Cina: proteste di pensionati, al canto dell’Internazionale…

Anche in Cina, una Cina che aumenta quest’anno del 7,2% le proprie spese militari, si comincia a presentare alla classe dominante il problema degli “eccessivi” costi del sistema pensionistico e delle assicurazioni per le persone anziane, in forte crescita in questo paese per effetto di un fortissimo aumento della durata media della vita (salita a 77,3 anni) – entro il 2035 ci saranno 400 milioni di cinesi over-60.

È accaduto così che, a partire dal 1° febbraio scorso, la municipalità di Wuhan e di altre grandi città hanno cominciato a tagliare di netto i trasferimenti di denaro ai pensionati. Ad esempio a Wuhan il sussidio mensile per spese mediche è crollato da 286 renmimbi a 83, cioè da circa 42 dollari a circa 12 dollari, ed anche il sussidio pubblico massimo per un funerale è stato tagliato di più del 50%. Questo ha generato malcontento, anche perché secondo i dimostranti le riduzioni sono state maggiori per i pensionati operai rispetto ai pensionati del pubblico impiego. Le riforme dovrebbero migliorare la condizione dei lavoratori, non peggiorarla, obietta uno di loro che preferisce farsi identificare con uno pseudonimo (zio Ou), “altrimenti è un furto”. Dal quale egli pensa di difendersi legalmente (come noto, il ricorso alla controversia legale è ampio in Cina).

Sulla scia della “riforma” messa in atto da Wuhan si stanno muovendo anche le province del Guandong, dello Shaanxi e dello Hunan. Dietro queste “riforme” c’è la necessità di molte amministrazioni locali di ripianare, o almeno ridurre, il forte indebitamento cresciuto negli scorsi due anni e mezzo di costosa, molto costosa, politica di contenimento “zero covid”. Lo scontento che si è manifestato in queste piccole manifestazioni di protesta esprime da un lato rabbia perché “questo denaro è nostro, ed è frutto del nostro sudore e del nostro sangue”, dall’altro un appello alle autorità centrali e al PCC perché intervengano in favore dei pensionati: “io protesto – dice un manifestante – perché credo nel nostro governo, e credo che il PCC possa trovare una soluzione al problema”.

Sennonché proprio dal governo e dal PCC è partita l’indicazione di dare la priorità alle spese militari, e di contenere i trasferimenti ai pensionati – al momento e, ancor più, in prospettiva. L’orientamento già preso, infatti, è quello di far salire progressivamente l’età della pensione, oggi fissata a 55 anni per le donne e a 60 per gli uomini. Sicché è molto improbabile che ci possa essere la restituzione del maltolto, come si chiede animatamente nelle dimostrazioni. Una contraddizione, questa, che sarà destinata ad acutizzarsi negli anni, con l’intensificarsi della corsa alla guerra che vede in primo piano la NATO transatlantica e la nuova NATO asiatica. La cosa più probabile, anzi certa, è che il governo di Pechino spingerà anche in Cina chi può permetterselo verso il sistema pensionistico privato favorendo, con agevolazioni fiscali, la progressiva privatizzazione del sistema pensionistico. Del resto a marzo del 2022 è partito, su impulso del governo centrale, un programma-pilota per far crescere il mercato delle pensioni private individuali, che ha trovato nel novembre scorso una prima concretizzazione. Non pare che il capitalismo “rosso” di Xi, che tanto entusiasma certi sciagurati, abbia in serbo ricette differenti da quelle del capitalismo occidentale, neo-liberista o keynesiano che sia, nonostante la sua crescita in termini di accumulazione di capitale rimanga tuttora molto più significativa di quella dei rivali d’Occidente.

È bello sentire i manifestanti di Wuhan cantare l’Internazionale… (a meno che questa “furbizia” non gliel’abbia suggerita Soros per preparare anche in Cina, onnipotente com’è, l’ennesima “rivoluzione colorata”, questa volta al canto dell’Internazionale).

