“La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario”: prima ristampa. Più che mai il tempo stringe!

All’indomani di una presentazione del libro a Bolzano molto partecipata e intensa (diverse altre sono in preparazione nel mese di febbraio), ci fa piacere comunicare a chi intenda averlo che è uscita la prima ristampa di “La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario”, della Tendenza internazionalista rivoluzionaria. Il libro (208 pp.) può essere richiesto scrivendo a com.internazionalista@gmail.com (costa 10 euro – salvo chi voglia fare una sottoscrizione, sempre graditissima).

Per dare un’idea della analisi (documentata) e della posizione espressa nel libro, riportiamo qui una parte della Prefazione intitolata “Il tempo stringe”, scritta a metà ottobre, e pienamente confermata negli ulteriori svolgimenti che vedono sviluppi sempre più drammatici della guerra, con ormai l’aperta rivendicazione di voler portare la guerra fino al centro di Mosca. Stringe il tempo della ripresa e intensificazione dell’iniziativa di lotta internazionalista contro la guerra! I promotori del convegno del 16 ottobre a Roma e della manifestazione nazionale del 3 dicembre, sempre a Roma, non possono indugiare ulteriormente nel riprenderla. Tanto più che, come deve riconoscere oggi perfino l’ultra-bellicista Stampa pubblicando un’indagine della Ghisleri, è sempre più diffusa l’avversione di massa (non certo nelle alte sfere capitaliste) all’invio di nuove armi al governo di Kiev e – tanto più – ad una formale entrata in guerra della Nato. A livello di massa, siamo ancora assai lontani dal comprendere che la NATO è già in guerra, e in essa e con essa è in guerra l’Italia, dopo aver fatto tutto il possibile per provocare questa guerra – ma è comunque un’evoluzione interessante e positiva, per quanto in un contesto che resta paludoso. A questa grande massa dobbiamo fare il massimo sforzo organizzato per arrivare, nelle fabbriche, nei magazzini, nelle scuole, nei mercati. E per arrivarci non solo e non tanto attraverso i social, ma in modo diretto, faccia a faccia, e chiederle di uscire dalla passività. (Red.)

Il tempo stringe

Essendo la guerra l’orgia delle menzogne, non ci è dato sapere quanti sono realmente: secondo il ministro della guerra russo Shoigu i soldati ucraini morti sono 61.000 e 49.000 i feriti; secondo i comandi ucraini i russi caduti o gravemente feriti a fine settembre sono almeno 55.100. A quasi otto mesi dall’inizio della guerra la sola cosa certa è che l’Ucraina è un mattatoio dove si macella ogni giorno carne umana: ucraina (non solo soldati, anche civili), russa e di molte altre nazionalità, se è vero che i comandi alle truppe “ucraine”, in realtà della NATO, vengono dati anche in polacco, rumeno ed altre lingue ancora. Carne umana di poco valore, per i comandanti militari e politici dell’una e dell’altra parte, al sicuro, per ora, dalla reazione delle classi sociali, il proletariato per primo, obbligate a fornirla. E la pace, non parliamo della “pace giusta” senza oppressione di popoli, anche solo una vera e duratura tregua, appare lontana. Di quando in quando Biden o Putin sembrano aprire a negoziati. La realtà sul campo, però, è che si accumulano i segni di una possibile precipitazione della guerra con la sua estensione al territorio russo (già colpito sporadicamente) e con il passaggio dalle armi di distruzione di massa convenzionali alle armi atomiche.

È di ieri l’altro l’appello di Zelensky, ex-guitto trasformato in un banditore di morte h24, affinché la NATO bombardi preventivamente la Russia con armi atomiche, che fa il paio con analoghe richieste e minacce dal fronte russo. E’ di oggi l’attentato al ponte di Kerch in Crimea. A sua volta la Russia, in evidente difficoltà sul campo, è costretta ad allargare la mobilitazione delle sue forze con 300.000 riservisti, il doppio dei soldati impiegati fin qui, e cerca di proteggere l’annessione delle terre del Donbass con referendum svolti in condizioni di guerra. La von der Leyen, degna discendente del militarismo Junker (per la Commissione europea), la Gran Bretagna, la Francia, la Polonia, il Parlamento europeo fanno a gara nel promettere armi a Kiev, armi pesanti, armi sempre più letali, armi di profondità capaci di colpire il territorio russo, affinché si combatta contro la Russia fino all’ultimo ucraino.

