Lo scandalo Chlordecone: come il profitto sviluppa il cancro e uccide nelle Antille, di Luc Thibault (Français)

Abbiamo ricevuto e pubblichiamo molto volentieri questo ottimo studio del compagno Luc Thibault sull’uso di massiccio nelle Antille nei passati decenni di un pesticida, il Chlordecone, usato contro il curculione del banano, generatore di cancro. Ma, comme d’habitude, il suo ragionamento si allarga dal singolo caso particolare, dal singolo albero, alla foresta, e cioè al mercato lucrosissimo dei pesticidi, ed alla catastrofe sanitaria che è derivata dal loro uso con intossicazioni di massa di ampiezza spaventosa: 255 milioni di casi in Asia l’anno, più di 100 milioni in Africa, circa 1,6 milioni in Europa (dove, però, guarda te, si produca la gran quantità di queste merci avvelenanti, il cui uso è formalmente, spesso, vietato là dove li si produce…). Sicché propriamente Thibault parla di “imperialismo chimico”, mostrando la stretta collaborazione tra lo stato francese e le imprese produttrici ai danni degli abitanti delle vecchie colonie (Martinica, Guadalupe) che tuttora la Francia pretende di tenere strette a sé, sotto di sé. E da qui il suo ragionamento si allarga ancora, in un’ottica internazionalista, al mondo intero, perché non si tratta solo della Francia, non si tratta solo delle Antille, ma del modo di produzione capitalistico in quanto tale, della sua corsa sfrenata ai profitti, del rapporto predatorio che ha il capitale nei confronti della terra e della natura.

Leggete! Molto istruttivo. E – ripetiamo – si faccia avanti qualche compagno/a che si vuole aggiungere a noi nel lavoro, sempre complesso ma utilissimo, di traduzione dei tanti testi in lingua che riceviamo. (Red.)

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Chlordecone : le profit qui tue et developpe le cancer aux Antilles

Le 19 décembre 2022, les ministres de près de 200 pays réunis à l’occasion de la COP15 signaient un accord visant à prendre des « mesures urgentes » pour « arrêter et inverser la perte de biodiversité » d’ici la fin de la décennie. 

Effectivement, il y a urgence! Dans son rapport de 2019 sur la biodiversité, l’IPBES (1) estimait que 75 % des milieux terrestres et 66 % des milieux marins étaient « sévèrement altérés » par les activités humaines. Les populations de vertébrés sauvages ont chuté de 69 % entre 1970 et 2018. Sur les huit millions d’espèces animales et végétales présentes sur Terre, près d’un million pourraient disparaître au cours des prochaines décennies.

En moins d’un demi-siècle, plus de 20 000 populations de mammifères, d’oiseaux, d’amphibiens, de reptiles et de poissons ont chuté de deux-tiers. Et l’IPBES de conclure : « La nature décline globalement à un rythme sans précédent dans l’histoire humaine– et le taux d’extinction des espèces s’accélère, provoquant dès à présent des effets graves sur les populations humaines du monde entier ».

L’agriculture capitaliste est l’une des principales responsables de cette situation. A lui seul, le secteur agricole concentre 23 % des émissions de gaz à effet de serre. Par ailleurs, le recours massif et croissant aux pesticides – pour accroître les rendements à court terme – a des conséquences majeures et catastrophiques.

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Bangladesh: le radici coloniali e neo-coloniali dei disastri ecologici e delle emigrazioni, di Raushana

Bangladesh: le radici coloniali e neo-coloniali dei disastri ecologici e delle migrazioni

C’è un articolo comparso su Repubblica lo scorso 6 Aprile sul Bangladesh e sulla questione dei cosiddetti profughi ambientali, che spiega come questo paese, secondo il Global Climate Risk Index, sia “al settimo posto tra gli Stati più colpiti dal riscaldamento globale e il più densamente popolato” e come il cambiamento climatico costituisca “una prova estrema per un paese che affonda le sue radici nell’acqua, abbracciando il più grande delta del mondo, quello del Padma (il canale principale del Gange in Bangladesh) e con più della metà del suo territorio a meno di 12 m sul livello del mare”. Il cambiamento climatico fa sì che milioni di persone siano costrette a emigrare forzatamente dalle coste verso la capitale Dacca o altre grandi città del Delta del Gange, come Chittagong, dove vivono in condizioni di estrema povertà, costretti a subire continue discriminazioni. Come riporta l’articolo, “si stima che l’81% dei migranti della capitale bengalese sia sfollata a causa del cambiamento climatico”. Una situazione destinata a peggiorare, poiché “nei prossimi 40 anni si stima che i dislocati interni saranno dai 3 ai 10 milioni”, mentre “entro il 2030 il Paese assisterà inerme all’aumento del 15% della povertà”.1

