8 agosto 1956. La strage operaia di Marcinelle: nessuna amnesia su questo crimine!, di Vito Totire

Il testo che segue, di Vito Totire, portavoce pro tempore della “Rete Nazionale Lavoro Sicuro”, è purtroppo di bruciante attualità.

La strage di Marcinelle non fu infatti un tragico evento, destinato a non ripetersi, ma un passaggio fra i tanti – certo fra i più gravi – in cui lo sfruttamento capitalistico ha falciato le vite dei proletari, l’anello di una catena di omicidi sul lavoro di cui il capitale internazionale continua a macchiarsi impunemente.

In Italia, i morti per “incidenti sul lavoro” sono oltre tre al giorno, ma il conteggio riguarda solo i lavoratori assunti con regolare contratto. Restano esclusi i lavoratori in nero, in larga misura immigrati, che sfuggono alle statistiche ufficiali. Quando muoiono, per l’assenza delle più elementari misure di sicurezza, questi lavoratori vengono spesso fatti sparire, magari abbandonati lungo una strada, a suggerire la “casualità” della loro morte. Sono i fantasmi di un esercito proletario che alimenta la fame di plusvalore del capitale grande e piccolo, e che pagano un tributo di sangue crescente allo sfruttamento capitalistico.

Come in ogni altra occasione del genere, il ricordo della strage di Marcinelle ha dato la stura alla solita rivoltante ipocrisia istituzionale, con le più alte cariche dello Stato – a cominciare da Mattarella – pronte a stracciarsi le vesti e affermare che “la mancanza di sicurezza sul lavoro non è accettabile”. Su Marcinelle la retorica ha un tasso di mistificazione ancora più insopportabile. Una strage capitalistica di proletari (256 morti, di 11 diverse nazionalità, 136 italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 ungheresi, 3 algerini, 2 francesi, 2 sovietici, 1 britannico, un olandese – l’ultimo corpo fu ritrovato alla fine del dicembre 1957) si trasforma, nelle rievocazioni ufficiali, in una “strage di italiani” (come opportunamente denuncia il testo che pubblichiamo) e i lavoratori morti divengono eroi del “lavoro italiano all’estero”, che avrebbero contribuito, udite, udite!, alla costruzione della stessa Unione Europea. E chi dovrebbe raccogliere questa eredità? Politici borghesi e capitalisti che trattano gli immigrati in Italia come limoni da spremere e gettare via, che li fanno morire a decine di migliaia nel Mediterraneo, nel Sahara, lungo le rotte balcaniche, che li assoggettano ad un “diritto” differenziale fondato sul più schifoso razzismo di Stato (vi dicono niente le leggi Turco-Napolitano, i decreti di Minniti e quelli di Salvini?), che hanno “esternalizzato” le frontiere europee e organizzato i lager per gli immigrati come in Libia, ecc.

E che dire delle istituzioni democratiche che fanno mostra di essere in lutto per la strage di Viareggio (il treno di GPL esploso nella stazione), ma poi confermano il licenziamento del ferroviere Antonini, consulente di parte per le famiglie delle vittime, licenziamento voluto dal maggior responsabile di quella strage, l’AD di Trenitalia Moretti?

La lotta contro gli omicidi sul lavoro e contro le morti di lavoro non è materia giuridica o tecnica: la soluzione non va cercata, afferma giustamente Vito Totire, “nella robotica, nella sensoristica, nell’intelligenza artificiale”. Solo la lotta di classe e l’organizzazione dei proletari può arginare la strage dei lavoratori cui assistiamo ogni giorno. E tener vivo il ricordo di eventi come Marcinelle fa parte integrante di questa lotta. Nel frattempo, ai rappresentanti della borghesia diciamo: giù le mani dai morti di Marcinelle! (Red.)

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Marcinelle 8 agosto 2022. nessuna amnesia! Per la strage operaia del 1956. Che la giornata diventi “la giornata internazionale del lavoratore immigrato”

Non è possibile dimenticare la strage operaia del 1956, e non solo per un dovere storico ed etico ma anche per la attualità dei giorni nostri; nonostante “impegni” politici, promesse elettorali e lacrime di circostanza ai funerali delle vittime, la strage di lavoratori continua anche se in maniera strisciante e non con le dimensioni (in un solo giorno) di quella di Marcinelle.

I decisori politici fanno finta di non capire che la soluzione non va cercata nella robotica, nella sensoristica, nella intelligenza artificiale; il problema è superare tutte le forme di lavoro schiavistico che negli ultimi decenni si sono estese a macchia d’olio (dall’agricoltura, alla edilizia, alla logistica, ai trasporti , ai servizi, ecc.); occorre risalire la china del dislivello di potere che si è instaurato tra capitale e lavoro impedendo ai lavoratori di monitorare i rischi senza delegare ai tecnici del padrone ed esponendoli in maniera drammatica a pericoli di infortunio e di morte col fine della massimizzazione del profitto.

