Libano. Presa di posizione della Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Contro gli avvoltoi occidentali, che cercano di profittare della tragedia libanese.

Pieno sostegno al movimento di massa in rivolta, che ha abbattuto il governo Diab e vuole mettere fine al regime confessionale.

Le terribili esplosioni del 4 agosto hanno precipitato il Libano, già sconvolto da una crisi economica devastante, nella tragedia. Che si sia trattato di un criminale attacco israeliano, come è possibile, oppure di criminale incuria delle autorità libanesi, una cosa è certa: dall’istante dopo le esplosioni, gli avvoltoi occidentali si sono fiondati a Beirut per banchettare sui suoi lutti. Uno per tutti, E. Macron, a rappresentare la vecchia potenza coloniale francese e le altre potenze occidentali che bramano di riportare il Libano sotto il loro dominio. La conferenza internazionale-lampo allestita da Macron insieme con Trump, Michel (per l’UE), Conte per l’Italia, Sanchez per la Spagna, il FMI, la BM, e cioè i massimi rapinatori esterni delle ricchezze libanesi, si è conclusa con un diktat: vi diamo 250 milioni di euro, ma dovete fare subito le “riforme” che vi dettiamo noi, svendere quel che resta da svendere del Libano e privatizzare/‘liberalizzare’ tutto. Sul piano geo-politico questa iniziativa, di cui è parte integrante Israele, tende anche a marginalizzare Hezbollah e sottrarre spazio all’asse Siria-Iran-Russia.

Ma in campo, in Libano, c’è anche un altro soggetto: il movimento di massa ribelle scoppiato il 17 ottobre dello scorso anno. Esso è tornato a manifestare in questi giorni per la “rivoluzione” con una rabbia intensificata attaccando le sedi del governo e del potere bancario, e ha imposto infine dalla piazza le dimissioni del governo “corrotto e incapace” di Diab. Ancora una volta il moto internazionale delle masse oppresse e sfruttate del mondo arabo ha mostrato al mondo intero la sua volontà, la sua capacità di battersi contro i propri governi e regimi, e ci chiama al sostegno incondizionato e alla controinformazione necessaria per contrastare le visioni deformate e deformanti degli avvenimenti in corso in Libano e in tutta la regione.

La grande forza del movimento di rivolta libanese è stata, fin dal suo inizio, quella di indicare la necessità di mettere fine al regime confessionale-cantonale ereditato dal colonialismo francese, architettato per conservare divise le classi lavoratrici libanesi secondo arcaici confini religiosi o etnici, e – all’occorrenza – scagliarle le une contro le altre. Un regime che ha favorito una molteplicità di cricche di potere parassitanti sul corpo degli sfruttati e una ristretta, ma ricchissima borghesia, gonfiatasi anche con i proventi del debito di stato, che ha investimenti in diversi paesi esteri e ha tessuto fitti rapporti con le monarchie del Golfo e i circoli del capitale globale.

La debolezza del movimento libanese è nell’assenza di una chiara prospettiva per il dopo – il dopo la cacciata dell’attuale nomenklatura politica che non ha saputo evitare il pauroso degrado delle condizioni di vita e di lavoro della grande maggioranza dei libanesi, e il precipitare nell’emarginazione, nella miseria e nella fame della grande maggioranza dei profughi palestinesi e siriani.

L’abbiamo già visto ovunque hanno attecchito i partiti “populisti”, inclusa l’Italia: il grido “se ne vadano tutti all’inferno” (i membri della “classe politica”), benché sia sacrosanto, non basta ad aprire una nuova strada che corrisponda agli interessi delle classi lavoratrici, e conduca alla sola rivoluzione con cui possono liberarsi: la rivoluzione sociale anti-capitalista. Per centrare questo obiettivo, servono al movimento di lotta un chiaro programma politico e la corrispondente strategia e organizzazione politica, armi necessarie per contrastare gli agguerriti e scaltri nemici interni ed esterni di ogni cambiamento che sia realmente, non solo a parole, rivoluzionario – in Libano tra tali ostacoli c’è anche Hezbollah, cresciuto da un lato con la coraggiosa resistenza ad Israele, dall’altro con la gestione clientelare e settaria della povertà, risolutamente contrario a porre fine al regime confessionale.

Gli avvoltoi occidentali provano a profittare proprio del lato debole del movimento. Loro, i progettisti e i tutori del sistema confessionale-cantonale detestato dalle piazze in rivolta, si travestono da paladini delle richieste del movimento di lotta. Macron, il violento repressore dei gilets jaunes, il portaborse dei banchieri, il fornitore dei gas lacrimogeni usati dalla polizia libanese, che si traveste da sans-coulotte amico dei dimostranti che si battono con le forze della repressione e danno fuoco alle banche, è credibile quanto Netanyahu, lo spietato carnefice dei palestinesi e il nemico giurato della liberazione dei popoli arabi, che fa illuminare Tel Aviv con i colori della bandiera libanese e offre aiuti e l’intervento della propria intelligence per fare chiarezza sull’accaduto! Non a caso il movimento ha subito respinto con decisione le avance di Macron e quelle, altrettanto provocatorie, di Netanyahu.