L’Italia di Mattarella-Draghi-Meloni fa blocco con la propaganda e la retorica bellicista più truculenta della UE e della NATO. Non si tratta, però, solo di propaganda e retorica. L’Italia è in guerra dentro il fronte NATO fin dal primo momento, retrovia sicura per la raccolta di informazioni e le missioni di droni, e non si è tirata indietro, nei limiti delle sue possibilità, neppure nella fornitura di armi e di contingenti da schierare alle frontiere della Russia con i paesi baltici. A questo punto solo dei ciechi volontari possono ignorare che questa non è una guerra che oppone Russia e Ucraina, bensì un conflitto tra la NATO da un lato, con l’UE a supporto politico e operativo, e la Russia e i suoi un po’ defilati, ma non passivi, alleati dall’altro. Del resto, nel chiedere l’immediata adesione alla NATO, Zelensky si è fatto forte di un dato di fatto: la NATO è già in Ucraina (da molti anni, va precisato), l’Ucraina è già nella NATO (da altrettanto tempo) perché il suo raccordo con i comandi della NATO, ossia: la sua subordinazione ad essi, è totale.

Cade così in pezzi la menzogna …

… secondo cui sarebbe in corso una romantica, se non rivoluzionaria, lotta di autodeterminazione condotta da tutte le classi della società ucraina strettamente unite tra loro come un sol uomo (Zelensky), di indipendenza nazionale della libera Ucraina contro il vecchio, incorreggibile orco russo. L’Ucraina di oggi tutto è salvo che una nazione libera, essendo stata progressivamente occupata, prima che dalle armate russe, dagli insediamenti economici, finanziari, diplomatici, militari, massmediatici dell’intero Occidente, e con speciale aggressività da un giro di interessi che fa capo alla banda Biden-Obama e Co. – un’occupazione resa possibile dal prevalere, in seno alla borghesia ucraina, della frazione legata all’Occidente. Ancora meno libera lo è, ovviamente, dal 24 febbraio, a seguito dell’invasione russa, che è stata l’occasione buona per moltiplicare l’invasione dei potentati occidentali, e le loro pretese sulle sue membra martoriate. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, la Polonia, l’Italia, la Romania, etc. etc., ogni paese “amico” pretende la sua quota di carne ucraina. E per effetto dell’“aiuto” di questi amorevoli Shylock l’Ucraina è più che mai un paese rovinato per i futuri decenni, alla bancarotta, in verticale perdita di popolazione, colonizzato dai suoi “amici” liberatori, oltre che straziato dai bombardamenti e dai carri russi.

Non se ne parla mai, ai liberi giornali occidentali è fatto divieto, perché debbono conficcare nei crani la menzogna secondo cui la guerra in corso è per la libertà e la democrazia dell’Ucraina e del mondo, e non – dio ne scampi – per la libertà di rapina e brigantaggio in Ucraina e in tutto il mondo dei potentati finanziari e industriali dell’Occidente. Non se ne parla mai, dicevamo, ma l’Ucraina è un paese dalle strepitose ricchezze naturali, non ancora del tutto esplorate. Può sfamare 600 milioni di abitanti nel mondo (avendone appena 40). Possiede il 5% delle risorse minerarie del mondo, pur avendo appena lo 0,4 della superficie terrestre globale. E’ tra le prime dieci nazioni produttrici ed esportatrici di metalli al mondo – 20.000 depositi per 194 minerali. Ne parliamo in questo libro, se ne deve parlare! L’Ucraina è in una posizione strategica per ogni tipo di contesa militare che abbia per oggetto il nord-Europa e la Russia, come si è visto in entrambe le guerre mondiali. E lo è anche sul piano commerciale e dei rifornimenti energetici. Se questo non bastasse, disponeva (una parte importante si è dovuta sparpagliare ai quattro angoli del mondo a cercare fortuna) e tuttora dispone di una forza-lavoro maschile e femminile con un livello di formazione medio-alto. L’Ucraina, insomma, è uno scrigno pieno d’oro. I pescecani occidentali che con i propri incitamenti, i propri prestiti, la dazione illimitata di armamenti, la spingono alla “vittoria”, la stanno in realtà spingendo all’autodistruzione totale, per poi spartirsela a prezzi di saldo. Tra essi, ben acquattati e già largamente posizionati sul terreno, quelli italiani. Mandare in rovina paesi come l’Ucraina (ce n’è una dozzina nei vari continenti) è fondamentale per tacitare il fronte interno ai paesi occidentali, sempre più pericolosamente polarizzato e – negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – molto agitato. Più la guerra dura, più risulterà chiaro alle masse lavoratrici ucraine quale grande sventura è stata il soggiogamento del loro paese agli interessi e ai comandi militari occidentali – per quanto forte, e giustificatissimo, possa essere il loro risentimento verso Mosca.