@newyouthwatching

2月15日,武汉数十万老人走上街头,齐聚中山公园,将大动脉解放大道堵了个水泄不通,抗议武汉政府砍去2/3医保资金的改革。 老人们演讲,喊口号,唱《国际歌》,要求取消医改。 现场布置了大量警力,双方对抗激烈,一些警察开始抓人! 大连等其他城市老人们也走上街头! 最新视频!欢迎大家转发、关注!#武汉 #医保 #共产党 #习近平 #腐败 #黑社会 #抗议 #国际歌 #民主自由 #中共不等于中国人 #青蒿素是病毒疫苗和疫苗解药 #CapCut

♬ original sound – 新青年•中国观察 – 新青年•中国观察

https://www.voanews.com/a/older-chinese-protest-health-care-reform-that-reduces-benefits/6965399.html

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Uno sguardo altro sulla Cina contemporanea e le sue contraddizioni di classe, di Sandro Moiso

Riprendiamo con piacere da Carmilla on line la recensione che Sandro Moiso ha fatto di un testo del collettivo Chuăng sulla “costruzione della Cina contemporanea” appena uscito in lingua italiana. Al momento dello scoppio della pandemia, siamo stati i primi a tradurre e postare un documento assai interessante dei compagni di Chuăng, poi ripreso da altri blog e siti.

Concordiamo sia con l’apprezzamento che S. Moiso fa del lavoro di questo collettivo (all’interno del quale si trovano anche richiami alla Sinistra comunista), sia con le osservazioni critiche alla pretesa di questi compagni di vedere nella fase maoista della rivoluzione nazional-popolare cinese un timbro “sviluppista socialista” totalmente distinto dall’esperienza vissuta in Russia con la “costruzione del socialismo in un solo paese”. Sono temi di fondo del passato più o meno lontano su cui sarà inevitabile ritornare, senza tuttavia restare prigionieri del passato. (Red.)

[Fonte: Carmilla On-line]

Chuăng, Il sorgo e l’acciaio. Il regime sviluppista socialista e la costruzione della Cina contemporanea, Porfido Edizioni, Torino 2022, pp. 200, euro 12,00

La prima cosa che salta all’occhio, fin dalla lettura delle prime pagine, nel testo prezioso appena pubblicato dalle Edizioni Porfido è che a differenza dell’Italietta, in cui la sinistra antagonista troppo spesso continua a portarsi appresso le incrostazioni del gramscismo e di un certo operaismo ancora influenzato da brandelli di maoismo, in altre e ben più significative aree del mondo, in questo caso Cina e Stati Uniti, il riferimento ai linguaggi e alle esperienze teoriche della Sinistra Internazionalista costituisce una solida base per l’analisi dei più importanti fenomeni sociali, politici ed economici e delle inevitabili contraddizioni di classe che hanno contraddistinto la Repubblica Popolare Cinese dalle sue origini fino a oggi.

Indagare sulle origini e le ragioni dell’attuale salda integrazione della Cina nella “comunità materiale del capitale” è il compito che si sono posti i membri del collettivo comunista internazionalista Chuaˇng, gruppo anonimo i cui membri si distribuiscono appunto fra la Cina e gli Stati Uniti. Il carattere Chuaˇng, da cui il collettivo prende il nome, in cinese è riassumibile nell’immagine di un cavallo che sfonda un cancello e riveste il significato simbolico di liberarsi, attaccare, caricare, sfondare, forzare l’entrata o l’uscita: agire con impeto.

Da alcuni anni le pubblicazioni sull’omonima rivista e la serie di articoli traduzioni e interviste ospitate sul blog chuangen.org, rappresentano una delle fonti di informazione e analisi più attente e pertinenti sulle dinamiche e le traiettorie delle trasformazioni sociali e del conflitto di classe nella Cina attuale. Il libro, appena tradotto in Italia ma già apparso nel 2016 sul primo numero della rivista, rappresenta la prima parte di un progetto in corso di pubblicazione sulla storia economica della Cina che, con taglio dichiaratamente “materialista”, vuole smarcarsi tanto da una letteratura “di sinistra” da anni sostanzialmente monopolizzata e caratterizzata dalle varie correnti ideologiche di origine “maoista” che, occorre qui ricordarlo, hanno spesso poco a che vedere con il marxismo inteso in senso stretto, quanto dallo specialismo di chiara marca accademica.
Come hanno sottolineato gli autori:

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Cina: disoccupazione giovanile, morti per superlavoro, rifiuto del superlavoro, di Giulia Luzzi

L’articolo che proponiamo alla lettura solleva un problema già notato in Urss negli anni ’60: la disoccupazione giovanile e la sua sezione di disoccupazione intellettuale. La questione meriterà ulteriori studi, ma questo testo già individua la distorsione legata al modo di concepire l’istruzione del tutto capitalistico e che finisce col presentare sul mercato del lavoro un’eccedenza di offerta di manodopera “intellettuale”. C’è inoltre una variabile culturale che troviamo anche nelle società occidentali e che vede nell’istruzione la possibilità di realizzare per sé migliori condizioni di vita. Non si tratta, quindi, di un fattore legato semplicemente al passaggio da un’economia contadina ad un’economia industriale (in Cina già largamente avvenuto), ma di una trasformazione che investe lavoro, cultura e mentalità di massa.

