Il favoloso mondo della Brexit, 6. “Il Regno Unito vuole bandire di fatto le manifestazioni di protesta”.

All’indomani della caduta nella polvere della sterminista Liz Truss, che non vedeva l’ora di incenerire milioni di russi con le atomiche (e di arricchire i più ricchi tra i parassiti britannici), veniamo su un altro aspetto trascuratissimo della situazione sociale e politica venutasi a determinare nel Regno Unito dopo la Brexit: l’incrudimento dei controlli di polizia e della repressione delle manifestazioni. Siamo arrivati addirittura ad un passo dal varo definitivo di una legge sull’ordine pubblico, il Public Order Bill, che potrebbe essere usata a discrezione per bandirle del tutto in quanto atti “anti-sociali”, come prova questo articolo di Federica D’Alessio che riprendiamo da Micromega (la nostra ottica di indagine differisce da quella democratica della giornalista, ma siamo nondimeno per la difesa attiva dei diritti democratici conquistati con le lotte del movimento proletario e dei movimenti sociali degli strati oppressi, che sono sempre più sotto attacco da parte della classe dominante, e non solo nel Regno Unito di oggi socialmente spaccato e disunito).

Più ci documentiamo sul favoloso mondo del dopo-Brexit, più ci risulta chiaro perché gli Italexit “di sinistra”, i vecchi eurostoppisti e i loro amici “rosso”-bruni frignatori professionali sull’estinta sovranità dell’Italia hanno perduto la lingua su questa materia. Li capiamo, li capiamo… (Red.)

Il Regno Unito vuole bandire di fatto le manifestazioni di protesta

Se approvato, il Public Order Bill fortemente voluto dal governo dei Tories proibirebbe di fatto tutte le forme di protesta capaci di creare un “disagio” nell’ambiente circostante.

Federica D’Alessio 21 Ottobre 2022

Nel Regno Unito la Premier Liz Truss si è dimessa mettendo fine all’esperienza di governo più breve nella storia della nazione, appena 45 giorni dopo che Truss era succeduta a Boris Johnson alla guida dei Tories. Il Paese è nel caos e anche i sondaggi ormai sembrano certificare una consapevolezza generale rispetto a quanto la maggioranza conservatrice si sia mostrata inadeguata a gestire le varie tempeste abbattutesi sull’isola negli ultimi anni, dalla Brexit alla pandemia. Tuttavia, alcuni dei segni di tale inadeguatezza rischiano di cambiare per sempre il volto della liberale Gran Bretagna: il primo e il più inquietante è certamente il Public Order Bill. La legge voluta dalla ministra dell’Interno Priti Patel prima e dalla sua successora Suella Bravermann dopo, approvata pochi giorni fa alla House of Commons, amplia i poteri della polizia di prevenire e reprimere le proteste considerate “antisociali”, privando i cittadini del diritto di protesta attraverso la criminalizzazione di alcune fra le più utilizzate forme di manifestazione, e conferendo poteri speciali di fermo e perquisizione con l’esplicito intento di prevenire le più sgradite, inventando reati di tipo nuovo e fattispecie criminogene appositamente pensate in chiave repressiva.

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Le mire dell’Europa sui lavoratori dell’Ucraina

Riprendiamo dall’ultimo numero di Le Monde Diplomatique un articolo di Pierre Rimbert sui “falsi amici” dell’Ucraina. E’ una ricostruzione dell’azione di sottomissione economica del paese da parte dell’UE a partire dai primi anni 2000. Vengono analizzati alcuni trattati finalizzati a fare dell’Ucraina il terreno di gioco degli interessi industriali e finanziari europei. Ciò riguarda anzitutto il fenomeno delle delocalizzazioni in “friendshoring”, ossia la delocalizzazione in luoghi “amici” (da distinguere dalla mera delocalizzazione o “offshoring”, oggi più rischiosa), ed il controllo di un vasto esercito di riserva di manodopera spesso qualificata, che è emigrato, emigra ed emigrerà in massa – il terreno è stato principalmente arato mediante gli strumenti dell’imposizione di politiche di austerità, della deregulation e della distruzione della normativa sul lavoro.

La ricostruzione di Rimbert getta altra luce sul lungo braccio di ferro tra UE e Federazione russa, la quale per parte sua non aveva certo un atteggiamento disinteressato, e permette di capire più in concreto (cioè nei loro corposi contenuti economici) fatti come la caduta del governo filo-russo e l’episodio di Maidan. Anche se costituisce un salto di qualità nella contesa globale tra potenze capitalistiche discendenti e potenze capitalistiche ascendenti, la guerra in corso ha le sue radici nella contesa per l’Ucraina. E l’una e l’altra contesa riguardano evidentemente sotto ogni profilo la classe lavoratrice (una piccola “cosa” che tutti gli approcci geopolitici cancellano) – vedi ad esempio l’attacco frontale alla legislazione sul lavoro su cui il governo ucraino sta procedendo di gran carriera, come si evince per esempio dalla denuncia dei portuali della costa occidentale degli Stati Uniti, o, più in dettaglio, da questo articolo del Guardian. L’articolo tace il ruolo molto pesante che gli Stati Uniti hanno avuto e hanno in tutta la vicenda. Non è un gran male, perché spesso, viceversa, ci si concentra esclusivamente sugli Stati Uniti, lasciando pensare che l’UE sia passivamente al traino. Magari contro gli interessi USA, ché la vogliono debole, l’Europa ha fatto valere e cerca di far valere in Ucraina i propri interessi – interessi “coloniali” li definisce a microfoni spenti un diplomatico europeo. E se lo dice lui…

