
Con la nuova sollevazione palestinese, puntuale e “inevitabile”, è arrivata un’altra velenosa razione di arabofobia e di islamofobia, promossa e guidata dalla formidabile macchina della propaganda israeliana.
Questa macchina, come ha osservato Moni Ovadia, ha la capacità di trasformare l’occupante, il colonizzatore, il demolitore di case, lo stato che organizza la pulizia etnica ai danni dei palestinesi, in vittima delle popolazioni che opprime con ogni mezzo da più di 70 anni.
La realtà è semplicemente rovesciata.
Questa operazione, poi, trasforma lo scontro sociale in atto, che è insieme nazionale e di classe, in una contesa tra il solo stato democratico e la sola società democratica del Medio Oriente, rappresentante lì della superiore civiltà democratica (e “giudaico-cristiana”), da un lato, e il “terrorismo” e la “inciviltà” araba e islamica che ne minaccierebbe l’esistenza, dall’altro.
Una volta di più è in azione l’industria dell’islamofobia, insonne, attiva h24, dominante, falsificatrice, ricattatoria; per la quale ogni critica dello stato di Israele, del suo colonialismo, della situazione di apartheid, della “pulizia etnica” in atto, della caccia agli arabi a cui possono dedicarsi, protette dallo stato, le bande dei coloni più fanatizzati, ogni denuncia e condanna di questo orrore è “anti-semitismo”, da assimilare a quello storico dei nazisti.
La diffusione di questo virus razzista (è il razzismo di stato, dello stato del capitale, che tanti/e, a differenza di noi, hanno paura di chiamare con il suo vero nome) non trova ancora una contro-reazione adeguata, per quanto siano state incoraggianti in questi giorni, anche in Italia, oltre che a Chicago, New York, Londra, Sidney, etc., le prime affollate e animate manifestazioni di sostegno alla causa palestinese. Che è, alla fin fine, la causa degli sfruttati e degli oppressi di tutto il mondo, atei o religiosi che siano, tanto quanto la causa dello stato e del governo di Israele è la causa degli sfruttatori e degli oppressori di tutto il mondo, quelli del mondo arabo perfettamente inclusi – a cominciare dagli squallidi petrolmonarchi per finire con tutti gli altri governanti, nessuno escluso.
Tra le pochissime voci fuori da questo coro, anzi: frontalmente contrapposte a questo coro istituzionale arabofobico e islamofobico, da posizioni di classe, internazionaliste, c’è questo blog, fiero della sua costante attenzione al movimento dei proletari delle proletarie e di tutte le masse oppresse del mondo “arabo-islamico”. Da materialisti marxisti, non siamo credenti, ma da anti-capitalisti e perciò anti-imperialisti, siamo irriducibili nemici di ogni forma di islamofobìa in quanto strumento di sfruttamento, di dominio, di malefica contrapposizione tra sfruttati/e.
Proprio su questo tema, la struttura e la funzione della industria dell’islamofobia, in Italia, in Europa, in Occidente, ci permettiamo qui di segnalare alle giovani leve palestinesi e di origini arabe che per la prima volta stanno animando qui in Italia e nel mondo occidentale le proteste di massa contro Israele e i governi occidentali complici, un libro da poco uscito per l’editore Dar Fadaat di Amman, dedicato proprio alla critica dell’islamofobia e alla denuncia delle terribili conseguenze che essa ha sulla vita degli immigrati e delle immigrate, anzitutto dei lavoratori e delle lavoratrici, in Italia e in Europa. Ne sono autori Pietro Basso, uno degli animatori di questo blog, e Fabio Perocco, professore della università Ca’ Foscari di Venezia.
La redazione del blog ha a sua disposizione un piccolo numero di copie che saranno inviate gratuitamente a chi le chiederà al seguente indirizzo email: com.internazionalista@gmail.com
Indice


Qui di seguito alcuni passaggi della Introduzione al libro
“Certo, l’islamofobia non è un fenomeno nuovo. Ha profonde e molteplici radici che affondano nel plurisecolare passato coloniale dell’Europa (e proprio questo passato costituisce uno dei segreti della attuale forza espansiva dell’islamofobia). Tuttavia è indubbio che negli ultimi due decenni si è verificato un salto di quantità e di qualità dell’islamofobia, sicché questa è divenuta la forma più acuta e più diffusa di razzismo del nostro tempo, la punta di lancia del razzismo di stato, la più acida espressione del razzismo istituzionale dell’era neo-liberista. Tanto che oggi l’islamofobia è divenuta una componente strutturale delle società occidentali, un aspetto costitutivo dell’attività di diverse istituzioni sociali, quali le strutture statali, i mass-media, i partiti istituzionali, e un elemento organico del sistema delle disuguaglianze.
“Sebbene le sue espressioni più virulente siano nei paesi occidentali, l’islamofobia è un fenomeno globale che interessa con gradi e modalità diverse i cinque continenti. È un fenomeno differenziato e sfaccettato a seconda dei contesti, ma è allo stesso tempo un processo unitario, che presenta due lati inscindibili, tra loro complementari: uno contro le popolazioni dei paesi arabo-islamici, l’altro contro gli immigrati musulmani che vivono nei paesi occidentali. Una sorta di Giano bifronte in cui la guerra alle popolazioni dei paesi arabi e la guerra agli immigrati musulmani residenti in Occidente sono un tutt’uno.
“L’ascesa impetuosa dell’islamofobia negli ultimi vent’anni si deve a una molteplicità di fattori, di breve e lungo periodo, di carattere politico, sociale, economico e culturale, ed ha avuto luogo nel contesto della guerra agli emigranti e agli immigrati scatenata dall’Europa, e nel contesto del grande rilancio dell’aggressione neo-coloniale ai paesi del Sud del mondo per la rispartizione del mercato mondiale.
“I paesi europei hanno aperto una vera e propria guerra agli emigranti provenienti dai paesi del Sud del mondo (,,,). Attraverso una miriade di regolamenti, protocolli, accordi, circolari, leggi, trattati (pubblici e segreti) e memorandum, i governi e le cancellerie d’Europa hanno dato un volto ringhioso e disumano al lato esterno di Schengen e della fortezza Europa, fissando i tratti e gli strumenti di una politica migratoria sempre più restrittiva, selettiva, repressiva: rafforzamento dei confini, rigida chiusura e militarizzazione delle frontiere, respingimenti individuali e collettivi in mare e via terra, spostamento delle frontiere nei paesi di origine ed esternalizzazione dei controlli, creazione di campi di detenzione per emigranti nei paesi di origine o di transito, privatizzazione del diritto internazionale e coinvolgimento di soggetti privati nella governance dei movimenti migratori, previsione di meccanismi di entrata ultra-selettivi e ultra-restrittivi, irregolarità forzata del percorso migratorio verso l’Europa appaltato alla criminalità organizzata, con la produzione di veri e propri naufragi di stato.”