Appare sulla scena la necessità – imposta dalla sempre più accesa concorrenza internazionale – di ricorrere al plus valore assoluto, e quindi pluslavoro, tutti innegabili indicatori della struttura economica e sociale del modo di produzione capitalistico: altro che avanzata verso il socialismo! Mercato del lavoro, disoccupazione, e quindi esercito di riserva, plusvalore assoluto,
apertura agli investimenti stranieri, esodo dalle campagne alla città, riforma agraria completano il quadro di una
struttura da capitalismo maturo che dovrebbe smentire certe analisi che ancora si dilettano a vedere nella Cina di oggi una “transizione verso il socialismo tutt’ora non ancora conclusa” (!) … Scusa, hai detto socialismo? (Red.)

Cina: il gigante asiatico poggia i suoi piedi sulle morti per superlavoro – Disincanto e frustrazione delle giovani generazioni di proletari cinesi

Riguardo alla “questione cinese”, la propaganda delle grandi testate giornalistiche, dei think tank, talk show televisivi fino ai social media concentra in genere la propria attenzione sulle strategie di sviluppo economico dell’imperialismo cinese. La Cina presentata come il Grande Dragone, il Gigante Asiatico, etc., in ogni caso sostanzialmente intesa come un monoblocco sociale unitario, forte di oltre un miliardo e quattrocento milioni di abitanti, omogeneo e coeso riguardo alla minacciosa proiezione internazionale imperialistica che contende il primato alla superpotenza americana. Quando parlano di crepe nel tessuto sociale della Cina, denunciano per lo più la violazione dei diritti umani contro le minoranze linguistiche o “etniche” musulmane dello Xingjang, uiguri, kazaki, hui, kirghizi, uzbeki e tagiki. Denunce di violazioni reali, ma pelose, interessate, perché non tanto preoccupate dell’aspetto umanitario quanto tese a dimostrare la concorrenza sleale, la anti-democraticità del sistema politico di Pechino, in contrapposizione alla supposta lealtà e democraticità delle potenze occidentali. Rari i riferimenti alle classi che compongono anche la società capitalistica cinese e alle sue contraddizioni politico-sociali. (Stesso approccio d’altra parte anche per le società capitalistiche occidentali, usato sia dai partiti parlamentari della cosiddetta sinistra, che da quelli dichiaratamente nazionalisti della destra).

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“Giochi di guerra” USA nel Sud-Est asiatico. Verso lo scontro con la Cina, di V. G. Limon e S. Yamada (Counterpunch)

The United Kingdom’s carrier strike group led by HMS Queen Elizabeth, and Japan Maritime Self-Defense Forces led by Hyuga-class helicopter destroyer JS Ise joined with U.S. Navy carrier strike groups led by flagships USS Ronald Reagan and USS Carl Vinson to conduct multiple carrier strike group operations in the Philippine Sea, Oct. 3, 2021. Photo: US Navy.

As China fortifies outcroppings in the West Philippine Sea into military bases, the US conducts “freedom of navigation” incursions by military aircraft and warships. In April, the US sent 5,000 troops to the Philippines for Balikatan war exercises, which ended on the day before Chinese President Xi Jinping’s virtual meeting with then Philippine President Rodrigo Duterte.

Riprendiamo da Counterpunch una denuncia di V. G. Limon e S. Yamada dell’azione sempre più aggressiva dell’imperialismo USA nel Sud-Est asiatico – che, al di là delle debolezze politiche di impostazione, ha un valore particolare perché è una denuncia dei piani di guerra del “proprio” imperialismo. Il fronte orientale, trascurato in Europa anche da parte della sinistra militante, è cruciale e si sta surriscaldando in misura crescente dallo scoppio del conflitto tra Russia ed Occidente in Ucraina. Gli autori danno un resoconto di alcune minacciose manovre di guerra compiute dagli Stati Uniti nell’area con il supporto di Filippine, Taiwan, Sud Korea, Okinawa, Giappone e Guam. Chiariscono come questa postura particolarmente aggressiva, incoraggiata da H. Clinton, risalga al 2011, in esplicita funzione di contrasto all’ascesa della potenza anche militare cinese. Al riguardo, diciamo per inciso, va infatti tenuta ben presente anche la risposta della Cina sul piano del riarmo e delle manovre belliche statunitensi, in particolare con la costruzione di sei gruppi da battaglia di portaerei da portare a termine entro il 2035su cui rinviamo a questa scheda.