Non per questo, però, diventano credibili, come amici del movimento di lotta e dei lavoratori libanesi, i concorrenti dei neo-colonialisti d’Occidente: la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan, l’Iran degli ayatollah iper-borghesi che proprio in questi giorni reprimono gli scioperi degli operai dell’industria petrolifera, o la prudente Cina di Xi Jinping che si dice pronta a “farsi carico” della ricostruzione (degli affari della ricostruzione). Nessuna di queste forze statali intende intaccare i meccanismi di funzionamento del sistema capitalistico globale che in ogni crisi stritolano per primi i piccoli paesi dominati, e anzitutto i loro proletari e semi-proletari. Nessuna di esse è pronta a condonare il debito estero che strangola i libanesi.

La crisi globale del 2008 generò le condizioni per le grandi sollevazioni arabe del 2011-2012, poi schiacciate nel sangue o disperse dalla controffensiva delle borghesie arabe minacciate, con il sostegno di tutto l’establishment imperialista. Questa nuova e più profonda crisi globale, che porta con sé una nuova crisi petrolifera, si abbatterà con ancor maggiore violenza sull’intero mondo arabo e sul Medio Oriente. Questa area è gravida di sollevazioni rivoluzionarie, come si è visto dal 2018 in poi in Sudan, Algeria, Iraq, Iran, Libano, e con le nuove irriducibili proteste dei palestinesi di Gaza. Queste sollevazioni dovranno portare a termine gli obiettivi che già si sono dati – in Libano, ad esempio, la distruzione del sistema confessionale-cantonale che soffoca la vita dei lavoratori e della società, e più in generale, ovunque, il superamento delle pestifere divisioni su basi religiose e la conquista delle libertà fondamentali per le classi lavoratrici, a cominciare dalla libertà di sciopero e di organizzazione. Ma, come si vede in questi giorni con il ritorno di una rovinosa crisi sociale e politica in Tunisia, dovranno anche fare i conti con le illusioni di poter risolvere i propri problemi con un semplice ricambio del personale di governo, lasciando intatti i meccanismi della dominazione imperialista e la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Il recente movimento libanese ha cominciato a prendere forma nel 2012 con la lotta degli insegnanti e delle domestiche immigrate, e la nascita di Comitati sindacali di base che li organizzavano; si è poi interrato per riesplodere con altra ampiezza e tono politico il 17 ottobre del 2019, unendo al rifiuto del sistema settario una serie di rivendicazioni fiscali, ambientali, sociali (contro il carovita), e mettendo capo allo slogan “il popolo vuole abbattere il regime”, “rivoluzione”. In esso sono tutt’oggi mescolate, e quasi indistinguibili, le istanze di un giovane proletariato in larga parte senza lavoro e senza prospettive e quelle di un’ampia parte delle classi medie precipitata improvvisamente nel bisogno.

Questo magma ribollente di energie di più classi sociali ha davanti a sé sfide difficili sia perché tutte le potenze globali e regionali vogliono ingerirsi nelle vicende del Libano, sia perché le vecchie, e più o meno screditate, cricche confessionali non cederanno il passo facilmente. Soluzioni tipo un governo tecnico (i “tecnici” sono quasi sempre i portavoce del capitale), o un governo delle “classi professionali” ispirato al modello-Sudan, non sono in grado di dare alcuna soddisfazione ai bisogni vitali delle masse oppresse. Ci vorrà ben altro! I proletari e le proletarie che oggi sono in prima fila nelle piazze, la forza d’urto del movimento, quelli e quelle che si battono con la polizia e l’esercito, sono chiamati a diventare anche la guida politica del movimento stesso. Sono chiamati a respingere le sirene provenienti dai vecchi colonialisti, lupi mannari travestiti da agnelli. E a collegarsi con le risorgenti lotte di massa nel mondo arabo e medio-orientale, perché non c’è una soluzione rivoluzionaria della questione libanese presa a sé stante senza una completa rimessa in discussione di tutto l’ordine capitalistico internazionale nella regione – e nel mondo.

Quanto a noi rivoluzionari internazionalisti, la nostra posizione si può condensare in questo modo:

  • Pieno sostegno alla lotta degli oppressi e degli sfruttati libanesi, alla lotta delle donne libanesi che sono in prima fila nelle piazze, e alla continuazione di questa lotta fino alla vittoria contro l’attuale regime confessionale e i suoi padrini internazionali;
  • Immediata liberazione di tutti i manifestanti arrestati;
  • Imperialisti, giù le mani dal Libano e dal movimento di rivolta libanese! – riferito in primo luogo alle banche e alle imprese italiane (Intesa, Eni, Ansaldo, Maltauro. Cooperativa edile Appennino, etc.), al governo Conte, alle truppe italiane in Libano, di cui chiediamo il rientro immediato;
  • Immediata cancellazione del debito estero libanese; denuncia delle clausole strangolatorie che i paesi “donatori” vogliono imporre alle classi lavoratrici e alla nazione libanese;
  • Unità dei proletari di tutto il mondo arabo e medio-orientale nella lotta contro i loro regimi, e i loro protettori europei, yankee, israeliani e russi!

Proletarie e proletari di tutti i paesi del mondo, uniamoci! Uniti, siamo invincibili!

11 agosto 2020 – Tendenza internazionalista rivoluzionaria

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