Determinati e uniti verso lo sciopero del 29 gennaio, e oltre! – Tendenza internazionalista rivoluzionaria

L’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi di sabato 16 gennaio (purtroppo ancora telematica) è riuscita in pieno. Ed è stata un’ottima base di lancio per lo sciopero generale del 29 gennaio e per il successivo cammino. Per il numero e la qualità dei partecipanti. Per la molteplicità e varietà degli interventi. E soprattutto perché vi si è manifestata un’unanime determinazione a impegnarsi senza remore di sorta per il massimo esito possibile dello sciopero e della giornata del 29, superando le perplessità emerse nella precedente assemblea di fine novembre circa la tempistica delle iniziative di lotta.

Un forte sentimento unitario di lotta al padronato e al governo si era già respirato nell’iniziativa del 27 settembre a Bologna. Ma passare dalle intenzioni all’azione è sempre complesso. E lo è specie in questi tempi di bassissima conflittualità. Infatti si è dovuto procedere a confronti, chiarimenti e inevitabili decisioni per raggiungere, con l’assemblea di sabato, lo slancio necessario a lavorare uniti in un’area piccola, ma non infima, del mondo del lavoro produttivo e salariato perché l’obiettivo che ci siamo dati sia raggiunto.

I temi di fondo sono stati posti con chiarezza nella relazione introduttiva tenuta da Peppe D’Alesio per il SI Cobas, che resta, senza nessuna pretesa di esclusivismo, il motore di questa iniziativa con la forza trainante del proletariato della logistica, in larga parte immigrato, esempio da anni di combattività – non si deve dimenticare che nel marzo scorso, tra i sindacati “di base”, solo il SI Cobas e l’Adl-Cobas diedero l’indicazione di astenersi dal lavoro, mettendosi in quarantena per 15 giorni.

La prima questione messa subito a fuoco è stata quella del governo Conte bis. Perché se è ovvio che l’arma dello sciopero venga impugnata contro il padronato, non è però affatto scontato: 1) che essa sia usata – dove sono, oggi, gli scioperi veri?; 2) che sia usata contro un governo che oltre le dirigenze di Cgil-Cisl-Uil, anche una larga parte delle dirigenze del “sindacalismo di base”, considerano un governo amico, o, almeno, il meno peggio possibile.

Va preso atto, invece, che – come avevamo sostenuto all’atto della sua costituzione, noi della Tendenza internazionalista rivoluzionaria – il governo Conte bis ha saputo svolgere abilmente, già prima e poi durante la pandemia/sindemia, la sua funzione di organo esecutivo al servizio della classe capitalistica, assicurando, a tutti i costi, la continuità delle attività produttive di profitti. Con il risultato di portare l’Italia nelle posizioni di testa della classifica mondiale dei morti di covid – per avere obbligato tanti lavoratori e lavoratrici, che ogni giorno sono stati al lavoro nelle fabbriche, nei magazzini, nelle strutture ospedaliere, nei supermercati, a contagiarsi (in tanti casi, a morire) e funzionare, contro la propria volontà, da vettori di contagio. Bisogna essere volontariamente ciechi per non vedere, poi, che il governo in carica non si è neppure accontentato di generare una simile catastrofe sanitaria; ha aggiunto a ciò, un’azione sistematica di controllo capillare e di repressione delle poche autentiche iniziative di lotta avvenute in questo anno, e proseguito con l’identico cinismo del governo Lega-Cinquestelle la guerra contro gli emigranti e gli immigrati, dentro e fuori i confini nazionali.

Se il tentativo di defenestrare Conte operato in queste ore da Renzi risponde, si può presumere, al malcelato desiderio della grande borghesia di nominare un proprio comitato d’affari “tecnico” e perfettamente funzionale alla necessità di liberarsi dalle pastoie dei riti e delle mediazioni parlamentari (ossia il più volte paventato governo-Draghi), queste mire si trovano a fare i conti con la forza d’attrito di un quadro istituzionale che, soprattutto all’indomani del referendum sulla riduzione dei parlamentari, vede prevalere la logica dell’attaccamento allo scranno e della difesa di un pulviscolo di interessi corporativi e settoriali: a ulteriore dimostrazione che l’azione della struttura del capitale sulla sovrastruttura statuale non è mai il prodotto automatico di semplici meccanismi di causa ed effetto, quanto la risultante di una reciproca interazione tra questi due fattori. Ma resta fermo che il conflitto aperto da Renzi (e da chi probabilmente gli sta dietro) non può in alcun modo far mutare il giudizio sul governo Conte che del resto, per sopravvivere, già sta aprendo alle istanze e al personale del centro-destra, e sarà più di prima arrendevole verso le pretese di Confindustria e del sistema bancario.