L’articolo di Limon e Yamada denuncia il carattere ipocrita e antisociale di questi “giochi di guerra”. Per il primo aspetto, viene additato lo storico sostegno statunitense alle forze reazionarie filippine oggi incarnate dal presidente “Bongbong” Marcos, rampollo di una dinastia di – come altro chiamarli? – dittatori. Siamo esattamente in tema di autocrazie care all’Occidente. La retorica della pace e dei diritti umani viene così opportunamente smascherata. La corsa verso una guerra inter-imperialistica mondiale è vista come la quintessenza di quanto soprattutto nel Sud globale causa povertà, fame, malattie, facendo incombere uno scenario di distruzione totale. L’articolo ha poi il merito di evidenziare l’impatto anche ambientale delle manovre militari. Gli autori concludono dando voce ai movimenti ed associazioni democratici ed ecologisti che nelle Hawaii e nelle Filippine sono scesi in campo – iniziative che rischiano di venire soffocate. Cominciando a maturare la consapevolezza di quanto reale sia la prospettiva di un’ecatombe, dobbiamo lavorare allo sviluppo di un movimento organizzato e schiettamente internazionalista delle donne e degli uomini che vivono del proprio lavoro, che dichiari, finalmente, guerra alla guerra.

A strange group of visitors are arriving in Hawaiʻi: 38 battleships, four submarines, more than 170 aircraft, nine national land forces, and some 25,000 personnel from more than two dozen countries. These war machines come every other year to participate in the Rim of the Pacific (RIMPAC) exercises, the largest naval exercise in the world, hosted by the US Navy since 1971.

One contingent in these war games will stand out: a lone frigate bearing the name of Antonio Luna, the firebrand Philippine revolutionary army general who led the military resistance against invading US troops during the Philippine-American War. This warship will represent the present-day Philippine armed forces, now allied with, trained, and funded by its former military foe.

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Tienanmen, 4 giugno 1989: il massacro che non ci fu, e quello che ci fu davvero (italiano – English)

La foto più famosa del maggio-giugno 1989 in Cina, e, al tempo stesso, la meno rappresentativa

E’ accertato che il massacro di studenti in piazza Tienanmen non è mai avvenuto, mentre si continua a tacere sul vero massacro di operai e laobaixing, la gente comune.

Anche in questo 4 giugno non è mancato, qua e là, il ricordo del massacro (di studenti, o quasi solo di studenti, si dice) avvenuto in piazza Tienanmen. Peccato, però, che questo massacro di studenti o quasi solo di studenti in piazza Tienanmen non sia mai avvenuto. E’ ormai accertato, ma si continua a far finta di non saperlo. Mentre si continua, viceversa, a tacere sul vero massacro di operai e di laobaixing (ovvero: gente comune) avvenuto nella parte occidentale di Pechino, in zone solo in parte adiacenti a Tienanmen. Per accertarlo, basta dare uno sguardo alla collana di contraddittorie balle che ancora oggi vengono esibite su wikipedia.

Per questa ragione vogliamo dar conto qui del primo testo che, in Occidente, fornì una cronaca onesta e dettagliata di quei tragici avvenimenti dal vivo (non dalle comode stanze di hotel, o da casa propria), una cronaca che oggi si può considerare definitiva: lo scritto di Robin Munro, Who died in Beijing, and Why pubblicato su “The Nation” l’11 giugno 1990.

Munro, un attivista britannico “per i diritti umani”, che collaborò anche per anni con il “China Labour Bulletin”, anticipa in apertura del suo rapporto le conclusioni a cui la sua indagine arrivò già nei giorni successivi al 4 giugno:

“La grande maggioranza di quelli che sono morti (probabilmente un migliaio in tutto) erano operai o laobaixing (gente comune), e sono morti per lo più nella parte occidentale di Pechino, nelle strade di avvicinamento [a Tienanmen]. Alcune dozzine di persone sono morte nelle immediate vicinanze della piazza, poche dentro la piazza. Ma parlare di quest’ultimo [quello avvenuto nella piazza] come del vero massacro distorce la realtà dei fatti – il massacro avvenne su una scala cittadina – e sminuisce l’effettivo dramma politico che si dischiuse a piazza Tienanmen”, e non si limitò affatto alla protesta studentesca.

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