Proponiamo di seguito, tradotta in italiano, l‘ultima nota di Jack Rasmus sull’allargamento e l’intensificazione dello scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina. Questo scontro e’ ora divenuto anche monetario: l’altro ieri (6 ago.) Trump si è appellato al FMI perché sanzioni e metta in riga la Cina.
Economista indipendente legato all’area Chomsky, (ma indipendente), Rasmus e’ tra quanti avevano previsto che difficilmente ci sarebbe stato un vero accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina, perché la questione della tecnologia informatica di avanguardia è troppo cruciale per entrambi i contendenti per consentire loro di mettersi agevolmente d’accordo. E ora rivendica naturalmente di avere visto giusto, e prova ad ipotizzare i prossimi passaggi, quasi obbligati, di questa contesa sul piano economico.
La sua analisi appare lucida. La traiettoria di fondo non è quella dell’accordo, ma quella dello scontro – quali che siano gli svolgimenti immediati. Ma quello che a noi interessa molto sul piano politico-sociale è la sua previsione – realistica – su chi pagherà il prezzo più alto di questo scontro: Europa e paesi “emergenti”. Dietro l’agitazione compulsiva di un Salvini per sembrare uno che si occupa delle necessità del “popolo”, e dietro la decisione, condivisa da tutto il quadro politico, di apprestare nuovi strumenti repressivi addirittura più pesanti di quelli della legislazione fascista, c’è la percezione, se non la convinzione, che stia effettivamente per arrivare lo sconquasso che Rasmus prevede, e che ci si debba preparare a neutralizzarne le conseguenze, potenzialmente esplosive.
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Durante questo fine settimana, lo yuan cinese è uscito dalla sua traiettoria e ha oltrepassato il rapporto 7 a 1 con il dollaro. Nello stesso tempo, la Cina ha annunciato che non avrebbe acquistato più prodotti agricoli statunitensi. La strategia commerciale statunitense Trump-Neocons è così appena implosa. Come previsto da chi scrive, la soglia è stata ora superata, e si è passati da una guerra commerciale tariffaria a una guerra economica più ampia tra gli Stati Uniti e la Cina, nella quale vengono ora implementate altre tattiche e misure.
Trump dichiarerà senza dubbio che la Cina sta manipolando la sua valuta. Una svalutazione dello yuan ha infatti l’effetto di neutralizzare le tariffe imposte da Trump alla Cina. Ma la Cina non sta manipolando la sua valuta. Per manipolazione si intende l’entrare nei mercati monetari globali per acquistare e/o vendere la propria valuta in cambio di dollari (l’attività di trading globale) al fine di influenzare il prezzo (il tasso di cambio) della propria valuta in relazione al dollaro. Ma la Cina non lo sta facendo, quindi non sta manipolando il valore dello yuan con manovre sul mercato delle monete. Quello che sta accadendo è che il dollaro USA sta aumentando di valore (o si prevede che lo farà), e questo aumento ha l’effetto di abbassare il valore dello yuan. Lo stesso sta succedendo anche ad altre valute, in conseguenza dell’aumento di valore del dollaro.
Qual è la ragione per cui il dollaro sta salendo? Esiste una tendenza globale [dei capitali] a mettersi in sicurezza, e questo significa acquistare titoli del Tesoro USA, che ora sono in caduta libera in termini di tassi di interesse (e in aumento in termini di prezzo). I prezzi dei titoli del Tesoro da un anno o anche meno, a 10 e 30 anni, stanno accelerando. Ma per poter acquistare buoni del Tesoro statunitensi, gli investitori stranieri devono vendere le loro valute e comprare dollari. Ed è proprio questa crescente domanda di dollari a far aumentare il valore del dollaro, che a sua volta riduce il valore dello yuan, vale a dire lo svaluta in relazione al dollaro.
In altre parole, il rallentamento dell’economia globale che è guidato dalle guerre commerciali di Trump, sta causando la fuga verso il dollaro e verso il rifugio sicuro dei titoli del Tesoro USA. Le politiche di Trump sono al centro del rallentamento globale (già in corso a causa delle tendenze fondamentali che bloccano gli investimenti e la crescita). Quel rallentamento è ciò che sta guidando verso l’alto il dollaro e, a sua volta, abbassando il valore dello yuan. Sono dunque le politiche di Trump che stanno “manipolando” lo yuan.
La Cina, ovviamente, sta permettendo che la svalutazione avvenga. In precedenza, entrava nei mercati monetari per acquistare lo yuan e impedirgli di svalutarsi. Ora sta solo permettendo che il processo avvenga. Questa è la risposta della Cina all’imposizione da parte di Trump di ulteriori dazi del 10% su 300 miliardi di dollari di importazioni cinesi la scorsa settimana. Segnala che la guerra “commerciale” tra Stati Uniti e Cina è andata ormai oltre le tariffe, e sta diventando una guerra economica.