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Il sabotaggio dei Nordstream: l’esecutore è oscuro, il mandante è chiaro.

BORNHOLM, DENMARK – SEPTEMBER 27

Il sabotaggio dei gasdotti Nordstream 1 e 2 è il salto bellico che ci aspettavamo. In guerra contano poco le dichiarazioni ed i proclami se non per la propaganda nazionale e per incoraggiare i proletari ad andare al massacro. Da “spezzeremo le reni al nemico” a “Donbass eternamente nostro” la voce che conta è sempre stata quella dei cannoni ed il mandante misterioso ha invaso l’aria non solo col metano ma anche con una serie di messaggi.

Il primo e più importante è che, stando per ora “geograficamente” al sicuro, ha tutta l’intenzione di ridurre il resto del mondo ad un deserto, ad una spianata di macerie e poco importa che questa si chiami Europa. Avrebbe potuto fare altrimenti? No, intanto perché la perdita di egemonia che vantava negli anni passati è irreversibile, mentre l’odio verso il misterioso mandante cresce nel mondo perché non c’è paese che non abbia dovuto subire prestiti usurai mascherati da aiuti umanitari, sanzioni, angherie, ricatti, colpi di stato, aggressioni, invasioni, bombardamenti.

Anche dal punto di vista del potere economico al mandante è rimasto solo quello di imporre ricatti ai suoi stessi alleati non appena recalcitrano anche con un semplice dissenso, come ad esempio, quello sull’accordo per fissare un tetto al prezzo del gas russo. Questa guerra ha i caratteri di novità di cui abbiamo già parlato e che non ripetiamo, ma dal lato del mandante del sabotaggio contiene anche l’obiettivo di colpire l’Europa e l’economia del suo motore principale, la Germania che, non a caso, recalcitra. Gli Usa vogliono che i capitalisti europei siano così: alleati, certo, ma non in contrasto o in concorrenza con i propri interessi! Da ciò arriva il messaggio di ulteriore spinta all’Europa a non disattendere le attese del misterioso mandante che è determinato a proseguire la guerra fino alla sconfitta totale della Russia, quanto alla Cina, poi si vedrà.

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Putin versus NATO: verità e menzogne

Il discorso di Putin di ieri mattina getta nuova luce sugli eventi? No, niente che già non si sapesse. Segna, questo sì, con il varo della “mobilitazione parziale” di 300.000 riservisti, un ulteriore incrudimento della guerra tra NATO e Russia in Ucraina (già scontato da tempo per la decisione degli Usa e delle potenze occidentali di dare un sostegno illimitato in armi e addestramento a Kiev), e rappresenta il tentativo di reagire ad alcuni rovesci militari. Ma si muove comunque lungo un tracciato politico e propagandistico noto.

Anzitutto i suoi richiami alla patria e agli eventi dell’89 mostrano senza dubbi che i suoi riferimenti non sono la Rivoluzione di Ottobre ma il capitalismo, variamente definito, dell’Urss postleninista.

L’attacco dell’Occidente è spiegato a partire dal paese di Stalin, di Chruscev, di Breznev; è quella la Russia che Putin vuole restaurare e, semmai, quella precedente alla Rivoluzione di Ottobre. Le critiche a Lenin e alla sua politica non sono mancate e non appartengono certo al passato, ma si rinnovano regolarmente nei fatti. A nulla serve il richiamo alla denazificazione dell’Ucraina: se è vero che i riferimenti di Zelensky sono Bandera ed i suoi successori; se è vero, come è vero, che Svoboda, Sektor e Bilec’kyj, il comandante del Battaglione Azov, si sono distinti in ferocia nella battaglia di Mariupol del ’14 e per l’esibizione della loro simbologia nazista; se sono vere le loro successive efferate imprese ai danni della popolazione del Donbass; se tutto questo è vero, non si può certo dire che Putin si sia circondato di bolscevichi dediti agli interessi del proletariato. La Legione Imperiale, col suo progetto di Nuova Russia, addestra militanti stranieri di estrema destra più o meno come il Gruppo Wagner, altra formazione di aperta vocazione nazifascista. Anche le “amicizie” nazionali ed internazionali di Putin si distinguono per le loro dichiarate idee ed iniziative apertamente reazionarie. Due per tutte: il Patriarca Kirill e il premier ungherese Orban le cui rispettive idee ed imprese di governo non lasciano dubbi.

