Ieri, sabato 11 dicembre, anche la natura si è vestita a festa per dare l’ultimo saluto al compagno Damiano. Le Grigne di Lecco, il Monte Generoso, il Resegone ed altre vette imbiancate, stagliate in un’aria tersissima, un cielo alto, pieno di luce, come fossimo in Brasile o in Kenia, una temperatura quasi tiepida, da Sud, quel Sud che tanto amava Gnappo.
A Garbatola, frazione di Nerviano, un tiro di schioppo da Rho, la cittadina nella quale insieme ad Alessandro Zadra e altri giovani compagni e compagne Damiano aveva dato vita al collettivo Oltre il ponte, alla Corte popolare e al collettivo La Sciloria, ci siamo radunati all’ora convenuta in più di mille. Prima in silenzio, per non disturbare la funzione religiosa voluta dai suoi genitori, poi in corteo e in un’assemblea animati, intensi, in qualche momento chiassosi, pieni di giovani venuti anche da Napoli, come i compagni di Iskra, o da più vicino come i compagni del Fdg.
Alla fine della funzione religiosa un militante del SI Cobas entrato nel mezzo della chiesa sventolando una grande bandiera rossa con falce e martello, senza altri simboli, per segnalare da subito il colore caro a Damiano e alla gran parte di quanti (non certo tutti) sono accorsi a salutarlo. Non è una deminutio che lì ci fossero anche non comunisti, tra i suoi concittadini o tra i proletari immigrati aderenti al SI Cobas. Al contrario, è il riconoscimento di quanto può essere forte il potere di attrazione della militanza di classe autentica. E quella di Gnappo lo è stata.
L’hanno ricordato le sue compagne e compagni di lotta del circondario, da quando, all’età di 16 anni, aveva cominciato a muoversi “contro le ingiustizie” e ad essere, per il suo carattere positivo, generoso, coraggioso, un tessuto connettivo tra persone e bisogni da organizzare con quella naturale e allegra socialità che gli è stata propria fino all’ultimo giorno, anche nei passaggi di lotta più duri e difficili. A cui mai Damiano si è sottratto, andando incontro a bastonate della polizia e fogli di via.
Per questo è stato ricordato, con gratitudine, commozione, rammarico da coloro che in questi anni lo hanno avuto accanto in tanti picchetti e manifestazioni, da Papis Ndyae a Mohammed Arafat, da Mohammed Inane a Daniele Mallamaci, da Michele Michelino a Elio del CSA Vittoria, ad Annamaria, Gino Orsini e Peppe D’Alesio, che lo ha presentato come un tipo di “uomo nuovo”.
L’umanità di Gnappo è stato un tema ritornante negli interventi e nelle canzoni che gli sono state dedicate: l’umanità come base essenziale (ma non sempre presente) dell’essere compagni. L’umanità con i vicini e con i “lontani”. Buono, semplice, dal grande cuore. Ma non solo questo. Pietro Basso e Aldo Milani hanno richiamato il suo cammino dai collettivi “locali” al SI Cobas e poi alla partecipazione sempre più attiva al lavoro della Tendenza internazionalista rivoluzionaria, cammino compiuto con naturalezza, senza cessare di essere un Ciapa-No per il fatto di essere divenuto un militante internazionalista che ha meritato di essere salutato, com’è avvenuto, al canto dell’Internazionale.
In tanti gli abbiamo gridato: “Damiano è vivo, e lotta insieme a noi. Le nostre idee non moriranno mai”. Ora il giuramento è da rispettare.
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Ricordo di un compagno di Corte popolare
“E ora che è tutto concluso facciamoci un campari col bianco”. Perchè sì, c’è stato il tuo funerale, però su Gnappo Damiano Ciapa Nò adesso andiamo a bere, prendi la chitarra e cerchiamo un’osteria per passar serata. Salamini, cassoeula, un bel bollito misto come piace a te. Ti sentiamo che dici: “Avete fatto un bel cinema, eh. Ciapa sù, g’ho set”. Invece no, non lo dici, perchè non ci sei più. Come è possibile morire a 35 anni. Siamo spiazzati, non ce ne facciamo una ragione. La tua morte, improvvisa e prematura, non è accettabile.
Gnappo, comunista rivoluzionario. La tua chitarra faceva paura al padrone. Sì amici: il padrone esiste, fatevi un giro nelle catene di montaggio, tra i campi di pomodori o nei principali snodi del trasporto merci. E nelle direzioni dei vostri uffici. Quante volte hai scaldato le notti fredde ai cancelli delle fabbriche, sfidando sgherri e polizia, quante botte che hai preso. Ma tu eri sempre lì: al fianco dei fratelli facchini, ai compagni del Si Cobas Lavoratori Autorganizzati, alle amiche e agli amici in lotta per i diritti, l’ambiente, contro la prepotenza mafiosa.
Ieri, sabato 11 dicembre, eravamo in duemila persone a ricordarti nella tua Garbatola, frazione di Nerviano in provincia di Milano, la stessa di cui eri intriso: la genuinità delle relazioni con le feste in Poglianasca, alla Corte Popolare Rhodense – Altomilanese, col Collettivo La Sciloria Rho; la rivendicazione del dialetto come portato di cultura dal basso attraverso la musica dei CIAPA NO; la resistenza di un’umanità semplice contro un’idea di metropoli che tutto asfalta, tutto ingoia, tutto omologa.
Ma ti rendi conto che corteo sei riuscito a organizzare per il tuo funerale? Chi ci vedeva sfilare applaudiva dalle finestre, i tuoi concittadini ci hanno obbligati a pagarci da bere “io sono di destra e milanista, Gnappo era di sinistra e interista, siamo cresciuti insieme e nonostante le differenze ci volevamo bere, ci mancherebbe che oggi non vi ringrazi per come lo avete ricordato”.
Effettivamente, non è da tutti la bandiera rossa con falce e martello che sventola in chiesa, e a sventolarla un “ultimo degli ultimi”, un ragazzo migrante arrivato da una terra di fame e miseria: è la “futura umanità” per cui hai speso la Tua vita intera.
Ciao Gnappo, e grazie.