Guerra e ambiente: un nuovo appello ai Friday for Future e a tutti i veri ambientalisti

il movimento ambientalista organizzato sembra essersi dissolto: è nell’imbarazzo perché non può di nuovo proporre i soliti fallaci percorsi “istituzionali”.

Sono passati quasi 80 anni e ancora vengono allo scoperto bombe, proiettili, armi del Secondo Conflitto Mondiale. Guerre di ogni dimensione territoriale e di ogni intensità si susseguono, e sappiamo come ognuna di esse porta al massimo livello tutte le contraddizioni politiche e sociali, falcia intere generazioni di giovani, avvelena la terra e i suoi elementi naturali per decenni e decenni, non risparmia nulla alle generazioni che l’hanno vissuta e a quelle che vengono dopo di esse. Non si può restare in silenzio su questo aspetto del disastro ambientale, e invece l’ambientalismo nostrano sembra essere all’improvviso scomparso.

In una precedente lettera aperta avevamo chiesto espressamente che la manifestazione del 30 ottobre dell’anno scorso non restasse fine a se stessa, non fosse un misto di passerelle e folklore, un’altra occasione sprecata. Oggi vi rinnoviamo l’appello ad unire la vostra protesta alle lotte dei proletari e degli strati sociali più colpiti dalla crisi politica ed economica del capitalismo perché è sempre più evidente che è lì la radice, l’origine, la causa principale dell’aggressione alla natura ed al lavoro vivo.

Continua a leggere Guerra e ambiente: un nuovo appello ai Friday for Future e a tutti i veri ambientalisti
Pubblicità

Il favoloso mondo della Brexit, 4. Il Regno Unito verso la… disunione

A distanza di poco più di cinque anni dalla gloriosa Brexit, salutata come esempio da imitare anche dagli Italexit “di sinistra”, la credibilità del Regno Unito dotato di neo-sovranità è, come afferma lo storico Sassoon, “ai minimi storici”.

Mentre Boris Johnson e il suo governo affondano nel ridicolo e nella melma – le due dimensioni che più gli si attagliano, tra palpeggiamenti nei pub, ubriachezze a go-go, torte contro i muri, festini fuori ordinanza, clamorose sconfitte elettorali, accoltellamenti tra stretti sodali, ripristino di once, pinte e pollici (in mancanza del sognato ripristino dell’“Impero su cui non tramonta mai il sole”) ed altre robette o robacce del genere – veniamo, in questa nostra quarta puntata, su un altro effetto della Brexit: la moltiplicazione delle spinte nazionaliste e sub-nazionaliste. Un effetto nefasto per i lavoratori: è la loro sorte che ci interessa, non certo quella dell’imperialismo britannico.

Nei roboanti proclami dei suoi promotori, tra cui lo stesso Johnson, scrollarsi di dosso lo strapotere soffocante dell’Unione europea (nella cui cupola Londra sedeva con un corpaccione di 1.200 funzionari) avrebbe significato veder rifiorire d’un tratto il passato prestigio, potere, ricchezza, o addirittura il primato globale, sia pure in compartecipazione con la super-potenza d’oltre Atlantico: la Global Britain.

Invece, com’era ampiamente prevedibile data l’inesorabile decadenza di lungo periodo della struttura produttiva britannica e il ridimensionamento della stessa megastruttura finanziaria della City, il rancido sciovinismo pro-Brexit è stato l’innesco di almeno due processi che stanno contribuendo alla crescente disunione del Regno Unito.

Continua a leggere Il favoloso mondo della Brexit, 4. Il Regno Unito verso la… disunione

Il favoloso mondo della Brexit, 3. Abbassamento dei salari, allungamento degli orari

Londra, 18 giugno – manifestazione indetta dal TUC per chiedere aumenti salariali

In questo disastro sociale, che viene da lontano e la Brexit ha aggravato, emerge qualche segno di reazione: “tagliamo la guerra, non il welfare”, era il messaggio di molti cartelli e dichiarazioni di manifestanti sabato 18.

Non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che la Brexit sarebbe stata una solenne fregatura per i proletari britannici. Ancora più amara per chi se ne era fatto illudere. Ma, abituati ai “tempi lunghi”, in questi decenni di disordinatissimo arretramento del movimento di classe, non contavamo di avere ragione così in breve. E di vedere, in così breve tempo, i lavoratori reagire e portare in piazza le proprie impellenti necessità.

Continua a leggere Il favoloso mondo della Brexit, 3. Abbassamento dei salari, allungamento degli orari

Uvalde, America: tra polarizzazione e decomposizione. Venerdì 17 giugno, ore 18, libreria Calusca, Milano

Venerdì 18 giugno 2022, ore 18:00

UVALDE, AMERICA. TRA POLARIZZAZIONE E DECOMPOSIZIONE

Il gigante dai piedi di argilla, tra guerre per procura all’esterno e disgregazione sociale al suo interno.

Partendo dal massacro avvenuto nella scuola elementare di Uvalde discuteremo della situazione attuale e del suo divenire con Pietro Basso della redazione de Il pungolo rosso.