Ma se è al tappeto la menzogna occidentale sull’Ucraina-David che da sola si batte impavida contro la Russia-Golia, non è messa meglio la “verità” di Vladimir Putin e della sua Russia nostalgica delle grandezze imperiali di un tempo. Nel suo impegnativo discorso del 30 settembre per legittimare l’annessione delle province del Donbass, Putin si è presentato come un novello Che Guevara che sventola la bandiera dell’anticolonialismo tricontinentale contro l’imperialismo occidentale. La sua ben costruita invettiva non manca di efficacia e di richiami incontestabili alla “legge del pugno”, all’illimitata avidità di ricchezze e di profitti, alla pretesa di dominio totale sul mondo, all’inarrivabile ipocrisia dell’“Occidente collettivo” saccheggiatore dei popoli di tutto il mondo (per questo, qui, è stato completamente censurato). Senonché quella invettiva è tutta costruita sul richiamo alla “grande Russia”, alla “grande Russia storica” con la sua “storia millenaria”, al “posto che le spetta nel mondo” in quanto “grande potenza millenaria, una civiltà-paese”. Il che comporta la completa rivendicazione della Russia imperiale, zarista, una “prigione di popoli” secondo Lenin. Una rivendicazione che Putin fece senza mezzi termini, attaccando i bolscevichi, nel discorso del 21 febbraio in cui descrisse l’Ucraina come una costruzione artificiale da cancellare. Non una sola parola, fosse anche di mero distanziamento formale, sul fatto che la “grande potenza millenaria” prima feudale e poi feudal-capitalistica ha oppresso una molteplicità di popoli tra i quali tutt’oggi l’“Occidente collettivo” ha gioco facile nel seminare la russofobia. Di più: la sua rivendicazione della storia millenaria della Russia e dei suoi valori-civiltà contiene anche un capitolo à la Giorgia Meloni laddove si accusa l’Occidente di satanismo, per la sua “negazione radicale della moralità, della religione e della famiglia” tradizionali.

Insomma, anche senza chiamare in causa Afghanistan, Cecenia, Siria, Kazakistan e così via, dell’anti-colonialismo putiniano non resta nulla in piedi se ci si pone un paio di domande essenziali: chi c’è dietro la decisione di invadere l’Ucraina? Senza dubbio gli interessi dei grandi gruppi capitalistici russi (siderurgia, armamenti, agrari) interessati alle ricchezze dell’Ucraina. E cosa rappresenta il disegno grande-russo o quello, connesso, euro-asiatico? Rappresenta un modello, un’idea di società (capitalistica, è ovvio) caratterizzata da tratti regressivi, apertamente reazionari: l’oppressione delle minoranze etniche e linguistiche, delle donne, degli immigrati, degli omosessuali, e così via melonizzando.

Naturalmente, la parte del discorso di Putin che poneva il tema “dio patria famiglia” è stata omessa in certe traduzioni dai suoi fans italioti, sinistrati assai più che di “sinistra”. La ritengono una quisquilia. Li manda in estasi la prospettiva del passaggio dal mondo capitalistico unipolare al mondo capitalistico multipolare che Putin vagheggia come un’opportunità per i “nuovi centri di sviluppo” di “ottenere una vera libertà (…), il proprio diritto ad uno sviluppo indipendente, creativo e originale, ad una vita armoniosa”. Senonché il mondo attuale è già, di fatto, un mondo multipolare se perfino l’Arabia saudita, da un secolo una colonia anglo-statunitense, osa sfidare i vecchi padrini sul taglio alla produzione di petrolio, e in questo modo consapevolmente aiuta la Russia. Nel mondo che secondo Putin dovrebbe portarci verso una “vita armoniosa” si vede al contrario solo un’infinita moltiplicazione di conflitti, vecchi e nuovi. Perché i vecchi banditi che sono egemoni da oltre un secolo non intendono lasciare il campo ad altri senza distruggere tutto quel che è in loro potere, anche ai danni dei loro “amici” – vedi il sabotaggio del Nord Stream da parte amerikana, una vera e propria dichiarazione di guerra (economica) dell’amministrazione Biden alla Germania e all’UE. E i nuovi banditi ascendenti, si tratti del capitalismo cinese, di quello indiano, turco, brasiliano, vietnamita, arabo-saudita, etc. non mostrano la minima “originalità” nel fondarsi tutti, immancabilmente, sull’estremo sfruttamento delle proprie classi lavoratrici. Non solo: ciascuno dei “nuovi centri di sviluppo” ha obiettivi di espansione ai danni di altri paesi minori delle proprie aree viciniori, mentre il più potente dei nuovi centri di sviluppo, la Cina, accampa pretese egemoniche assai più estese (la stessa Russia dovrebbe saperne qualcosa…). Sono le leggi impersonali e immodificabili del capitalismo, e della maniera in cui il capitalismo cerca di superare le proprie grandi crisi, che impongono a tutti gli attori “scelte” che vanno in direzione di uno scontro generale e generalizzato tra capitali e capitalismi. La storia di questo modo di produzione e dei trapassi di egemonia da un centro nazionale ad un altro non lascia il minimo dubbio in proposito. Altro che armonioso pluricentrismo!