La relazione iniziale e l’assemblea – pur confrontandosi con la pandemia e dandosi il compito di discutere quanto prima a fondo, criticamente, anche della questione dei vaccini – non hanno inquadrato la crisi in corso come se fosse una mera crisi sanitaria o ecologica. La pandemia è stata solo un formidabile, in parte inatteso, fattore di innesco, precipitazione e complicazione di una crisi economica incipiente di portata ciclopica, che sta provocando anche la fine definitiva dell’ordine mondiale di Yalta, ed è l’anticamera di conflitti e scontri di ogni tipo tra Stati Uniti, Cina, Europa ed altre grandi e medie potenze capitalistiche. La percezione dell’enorme profondità di questa crisi e del fatto che i passaggi più devastanti di essa sono ancora davanti a noi ha percorso i lavori dell’assemblea – in cui è stata ripetutamente evocata l’imminente fine del blocco dei licenziamenti, e denunciato il silenziamento della sorte di 800.000 precari rimasti senza lavoro.

Se dunque, davanti all’annuncio di una terza ondata data per ‘inevitabile’, l’auto-difesa attiva della salute sui luoghi di lavoro e nella società è stata riconfermata come il primo, permanente impegno di lotta, la denuncia dell’uso padronale dell’emergenza ha riguardato anche la messa in mora dei contratti, a cominciare da quelli dei metalmeccanici, della logistica, del pubblico impiego. Nel mentre la lotta per i contratti è congelata, si intensificano nei luoghi di lavoro la pressione ad accrescere la produttività e le misure volte a ridurre i già ridottissimi margini di agibilità sindacale e politica, fino ad arrivare a punire quanti osano mettere in discussione l’obbligo di fedeltà alla “propria” azienda (che sia privata o pubblica).

Lo sforzo collettivo di estendere lo sciopero dalla logistica, dove è prevedibile che avrà un seguito rilevante (vista l’ottima riuscita dello sciopero del 18 dicembre), ad altri settori produttivi e al mondo studentesco, ha caratterizzato l’assemblea di sabato dall’inizio alla fine. C’è una forzatura, è vero, nella proclamazione dello sciopero del 29 come “sciopero generale”. Ma è dovuta alla necessità/decisione di dare un punto di riferimento all’intero campo della sofferenza sociale (per usare l’espressione di un compagno immigrato) che fino ad ora ha trovato modo di esprimersi solo in minima parte anche per l’assenza di un polo di classe aggregante capace di indicare ai milioni di proletari che sono e saranno colpiti o travolti dalla crisi la strada della lotta quale unica alternativa alla resa incondizionata ai diktat del padronato. E presentare un programma e una prospettiva di lotta anti-capitalista. Perché non si tratta solo di difendersi in modo organizzato qui e ora; si tratta di prepararsi ai successivi passaggi della crisi, e alla controffensiva. Non si tratta solo dell’arroganza di questa Confindustria e dell’azione infida di questo governo; si tratta, in prospettiva, di regolare i conti con questo sistema sociale, con questo modo di produzione e riproduzione dei rapporti sociali che giorno dopo giorno mette in mostra la sua insostenibile nocività per la classe lavoratrice e per l’intera umanità.

Se i detrattori del Patto d’azione e dell’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi avessero orecchie per intendere, avrebbero potuto sentire sabato come la necessità di una lotta generale di tutta la classe proletaria contro l’intera classe sfruttatrice e il suo apparato di dominio sia emersa naturale, e in una forma politica concreta, in diversi interventi operai (e non solo). Altrettanto si può dire per la dimensione internazionale e internazionalista dell’iniziativa di classe, invocata con forza nel primo intervento dell’assemblea da Mimmo De Stradis del Coordinamento FCA, iscritto USB. Davanti alla nascita del colosso Stellantis dalla fusione tra FCA e Peugeot, la sola risposta efficace esige, invece che la chiusura in ghetti aziendalisti, la massima apertura alla dimensione internazionale dell’organizzazione operaia, contro ogni forma di concorrenza fratricida tra operai di diverse nazionalità e/o di diversi stabilimenti.