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A fianco dei lavoratori francesi e belgi in lotta!

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Da più di tre mesi la Francia è scossa da un movimento di scioperi operai e di dimostrazioni di piazza forte e determinato che prepara per il giorno 14 giugno lo sciopero generale.

La lotta è contro la legge Khomri (Loi Travail) varata dal governo Hollande-Valls, che come il Jobs Act di Renzi, dà ai padroni totale libertà di licenziare, allunga gli orari di lavoro, riduce l’assistenza sanitaria, garantisce alle imprese di poter imporre ai lavoratori tutte le ‘flessibilità’ che vogliono.

Questa lotta ha un obiettivo: il ritiro della legge Khomri. Ed è una lotta energica, come deve essere ogni autentica lotta operaia, fatta di picchetti, scioperi e manifestazioni molto partecipati e ripetuti, decisi direttamente dalle assemblee dei lavoratori. Le raffinerie di petrolio, le centrali nucleari, le ferrovie, gli aereoporti, i porti, la metro e i bus parigini, i cantieri navali, le fabbriche di auto Psa, i siti Amazon… sono stati finora i gangli vitali della produzione e dei trasporti più coinvolti. Continua a leggere A fianco dei lavoratori francesi e belgi in lotta!

Parigi, Bruxelles e la guerra infinita

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Dobbiamo fare di tutto per sottolineare l’aspetto della ‘guerra santa’
(D. Eisenhower sulla lotta al nazionalismo arabo)

Svolgiamo qui alcune considerazioni sugli attentati jihadisti di Parigi e Bruxelles e il loro retroterra medio-orientale, che forse saranno poco popolari data l’infezione arabofobica e islamofobica da cui è affetta la sinistra, inclusa buona parte di quella che si vuole antagonista, comunista, e perfino internazionalista. Ma la sola cosa che ci preme è contribuire a inquadrare gli avvenimenti in corso da un punto di vista di classe, denunciare e contrastare le nuove aggressioni in atto ai lavoratori e ai popoli di Libia, Iraq e Siria da parte del governo Renzi e degli altri governi europei, e lavorare ad avvicinare, a unire i proletari autoctoni e i proletari provenienti dai paesi arabi e islamici (e i loro figli) che i potentati dell’imperialismo, approfittando dei suddetti attentati, vogliono allontanare e scagliare gli uni contro gli altri. Tutto il resto, per noi, non conta.

È guerra? Certo, ma da 200 anni (almeno).
E l’ha scatenata l’Europa colonialista e imperialista.

Gli editoriali bellicisti delle scorse settimane e degli scorsi mesi hanno sostenuto pressoché unanimi la tesi: “dobbiamo rispondere con la guerra alla guerra che ci è stata dichiarata dai bastardi islamici” invertendo così il rapporto qualitativo e quantitativo tra cause ed effetti. Noi partiamo, invece, dalle cause, quindi dall’azione dell’imperialismo europeo e occidentale. Non da Parigi 13 novembre 2015 o da Bruxelles 22 marzo 2016, ma dall’Iraq 1991 e dall’Afghanistan 2001. E lo facciamo servendoci dell’articolo di Nafeez Ahmed, Unworthy victims: Western wars have killed four million Muslims since 1990 pubblicato su www.middleeasteye  l’8 aprile 2015, che sulla base di studi statunitensi, britannici, australiani, dà conto dei risultati delle guerre condotte dalle armate occidentali contro le popolazioni di Iraq e Afghanistan dal 1990. Andate a leggerlo e fatelo conoscere!

Lo sintetizziamo qui egualmente per i più pigri. Almeno 200.000 morti iracheni nella prima ‘guerra del Golfo’ (1991). 1.700.000 uccisi, sempre in Iraq, dall’embargo ONU degli anni seguenti, di cui la metà bambini. I dati sono di fonte ONU, e se lo dice l’assassino, c’è da credergli. Il prof. Nagi della Washington University ha scovato un documento segreto della DIA (Defense Intelligence Agency) statunitense che espone un piano dettagliato per “degradare completamente il sistema di trattamento delle acque dell’intera nazione per un decennio”. Per Nagi le sanzioni ONU sono state un mezzo per “liquidare una significativa parte della popolazione dell’Iraq” attraverso la diffusione su larga scala, per lungo tempo, di malattie ed epidemie – sanzioni, ricordiamolo, approvate dai miserabili governi italiani dell’epoca (Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema). Non bastando un tale trattamento umanitario, è sopraggiunta la seconda ‘guerra del Golfo’ nel 2003 con l’occupazione dell’Iraq da parte delle ‘nostre’ armate e la susseguente ‘pacificazione’ del paese con il massacro di 1 milione di iracheni.

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