Silvia Romano e il Corano-Virus, di S.

Non conosco Silvia Romano, ma, specie a sentire certe biliose cariatidi reazionarie, dev’essere una ragazza piena di difetti. Non c’è niente di logico nelle sue scelte. Invece di lasciarsi pian piano trasformare in una macchina da consumi sexy e remissiva, se ne è andata a guardare in faccia la realtà della tragedia africana, quella con cui ci ammorbano all’ora di pranzo facendoci vedere bambini stremati che a tre anni pesano come uno nostro di tre mesi, e va sempre a finire che ci chiedono soldi.

Che credeva di fare, di salvare il mondo? Vedo che stava da sola in un villaggio africano di non so dove, e nelle foto sorrideva, senza particolari rimpianti per la movida dei navigli e l’apericena milanese.

Cosa la sosteneva? Il contatto umano che era riuscita a creare? Il poter guardare negli occhi quelle donne e bambini senza girare lo sguardo dall’altra parte? La sensazione di respirare aria pulita, ancorché rovente? Un’idealista vera che, mi viene da pensare, fa anche comodo, per dimostrare che noi occidentali siamo in fondo delle brave persone, e gli italiani, in particolare, brava gente.

La cara ragazza – mi spiegano i vari Feltri, ammiccanti – non sapeva che stava giocando col fuoco. Alla fine, come nelle canzoncine, “salta fuor lupo dal bosco / con la faccia nera nera …” chissà che spavento per la poveretta.

C’è anche il politically correct dei liberal più o meno progressisti. Silvia è una donna libera, che deve essere libera di fare le sue scelte, era prigioniera e ora è libera, viva la libertà, salviamo la privacy, ecc. Come se – mi viene ancora da pensare, e chissà che non l’abbia pensato anche Silvia – la scelta individuale non si dovesse sempre e comunque misurare con un sistema di rapporti sociali, sicché anche, o forse soprattutto, in un remoto villaggio africano, non puoi prescindere dalla realtà globale che ti circonda e condiziona.

Comunque, poi Silvia è caduta nelle grinfie dei suoi sequestratori, che hanno visto in lei un bel sacco di soldi. Cos’è successo nella sua testa durante questa drammatica esperienza? Se lo chiedono in molti, perché di fronte alle sue vesti somale e alla sua dichiarazione, al ritorno, di essersi convertita all’Islam, si è quanto meno azzoppato l’asino delle libertà individuali: per alcuni, più destrorsi, nel magnifico Occidente il singolo può scegliere tutto tranne l’Islam; altri, più progressisti, difendono formalmente la libertà di abbracciare qualsivoglia religione, ma non riescono a nascondere il loro imbarazzo per questa scelta.

E’ infatti una bomba ad orologeria. Altro che coronavirus. Siamo davanti al Coranovirus, molto, molto più letale del suo quasi omonimo che ci sta facendo impazzire da mesi, e per il quale non esiste il vaccino, poiché, a quanto pare, quello finora utilizzato da destre e sinistre istituzionali, del razzismo e dell’islamofobia sparsi a piene mani qui contro gli immigrati e le immigrate, e delle guerre di rapina e devastazione in Medio Oriente, sembra essere stato addirittura, in certi casi, controproducente.

Avanziamo un’ipotesi. Durante la prigionia e, chissà, forse anche prima, Silvia ha letto il Corano e ha visto rappresentato davanti ai suoi occhi, non l’ideologia politico-religiosa dei rapitori, ma un messaggio morale – messaggio che le è parso interpretare quel moto di fratellanza universale che ha animato anche la sua scelta di vita. Al tempo stesso, forse, ha avuto davanti agli occhi le masse di diseredati e sfruttati che aveva voluto aiutare e che a quelle stesse parole fanno riferimento. Riuscendo a distinguere le scelte dei singoli – i suoi sequestratori – dall’insieme delle popolazioni, islamiche e non, e dalle loro profonde aspirazioni alla giustizia, alla pace e ad una vita dignitosa, Silvia ha buttato all’aria, oggettivamente, anni di tentativi di divisioni e criminalizzazione nella nostra società, contro i quali aveva probabilmente provveduto a dotarsi di efficaci anticorpi.

Si può anche discutere dell’efficacia della sua scelta originaria di ieri e della sua conversione di oggi ai fini degli obiettivi di riscatto sociale che queste scelte sembrano evocare (abbiamo, ovviamente, le nostre opinioni in proposito, e non collimano con quelle di Silvia Romano). Ma il coraggio dimostrato di non temere il Coranovirus, è stato davvero un colpo da maestra.

Brava Silvia!

 

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