Mai più figli per le vostre guerre ! – Comitato 23 settembre

Napoli, 1° maggio

MAI PIU’ FIGLI PER LE VOSTRE GUERRE!

Questa la comune parola d’ordine che le compagne del Comitato 23 settembre, le disoccupate del Movimento 7 novembre di Napoli, le compagne del Laboratorio politico Iskra e le militanti del Si Cobas hanno portato in questo primo maggio, nelle manifestazioni indette dal Si Cobas a Milano e a Napoli. Uno slogan che segna la solidarietà alla terribile situazione delle donne dei paesi che in questo momento sono al centro dello scontro bellico, ma che richiama fortemente la necessità di opporsi, con tutte le nostre forze, alla preparazione delle guerre prossime future.

Ci chiedono di trasmettere ai giovani il senso della “necessità” della guerra, educandoli, innanzitutto all’interno delle famiglie, alla passività, all’individualismo, al nazionalismo, al razzismo, alla necessità di non riconoscere i propri fratelli e le proprie sorelle di classe e di pensare che la propria sopravvivenza potrà realizzarsi a prezzo della soppressione dei diritti e della vita altrui. Intanto, per le vostre guerre, dovremo accettare sacrifici e rinunce in un contesto di crescente precarietà, povertà ed erosione di ogni minimo diritto, fra cui il supremo diritto di lottare in modo organizzato per i nostri interessi di uomini e donne proletarie, sfruttate e senza privilegi.

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Contro la pratica crudele e neo-colonialista dell’utero in affitto, e contro l’oscena demagogia delle destre a riguardo

In questi giorni si è fatto un baccano osceno, da entrambi i lati del mondo parlamentare, le destre e le cosiddette sinistre, intorno all'”utero in affitto”. Per noi, ferma restando la necessità di tutelare l’esistenza e i diritti dei figli di coppie omogenitoriali; ferma restando l’opposizione alle discriminazioni che una certa destra vorrebbe introdurre ai loro danni (simili a quelle che un tempo colpivano i “figli naturali”, nati fuori dal matrimonio) – un’opposizione che per noi ha un carattere di principio; fermo restando tutto ciò, resta altrettanto fermo che la pratica dell’utero in affitto è una pratica da criticare e respingere senza se e senza ma in quanto, oltre ad esprimere una visione distorta della genitorialità, ha un carattere mercantile e colonialista.

Lo spiegano bene le pagine che qui riproduciamo (24-27) dell’opuscolo “La posta in gioco” (a cura di Paola Tonello), che inquadrano questo fenomeno in espansione nella più vasta casistica delle diverse forme di messa sul mercato e di “appropriazione sociale del corpo delle donne” in fatto di riproduzione, forme che di sociale non hanno nulla, e nel contesto della crisi della riproduzione della vita che caratterizza un po’ tutti i paesi europei, l’Italia tra i primi. Pagine che mettono nel loro mirino anche, doverosamente, la “scienza medica” e Big Pharma.

La nostra impostazione in materia è agli antipodi di quella delle destre al governo, che usano questo tema per riaffermare la loro concezione di sacralità e unicità della famiglia gerarchica, patriarcale e il più possibile bianco-ariana, accompagnandola con l’ipocrita motivazione del “bene dei figli”, mentre qualunque studio un minimo serio della situazione attuale deve registrare la esistenza di una molteplicità di forme di famiglia e di convivenza, e laddove nulla c’è da rimpiangere della vecchia famiglia gerarchica e patriarcale. Chi per caso avesse dei dubbi sull’antiteticità tra la nostra posizione e quella delle destre solo per via dell’apparente assonanza sul no all’utero in affitto, legga queste pagine; se non le condivide, ci spieghi perché a com.internazionalista@gmail.com. A questo stesso indirizzo può essere anche richiesto l’opuscolo.

L’appropriazione sociale del corpo delle donne

Lo sviluppo del capitale e le lotte delle donne hanno mutato almeno in parte la condizione della famiglia in Occidente: essa non è più solo il luogo di riproduzione degli esseri umani, incoraggiata a parole (per fronteggiare l’invasione degli alieni extracomunitari), e resa improba nei fatti, dati i continui tagli al welfare e alle strutture sociali di sostegno, ma anche un luogo di mancata riproduzione della vita. Le devastazioni ambientali, l’inquinamento del contesto generale in cui si vive, l’assenza di sicurezza del futuro, la mancanza di una rete solidale, lo stress di una vita convulsa hanno da un lato scoraggiato o procrastinato la maternità, dall’altro aumentato esponenzialmente l’infertilità delle coppie, proprio quando l’atrofia della vita sociale spinge molte donne e molte coppie a vedere come scopo fondamentale della propria vita la nascita di un figlio.

Ci battiamo per un movimento che abbia a cuore il desiderio di procreare e denunci come esso sia reso vano dalle difficoltà sociali e ambientali che ne impediscono la realizzazione o sia soddisfatto a prezzo di molte rinunce in un contesto di solitudine e di fatica per le donne. Di fronte a milioni di bambini abbandonati nel mondo, l’adozione è resa sempre più difficile e costosa e al tempo stesso si esaspera il valore della genitorialità biologica, a spese del senso di maternità e genitorialità sociale secondo la quale gli adulti si dovrebbero far carico della cura dei piccoli indipendentemente dai geni che questi portano in corpo. La dimensione individuale o di coppia nella genitorialità deve accompagnarsi ad un senso di responsabilità sociale rispetto ai piccoli, cosa che è scoraggiata e ostacolata.