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8 agosto 1956. La strage operaia di Marcinelle: nessuna amnesia su questo crimine!, di Vito Totire

Il testo che segue, di Vito Totire, portavoce pro tempore della “Rete Nazionale Lavoro Sicuro”, è purtroppo di bruciante attualità.

La strage di Marcinelle non fu infatti un tragico evento, destinato a non ripetersi, ma un passaggio fra i tanti – certo fra i più gravi – in cui lo sfruttamento capitalistico ha falciato le vite dei proletari, l’anello di una catena di omicidi sul lavoro di cui il capitale internazionale continua a macchiarsi impunemente.

In Italia, i morti per “incidenti sul lavoro” sono oltre tre al giorno, ma il conteggio riguarda solo i lavoratori assunti con regolare contratto. Restano esclusi i lavoratori in nero, in larga misura immigrati, che sfuggono alle statistiche ufficiali. Quando muoiono, per l’assenza delle più elementari misure di sicurezza, questi lavoratori vengono spesso fatti sparire, magari abbandonati lungo una strada, a suggerire la “casualità” della loro morte. Sono i fantasmi di un esercito proletario che alimenta la fame di plusvalore del capitale grande e piccolo, e che pagano un tributo di sangue crescente allo sfruttamento capitalistico.

Come in ogni altra occasione del genere, il ricordo della strage di Marcinelle ha dato la stura alla solita rivoltante ipocrisia istituzionale, con le più alte cariche dello Stato – a cominciare da Mattarella – pronte a stracciarsi le vesti e affermare che “la mancanza di sicurezza sul lavoro non è accettabile”. Su Marcinelle la retorica ha un tasso di mistificazione ancora più insopportabile. Una strage capitalistica di proletari (256 morti, di 11 diverse nazionalità, 136 italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 ungheresi, 3 algerini, 2 francesi, 2 sovietici, 1 britannico, un olandese – l’ultimo corpo fu ritrovato alla fine del dicembre 1957) si trasforma, nelle rievocazioni ufficiali, in una “strage di italiani” (come opportunamente denuncia il testo che pubblichiamo) e i lavoratori morti divengono eroi del “lavoro italiano all’estero”, che avrebbero contribuito, udite, udite!, alla costruzione della stessa Unione Europea. E chi dovrebbe raccogliere questa eredità? Politici borghesi e capitalisti che trattano gli immigrati in Italia come limoni da spremere e gettare via, che li fanno morire a decine di migliaia nel Mediterraneo, nel Sahara, lungo le rotte balcaniche, che li assoggettano ad un “diritto” differenziale fondato sul più schifoso razzismo di Stato (vi dicono niente le leggi Turco-Napolitano, i decreti di Minniti e quelli di Salvini?), che hanno “esternalizzato” le frontiere europee e organizzato i lager per gli immigrati come in Libia, ecc.

E che dire delle istituzioni democratiche che fanno mostra di essere in lutto per la strage di Viareggio (il treno di GPL esploso nella stazione), ma poi confermano il licenziamento del ferroviere Antonini, consulente di parte per le famiglie delle vittime, licenziamento voluto dal maggior responsabile di quella strage, l’AD di Trenitalia Moretti?

La lotta contro gli omicidi sul lavoro e contro le morti di lavoro non è materia giuridica o tecnica: la soluzione non va cercata, afferma giustamente Vito Totire, “nella robotica, nella sensoristica, nell’intelligenza artificiale”. Solo la lotta di classe e l’organizzazione dei proletari può arginare la strage dei lavoratori cui assistiamo ogni giorno. E tener vivo il ricordo di eventi come Marcinelle fa parte integrante di questa lotta. Nel frattempo, ai rappresentanti della borghesia diciamo: giù le mani dai morti di Marcinelle! (Red.)

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Marcinelle 8 agosto 2022. nessuna amnesia! Per la strage operaia del 1956. Che la giornata diventi “la giornata internazionale del lavoratore immigrato”

Non è possibile dimenticare la strage operaia del 1956, e non solo per un dovere storico ed etico ma anche per la attualità dei giorni nostri; nonostante “impegni” politici, promesse elettorali e lacrime di circostanza ai funerali delle vittime, la strage di lavoratori continua anche se in maniera strisciante e non con le dimensioni (in un solo giorno) di quella di Marcinelle.

I decisori politici fanno finta di non capire che la soluzione non va cercata nella robotica, nella sensoristica, nella intelligenza artificiale; il problema è superare tutte le forme di lavoro schiavistico che negli ultimi decenni si sono estese a macchia d’olio (dall’agricoltura, alla edilizia, alla logistica, ai trasporti , ai servizi, ecc.); occorre risalire la china del dislivello di potere che si è instaurato tra capitale e lavoro impedendo ai lavoratori di monitorare i rischi senza delegare ai tecnici del padrone ed esponendoli in maniera drammatica a pericoli di infortunio e di morte col fine della massimizzazione del profitto.

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