Sarà possibile seguire e intervenire anche online. Per ricevere il link scrivere a: centrodocumentazionecontrolaguerra@inventati.org

Poco prima dell’inizio invieremo link e riferimenti a chi li avrà richiesti.

L’incontro avverrà in diretta streaming: https://cox18.noblogs.org/

Leggi anche: Uvalde è l’America, una società in disgregazione, postato il

La registrazione dell’incontro, invece, è qui:

Breve aggiornamento sul crack dell’Amerika

Ogni giorno che passa il crack dell’Amerika si aggrava.

È di qualche ora fa la notizia che nel secondo trimestre dell’anno l’economia statunitense ha avuto un crollo del 32,9% (su base annua), ben 4 volte superiore alla caduta produttiva massima della grande crisi del 2008, quando il massimo calo trimestrale fu dell’8,4% nell’ultimo trimestre dell’anno. Anche l’indice (ufficiale) della disoccupazione, che aveva toccato il 15% in aprile, è rimasto tuttora all’11%, a livelli, cioè, superiori a quelli del periodo più acuto della precedente crisi. Ciò che più spaventa economisti e imprenditori è che in diversi stati la ripresa di giugno è stata interrotta dal riaccendersi dell’epidemia che appare, nell’insieme, fuori controllo.

La verticale caduta dei salari avvenuta in aprile è stata contrastata dagli stanziamenti eccezionali a sostegno dei consumi decisa dall’amministrazione Trump con sussidi pari a 1.200 dollari per molti e un’indennità supplementare di disoccupazione pari a 600 dollari a settimana. Quest’ultima indennità dovrebbe scadere questo fine settimana, ma – data l’entità del dissesto economico di tante famiglie ridotte alla fame – ci potrebbe essere una proroga.

Il capo della Federal Reserve, Powell, si congratula (con sé stesso) per il fatto che la montagna di denaro in deficit distribuita ai “cittadini” (il famoso helicopter money che secondo certi nostri “sinistri” sarebbe la soluzione magica di ogni problema) ha funzionato perché “ha tenuto la gente nelle proprie case” (oltre 150.000 morti di covid-19, ad oggi) e perché “ha consentito al business, alle imprese, di continuare a fare business” (-32,9%). Certo, in assenza di queste misure-tampone, le cose sarebbero andate in modo ancor più catastrofico. Ma per quanto ancora sarà possibile prolungare la cura emergenziale (comunque a carico delle classi lavoratrici)?

Tra i repubblicani sta facendosi strada proprio nelle ultime settimane l’idea di una forte potatura alla previdenza sociale, in specie ai sussidi di disoccupazione, e al Medicare, l’assicurazione medica pubblica per gli over-65: c’è già un disegno di legge del sen. Romney, a riguardo. Se arrivassero questi tagli radicali, secondo alcune organizzazioni sindacali e movimenti/gruppi per i diritti civili avrebbero l’effetto di “devastare l’America” – l’America dei proletari e dei salariati. Perché per l’altra Amerika, quella dei capitalisti, già sono pronte, invece, proposte aggiuntive di “stimolo fiscale” (sempre la questione fiscale che ritorna…) per un centinaio di miliardi di dollari, ed un robusto scudo legale quinquennale che metterà le imprese al riparo da qualsiasi responsabilità per aver provocato la morte, o messo a rischio la salute, dei propri dipendenti. L’iniziativa è della cricca di Trump, ma state certi che i democratici, secondi a nessuno nella tutela degli interessi del capitale, non si tireranno indietro. Le spese militari non si possono tagliare, specie in un momento in cui stanno intensificandosi le azioni ostili con la Cina su una scala geo-politica sempre più vasta. Le spese di polizia neppure, nonostante la forte richiesta di “Defund Police”, togliere soldi alle polizie – anche Biden non ha lasciato margini di speranza su un’eventualità del genere. I tempi dell’illimitata potenza yankee nell’imporre il primato della propria moneta senza incontrare opposizioni di rilievo, sono dietro le spalle. E dunque – lo si voglia o no – i poteri costituiti finiranno per gettare altra benzina sul fuoco… di qui la messa in campo di truppe federali e di bande di assalitori e squadristi al soldo della classe capitalista.

Ma… come abbiamo mostrato nell’analisi degli sviluppi del movimento nato in reazione all’uccisione di George Floyd (che presto aggiorneremo), non pare esserci, per ora almeno, paura mortale, né arrendevolezza tra quanti sono scesi nelle piazze – prova ne sia che siamo vicini ad un accordo per il ritiro delle truppe federali inviate da Trump a Portland, per lo meno il ritiro dal centro della città. Sotto la pressione del movimento (lì in larga misura bianco), lo chiede ora anche la governatrice dell’Oregon, la democratica Kate Brown. Molto interessante la risposta del Dipartimento della sicurezza interna: lo faremo, ma solo quando “saremo certi che l’Harfield Federal Courthouse (la Cittadella) e le altre proprietà federali non saranno attaccate e che l’edificio dove si amministra la giustizia sarà al sicuro”. Non è il Vietnam anni ‘70. Non è l’Afghanistan o l’Iraq degli anni duemila. Capite? È il fronte interno, sempre più inquieto…