Questo è solo l’ultimo dei tanti articoli che sulla stampa italiana e estera si sono occupati del Bangladesh e della questione dei profughi ambientali. Negli ultimi anni, infatti, si sono moltiplicate le denunce che vanno in questo senso, che mostrano come il cambiamento climatico costringa milioni di persone a emigrare forzatamente, che arrivano anche ad ammettere che il cambiamento climatico è generato dal riscaldamento globale e che questo, a sua volta, sia generato dell’uso di combustibili fossili, e così via… Si è diffusa una narrazione pubblica semplificata, ormai pienamente accettata e accettabile, tant’è che appunto la troviamo in un giornale come Repubblica… In realtà, si tratta di una narrazione che è stata confezionata e propagandata dalle grandi istituzioni internazionali del capitalismo, come la Banca Mondiale e il FMI, che stanno portando avanti progetti miliardari per “salvare” i paesi del Sud del mondo -o meglio gli investimenti capitalistici nei paesi del Sud del mondo- dagli effetti dei cambiamenti climatici.

Questa narrazione, però, tiene nascosta una serie di elementi che, invece, sono di importanza fondamentale per capire quello che veramente sta accadendo.

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La catastrofe ecologica nel Sud e nel Nord del mondo. Come fermarla? – Mestre, sabato 22 aprile, ore 16 (inglese, arabo, bengalese)

Prosegue con un’intensa attività di propaganda e di contatti la preparazione dell’Assemblea sulla catastrofe ecologica in corso indetta a Mestre dal nostro blog, dal Comitato permanente contro le guerre e il razzismo e dalla TIR, alla quale parteciperanno componenti e attivisti dei movimenti ambientalisti e di Iskra, in un confronto che si annuncia già vivace e fecondo. Poiché la catastrofe ecologica non colpisce soltanto il Nord del mondo, anzi colpisce con una violenza ancor più devastante crescenti aree del Sud del mondo, abbiamo ritenuto di diffondere un testo in arabo e in bengalese come minimo segno di rispetto e di attenzione per gli immigrati e le immigrate del polo industriale di Marghera e dell’area metropolitana di Venezia-Mestre. (Red.)

Chi denuncia i crimini ambientali è… un criminale.

Mancava questa nell’elenco, ma è arrivata.

Dopo alcune/i militanti del Movimento dei disoccupati 7 novembre di Napoli, alcuni dirigenti e attivisti del SI Cobas, alcuni dimostranti del Movimento No Tav (per lo più appartenenti ad Askatasuna), ecco la denuncia per associazione a delinquere contro 5 membri di Ultima Generazione, un movimento ecologista per la “giustizia climatica”.

L’associazione a delinquere “scoperta” a Padova dalla Digos e dal prode p.m. Benedetto Roversi sarebbe “finalizzata all’interruzione di pubblico servizio, ostacolo alla libera circolazione, deturpamento o imbrattamento di immobili pubblici o privati con vernici, o di beni culturali come immobili di interesse culturale”.

Non ci interessa qui fare una ricostruzione storico-giuridica di questo reato, notoriamente proveniente dal codice penale Rocco di epoca fascista, tranquillamente trapassato nella repubblica democratica “nata dalla Resistenza” e quasi esclusivamente applicato contro movimenti e organizzazioni di sinistra o antagoniste.

Ci interessa, invece, osservare che:

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Come lo stato di Israele distrugge sistematicamente l’ambiente di vita dei palestinesi – materiali

Segnaliamo alcuni materiali utili a comprendere quale sistematica devastazione dell’ambiente di vita dei palestinesi abbia compiuto lo Stato di Israele nei passati decenni, e come questa opera di spietato colonialismo di popolamento e di apartheid prosegua senza soluzioni di continuità, anzi si stia negli ultimi anni intensificando.

Ci sarebbe qualcosina da dire, poi, sull’eco-sionismo, cioè sul tentativo dello stato di Israele di mascherare i suoi crimini (anche) ambientali magnificando i lavori di riforestazione compiuti magari sui territori di villaggi palestinesi rasi al suolo e dei quali si vuole cancellare il ricordo, come si mostra nel documentario di Mark J. Kaplan, Il villaggio sotto la foresta, con cui si è aperta a Venezia, giovedì 13 aprile, la nuova edizione della tenace e sempre bella rassegna Cinema senza diritti. [Per la memoria: furono 500 i villaggi palestinesi interamente distrutti dall’esercito israeliano all’atto della fondazione di Israele.] (Red.)

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