). È solo su questo terreno, sul terreno del ritorno alla lotta generale contro i padroni e il governo che si può bloccare quella concorrenza al ribasso che ci ha tanto indebolito, come movimento proletario, e rovesciare la tendenza ad arretrare ed arretrare ancora. Del resto, le prime risposte di lotta alla politica aggressivamente reazionaria del governo Conte sono venute proprio dai braccianti africani della piana di Gioia Tauro e dai facchini per lo più immigrati di Piacenza, dando il là ad altre risposte.

Negli ultimi anni un grande incitamento alla lotta comune, che purtroppo non abbiamo saputo raccogliere, ci è venuto dall’Africa, in particolare da Tunisia ed Egitto, con le intifade arabe del 2011-2012. Altri segnali di resistenza alla dominazione imperialista continuano ad arrivarci dalla Palestina al Sud Africa al Mali. Siamo sicuri che il processo di parziale industrializzazione di alcune aree dell’Africa li rafforzerà. Apriamo le orecchie e la mente a questi segnali. Ora più che mai, vale la direttiva storica vivissima: proletari e proletarie di tutto il mondo, uniamoci! Facciamo rotolare nella polvere i Salvini di tutta Europa e i loro mandanti.

Il cuneo rosso – com.internazionalista@gmail.com

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