Nelle svariate decine di interventi che hanno animato l’assemblea senza momenti di fiacca, è inoltre emersa una vera e propria inter-categorialità, un dato che, a partire dall’assemblea di Bologna, si può considerare ormai consolidato. Questa non è stata l’assemblea dei facchini e dei driver della logistica più qualcun altro sparso qua e là. Hanno preso la parola lavoratori e lavoratrici metalmeccanici, del settore alimentare, chimico, multiservizi, della sanità, della scuola, dello spettacolo, delle cooperative sociali, disoccupati e, con interventi sentiti ed efficaci, diversi giovani studenti già protagonisti di iniziative di lotta. In un contesto del genere sono cadute quanto mai appropriate le considerazioni del portavoce storico del Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nei territori (di Sesto San Giovanni), Michele Michelino, che ha sottolineato come dare seguito alle aspettative di unità delle lotte e nelle lotte su un tracciato e un programma di classe sia oggi fondamentale: il vero banco di prova che divide i parolai dai militanti.

Lo stesso dicasi per l’integrazione in questa iniziativa delle lavoratrici combattive, non come semplice forza di riserva, e delle tematiche specifiche dell’oppressione di genere. Questo è storicamente un punto dolente del vecchio movimento operaio. Lo è altrettanto per il movimento femminista così come si è materializzato negli ultimi anni in Italia, con la decisione di marginalizzare le tematiche concernenti i luoghi di lavoro e lo sfruttamento del lavoro. Nell’assemblea di sabato, invece, una pluralità di interventi di lavoratrici, da Palermo a Milano, ha dato voce non solo alle lotte e alle iniziative in corso, ma anche alla necessità di lavorare in modo sistematico perché siano rimossi i tanti ostacoli che oggi si frappongono alla piena partecipazione, da protagoniste, delle lavoratrici alla vita del movimento proletario e alla direzione delle lotte.

Lo sciopero del 29 gennaio, e le manifestazioni che ad esso si accompagneranno quel giorno – è stato giocoforza rinviare la mobilitazione nazionale del 30 gennaio a Roma – si presentano, perciò, come iniziative “di avanguardia”, ma sotto nessun aspetto come iniziative avanguardiste. Questo perché, consapevoli dei propri limiti oggettivi e soggettivi, intendono lanciare un messaggio pressante alla massa degli sfruttati ad organizzarsi in vista del vicino, e inevitabile, attacco frontale del capitale e delle sue istituzioni politiche. Siamo già in ritardo e dovremmo stringere i tempi rilanciando sulla scala più ampia possibile l’invito alla lotta e all’unità nelle lotte al di là delle sigle sindacali, rivolgendoci anche alla larghissima sezione delle nuove generazioni di salariati che sono rimaste finora estranee ad ogni forma di organizzazione.

Lo sciopero del 29 gennaio va messo in prospettiva, come ha suggerito il coordinatore del SI Cobas, Aldo Milani, guardando oltre il 29, e molto oltre quanti vi potranno essere direttamente coinvolti. La sua proposta, ripresa nelle conclusioni di Tiziano Loreti, è mettere in cantiere già da ora una serie di iniziative che, nel dare continuità allo sciopero di questo fine mese, allarghino il raggio dell’intervento dell’Assemblea e del Patto d’azione: l’8 marzo per esprimere e rafforzare la necessità di rispondere con la lotta agli attacchi che le lavoratrici stanno subendo nella crisi, il 17 aprile per un’assemblea nazionale che faccia il punto sulla pandemia e la lotta per la difesa della salute sui luoghi di lavoro e nella società, il 1° maggio, il 2 maggio per un’iniziativa di coordinamento internazionale e internazionalista tra i lavoratori del gruppo Stellantis e sulle tematiche della condizione operaia.

Noi della Tendenza internazionalista rivoluzionaria (TIR) rivendichiamo in pieno la nostra internità a questo percorso di lotta e di organizzazione. Ci stiamo lavorando da anni, dentro e fuori il SI Cobas. In tutti i luoghi e in tutte le circostanze, ci siamo battuti perché si pensi in grande, perché si punti allo sviluppo di una risposta di classe la più ampia e radicale possibile – alla quale stiamo cercando di dare un apporto di analisi, di programma, di proposte di lotta. Nei giorni in cui anche Rifondazione comunista si unisce formalmente al coro nazionalista di Pd/M5S/Cgil-Cisl-Uil “salviamo l’Italia”, rivendichiamo il valore della nostra intransigente critica alla velenosa prospettiva dell’Italexit e ad ogni forma, anche solo implicita e velata, di solidarietà con il “capitalismo italiano”, la coerenza della nostra azione per affermare una prospettiva classista ed internazionalista.

20 gennaio 2021

Tendenza internazionalista rivoluzionaria

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