E dunque: se otto mesi di guerra sono bastanti, anche senza ricorrere ad altro, per mettere a nudo le menzogne occidentali, le menzogne putiniane non godono di miglior salute (a proposito: come mai l’irriducibile anti-nazismo di Mosca ha messo capo in così breve tempo alla liberazione di tutti i comandanti realmente nazistoidi del battaglione Azov?). Dai drammatici svolgimenti della guerra e dalle altrettanto drammatiche conseguenze sul mondo intero, emerge in maniera sempre più chiara la nostra verità: la guerra in corso in Ucraina è una guerra combattuta da ambo i lati (NATO/UE e Russia) per finalità di sfruttamento e di dominio. E lungi dall’aprire la porta al trionfo della libertà e dell’autodeterminazione in Ucraina o all’edificazione di un giusto e armonioso mondo multipolare, è l’inizio di una furiosa, sanguinosissima, devastante contesa inter-capitalistica, inter-imperialista per la rispartizione del mondo. Per questo la consegna per i proletari ucraini, russi e di tutti i paesi non può che essere quella del disfattismo – “non possiamo, non vogliamo essere la carne da cannone per la vostra guerra”. Difficile, aspra consegna, in due paesi in cui è imposta la legge marziale e soffocato ogni dissenso (Ucraina) o, senza essere proclamata la legge marziale, è ugualmente soffocato ogni dissenso. Ma la guerra perdura. Le promesse di vincerla vengono smentite dai fatti. Lutti si accumulano a lutti, dolori e fame a dolori e fame, o almeno sacrifici – un’esperienza che aprirà gli occhi sul fatto che “il nemico principale è nel proprio paese”. Pressoché ovunque nel mondo d’oggi. Di sicuro qui in Italia, che è tra le potenze imperialiste di secondo rango (altro che colonia!) pienamente corresponsabili di questa infame guerra, della corsa mondiale al riarmo e ad una nuova guerra mondiale. Il nostro nemico principale è il governo italiano, diretto da Draghi o da Meloni cosa cambia? E’ il capitalismo italiano con i suoi interessi imperialisti di rapina supportati da più di trenta missioni militari e da una quantità di investimenti esteri di banche e imprese italiane, e con la sua propaganda volta a dissimulare, ad angelicare i propri intenti e demonizzare quelli dei nemici.

L’urgenza di questo impegno internazionalista, purtroppo, è avvertita da pochi militanti, da pochi proletari. A loro ci rivolgiamo da mesi sollecitandoli a mettersi in moto con maggiore determinazione contro una guerra che già oggi ha dato vita ad un orrendo massacro di proletari, ed è sempre meno confinata in Ucraina, come si vede nella crisi energetica, alimentare ed inflazionistica che ormai dilaga nel mondo. La realtà sta andando oltre le stesse nostre “pessimistiche” previsioni. Certo, grandi forze del capitale globale, anzitutto la Cina, l’insieme dei Brics, e la parte dell’establishment statunitense che ancora spera di poter staccare la Russia dalla Cina, stanno muovendosi contro il precipitare della guerra in Ucraina in un nuovo conflitto mondiale. Ma la dinamica degli eventi bellici è stata in passato più di una volta indipendente dalla volontà degli stessi attori, autonomizzandosi dalle strategie iniziali, e nulla può far escludere in assoluto che possa accadere un’altra volta. Comunque sia, il tempo stringe!

Stringe anche per dar vita, qui, ad un’opposizione di classe coerente, quindi internazionalista, al “nostro” governo, alla NATO, all’UE, senza concedere la minima apertura di credito alla Russia di Putin e al suo preteso “anti-colonialismo”, o a quello dei suoi alleati. Non c’è altra forza se non un rinato movimento proletario internazionale che possa mettersi di traverso al corso catastrofico del capitalismo globale. Non c’è altra forza se non un rinato movimento proletario internazionale capace di riappropriarsi delle sue tradizioni rivoluzionarie, che possa aprire la strada, con la rivoluzione sociale anti-capitalista, ad un mondo senza guerre, senza sfruttamento e oppressione, senza classi, e finalmente senza le montagne di menzogne intorno alla libertà, alla democrazia, ai valori millenari. Nel dire questo, non facciamo un discorso “chiuso”, operaista, proletarista: al contrario, siamo certi che, come già accadde nel ciclo rivoluzionario di un secolo fa, e più di allora, molto più di allora, individui e perfino contingenti di altre classi sociali oppresse (oltre il proletariato) saranno capaci di riconoscere che la battaglia rivoluzionaria contro il capitalismo globale in quanto tale èuna battaglia in difesa della specie, della natura, della vita, e non ha nulla di angustamente ‘classista’. (segue)

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