Il capitalismo ha fiutato da tempo l’affare e gli ampi spazi di guadagno offerti dal soddisfacimento del desiderio di avere dei figli da poter considerare “propri”.

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Per un femminismo rivoluzionario, di Paola Tonello

Per l’8 marzo di due anni fa Il Cuneo rosso pubblicò un opuscolo, La posta in gioco. Riflessioni e proposte per un femminismo rivoluzionario, a cura di Paola Tonello, che faceva in modo sintetico, ma nettissimo, la critica del “femminismo” neo-liberista e imperialista in genere, senza nulla concedere – perché nulla va concesso – alla “tendenza oggi diffusa nel movimento delle donne, influenzata dalle filosofie post-moderne, che mette l’accento sulla condizione identitaria di ciascuna donna, frantumando la possibilità dell’azione collettiva in una pletora di microidentità del tutto funzionale ai rapporti di potere che si illude di scalzare”. Una posizione senza dubbio minoritaria, ma ferma nel sottolineare la centralità, per la loro liberazione, della lotta collettiva delle donne sfruttate ed oppresse, e del collegamento di questa lotta con “la lotta globale al sistema capitalistico”.

Ne ripubblichiamo qui la premessa e l’indice. Chi è interessato, può richiedere l’opuscolo (pp. 120, 5 euro, scrivendo a com.internazionalista@gmail.com)

Premessa

In due secoli di esperienze di lotta e di ricerca il movimento femminista ha affrontato da punti di vista diversi il problema della emancipazione e della liberazione delle donne, in una dialettica costante con l’esperienza di lotta del movimento operaio, delle lotte anticoloniali e di tutte le classi oppresse.

Una dialettica caratterizzata quasi sempre da parte del movimento operaio dalla indifferenza e ostilità nei confronti delle rivendicazioni femminili, dalla loro riduzione economicistica, dalla teoria della contraddizione principale/secondaria, dalla negazione di fatto del patriarcalismo e del suo ruolo nel mantenimento dell’ordine sociale borghese. D’altra parte, la trasversalità dell’oppressione delle donne ha offuscato, nelle varie espressioni del movimento femminista, la necessità di un inquadramento della condizione femminile all’interno di un sistema generale di oppressione e sfruttamento e la necessità di una autonoma convergenza con le lotte sociali delle classi oppresse e sfruttate.

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Da Genova e Torino, iniziative per l’8 marzo – SI Cobas

Milano, 8 marzo 2022

Genova – 8 MARZO: SCIOPERIAMO E ADERIAMO AL CORTEO CITTADINO DI NUDM  ORE 18, PIAZZA CARICAMENTO!*

Fotografia dell’8 marzo 2023:

*donne ucraine* sotto i bombardamenti da piú di un anno, i cui figli sono carne da cannone;

*donne russe*, per lo piú proletarie, con i figli continuamente richiamati al fronte;

*donne palestinesi* i cui figli si battono a mani nude contro un oppressore secolare;

*donne afgane* escluse da ogni aspetto della vita civile;

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La rivoluzione d’Ottobre, primo attacco a tutto campo all’oppressione della donna

Il poster (del 1920) dice: “ecco ciò che la rivoluzione di Ottobre ha dato alle donne operaie e contadine” – in primo piano i simboli del lavoro extra-domestico (il martello, la falce); in secondo piano, indicati dalla mano della donna, gli asili, le biblioteche, i circoli delle lavoratrici.

In tempi in cui potenti meccanismi sistemici agenti sulla nostra psiche cercano di cancellare del tutto la funzione della memoria, in tempi di corrosivo revisionismo storico anti-comunista, ci è sembrato utile invitare chi ci segue ad un ripasso della storia reale, non adulterata, del movimento rivoluzionario proletario che da quasi due secoli si batte contro il capitalismo e sempre riemerge come la fenice dalle proprie ceneri. In questo testo si spiega che nella storia dell’umanità il primo assalto a tutto campo alla condizione di oppressione della donna è avvenuto solo con la Rivoluzione di Ottobre è forse il caso di ricordare a certi disperati o mascalzoni matricolati che osano scambiare Putin per un Che Guevara o un Lenin del XXI secolo che il “modello di società” putiniano-meloniano è letteralmente antitetico, anche in questo campo, a quello della Rivoluzione d’Ottobre? No, non servirebbe a nulla. Ma ai giovani che si affacciano oggi alla militanza conoscere bene il passato della rivoluzione e della controrivoluzione serve, e come! (Red.)

Nel momento in cui inizia a prender forma di nuovo un embrione di movimento di lotta mondiale delle donne, è utile tornare sulla sola grande esperienza avveniristica del passato che si pose il compito della integrale liberazione della donna: la rivoluzione proletaria d’Ottobre. Negli anni 1917-1923 essa gettò in Russia, nelle condizioni più avverse, le premesse giuridico-politiche e “ideali” di tale liberazione. Il trionfo della controrivoluzione non le diede il tempo e il modo di andare oltre le prime premesse e alcuni arditi esperimenti, ma quanti preziosi insegnamenti se ne ricavano tutt’oggi!

Rivoluzione francese e Comune di Parigi

C’è una netta linea di demarcazione tra la politica della rivoluzione borghese e quella della rivoluzione proletaria nella “questione femminile”, e prima dell’Ottobre l’ha tracciata la Comune di Parigi.

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