Con le recenti azioni di Trump, e vista la risposta della Cina, sembra ancora più improbabile di prima che si possa arrivare ad un accordo commerciale entro il 2019. Cosa farà Trump ora? Se nella contrattazione rimane fedele al comportamento tenuto in passato coi partner che lo affrontano [senza cedere le armi], cercherà di trovare un modo per “alzare la posta”, e intraprendere ulteriori azioni. Potrebbe, per esempio, intensificare il suo attacco a Huawei e alle partnership e agli investimenti di altre società cinesi negli Stati Uniti. A sua volta, la Cina potrebbe imporre restrizioni alle società statunitensi che operano in Cina (vale a dire intervenire sulle licenze, fare più ispezioni doganali, imporre più barriere non tariffarie). Potrebbe scatenare un boicottaggio delle merci americane in Cina. Potrebbe ridurre l’offerta di esportazione di “terre rare”, un fattore di importanza cruciale. Potrebbe sospendere la sua precedente decisione di consentire alle società statunitensi che operano in Cina di possedere il 51% di imprese cinesi. E poi ha la possibilità di ricorrere a quella che viene chiamata la sua “opzione nucleare”: ridurre drasticamente o cessare del tutto di acquistare titoli del Tesoro USA e quindi riciclare dollari USA negli Stati Uniti. Se ciò dovesse accadere, il governo degli Stati Uniti dovrebbe prendere in prestito di più da altre fonti per compensare il deficit di bilancio annuale. Ciò aumenterebbe il debito nazionale ogni anno ancora più velocemente di quanto non sia già ora in crescita; ora ammonta a più di 22 trilioni di dollari e si prevede che quest’anno aumenterà di più di un 1 altro trilione [ovvero 1.000 miliardi di dollari]. In caso di recessione, i deficit e il debito potrebbero aumentare fino a 1,7 trilioni di dollari, secondo l’USB Congressional Budget Office [agenzia federale che fornisce al Congresso statunitense informazioni sul bilancio dello stato e sull’economie].
Ma con un aumento della domanda di dollari per acquistare titoli del Tesoro, il Ministero del Tesoro e la Fed statunitensi avrebbero maggiori difficoltà a vendere titoli del Tesoro in misura corrispondente al calo degli acquisti in Cina, dato che i prezzi del Tesoro stanno aumentando e i tassi di interesse stanno diminuendo.
In breve, la guerra commerciale USA-Cina, il rallentamento dell’economia globale (ora in procinto di riversarsi sull’economia americana), il deficit di bilancio USA e i tassi di interesse della Fed sono tutti fattori correlati. Le politiche di Trump stanno creando scompiglio economico su tutti questi fronti.
Quali sono alcune delle probabili risposte della Cina alla strategia di scontro duro di Trump guidata dai neocons statunitensi da maggio? I neocons avranno raggiunto il loro obiettivo, che è sempre stato quello di affondare i negoziati con la Cina, a meno che la Cina non avesse accettato di capitatolare sulla questione della tecnologia. Dietro le tariffe, dietro la guerra commerciale, c’è sempre stata la guerra sulle tecnologie di prossima generazione (cybersecurity, 5G e Intelligenza Artificiale). Ora è chiaro che la Cina non capitolerà; quindi nessun accordo commerciale è possibile fino a quando i neocons statunitensi manterranno il controllo dei negoziati commerciali come, ad oggi, continuano a fare. I neocons useranno ora la forte risposta della Cina alle ultime tariffe di Trump per convincere Trump a prendere una linea ancora più dura contro le società cinesi negli Stati Uniti e all’estero insieme con gli alleati statunitensi più ossequiosi come il Regno Unito e il Canada. Lo staff della campagna per la rielezione di Trump vedrà tutto ciò come un’opportunità per iniziare a incolpare la Cina per il rallentamento dell’economia americana. I temi di “China the currency manipulator” [Cina, manipolatrice di valuta] e “China the source of US oppioids” [Cina, fonte degli oppiacei] potrebbero diventare il mantra della Casa Bianca.
Le grandi multinazionali e le multinazionali statunitensi saranno ulteriormente motivate a fare pressione su Trump affinché torni al tavolo delle trattative e si arrivi ad un accordo. Ad oggi, tuttavia, non hanno avuto successo nell’influenzare Trump e i negoziati commerciali. Il Pentagono, il complesso industriale-militare e le industrie belliche statunitensi sono invece ascoltate da Trump, e stanno gridando: “capitolazione tecnologica della Cina, o nessun accordo”.
A livello globale, è probabile che le economie dei mercati emergenti siano le grandi perdenti a causa del peggioramento delle relazioni commerciali tra Trump e la Cina. Le loro valute diminuiranno di valore come lo yuan. Ma questi paesi hanno molte meno risorse della Cina per superare la crisi. Il calo dei valori delle valute nelle economie dei mercati emergenti comporterà una maggiore fuga di capitali dalle loro economie, capitali alla ricerca di un “rifugio sicuro” nei titoli del Tesoro USA, in altre valute (ad esempio lo yen giapponese come “carry trade”), o nell’oro. E questa fuga di capitali rallenterà i loro investimenti interni. Le loro banche centrali aumenteranno quindi i tassi di interesse per rallentare la fuga dei capitali all’estero, e ciò rallenterà ulteriormente le loro economie interne. Il calo di valore delle valute comporterà anche un aumento dei prezzi dei beni di importazione e quindi un aumento dei livelli di inflazione interna, poiché è prevedibile che le loro economie rallentino contemporaneamente.
Il deterioramento commerciale tra Cina e Stati Uniti probabilmente aggraverà i conflitti inter-capitalisti, come sta già iniziando a manifestarsi nell’attuale controversia commerciale tra Corea del Sud e Giappone.
Il peggioramento della situazione USA-Cina avrà anche un effetto negativo sull’economia europea, che è sul punto di cadere presto in recessione. Essendo l’Europa più dipendente dalle esportazioni, in particolare la Germania, il deterioramento del commercio globale accelererà il rallentamento dell’Europa. Inoltre la crescente probabilità di una Brexit “dura” in ottobre, quasi sicuramente farà precipitare l’Europa in un’altra grave recessione.
Con il rallentamento e la contrazione dell’economia globale, è prevedibile che i mercati finanziari, già in forte calo rispetto ai massimi storici, diventino pericolosamente instabili. In cima alla lista dei mercati finanziari “fragili” ci sono i prestiti bancari in sofferenza in Europa, in Giappone e soprattutto in India. Poi i mercati obbligazionari basati sul dollaro in America Latina. Negli Stati Uniti, le obbligazioni spazzatura, le società di investimenti a tripla B (anche quelli spazzatura) e i prestiti a leva (ovvero i prestiti spazzatura) sono candidati a produrre instabilità finanziaria dopo la recessione.
In breve, Trump ha fatto un pasticcio nella politica economica degli Stati Uniti, e la Fed e la politica monetaria non possono “salvarlo”. I recenti (e futuri) tagli dei tassi di interesse non avranno praticamente alcun effetto sulla economia reale degli Stati Uniti perché questa sta rallentando. E Trump ha sostanzialmente negato la politica fiscale [rendendola inefficace in chiave anti-ciclica]. I suoi massicci tagli fiscali del 2018 (4 trilioni di dollari nel prossimo decennio) hanno avuto un ruolo primario nei disavanzi del budget annuale statunitense da 1 trilione di dollari, che da ora in poi, anno dopo anno, peseranno sull’economia degli Stati Uniti per un altro decennio [vedi anche qui]. Il debito nazionale degli Stati Uniti arriverà a 34 trilioni di dollari e, secondo il CBO, gli interessi sul debito saliranno da soli a 900 miliardi di dollari l’anno entro il 2027. Quindi la politica fiscale è ora finita in un vicolo cieco. Enormi deficit e debiti ostacolano l’azione politica per aumentare la spesa pubblica come via d’uscita dalla crisi di Trump.
Negli ultimi dieci anni, e anche più, la politica statunitense è consistita nell’utilizzare sia la politica monetaria che la politica fiscale per sovvenzionare i redditi da capitale [profitti e relativo tasso] per un importo nell’ordine dei trilioni di dollari l’anno, per ogni anno. In passato si usavano la politica monetaria (Fed) e quella fiscale per “stabilizzare” l’economia in caso di recessione o di inflazione. Ora, non è più possibile. Un decennio e più di utilizzo di queste politiche per sovvenzionare i redditi da capitale ha portato a rendere queste politiche inefficaci per la stabilizzazione economica. Gli Stati Uniti sono ora diretti verso una grave recessione, senza “munizioni monetarie”, né munizioni fiscali a disposizione per cercare di stimolare l’economia mentre entra in recessione. Questo non è mai successo prima. Ma le sue conseguenze potrebbero essere enormi – per la profondità e la durata di qualsiasi recessione a venire.
5 agosto 2019
Jack Rasmus è autore del libro “The Scourge [Il flagello] of Neoliberalism: US Policy from Reagan to Trump”, Clarity Press, 2019. Il suo blog è https://jackrasmus.com, sito web è www.kyklosproductions.com, twitter @drjackrasmus.