E dunque: i molti passi indietro fatti dal governo Tsipras rispetto alle posizioni di partenza non sono bastati a raggiungere un compromesso, fosse pure un compromesso al ribasso, con la Trojka. La gang FMI-BCE-Commissione europea non voleva il compromesso, bensì la resa totale con la sottoscrizione di un diktat perfino più pesante, se possibile, dei vecchi memorandum.
Poiché non ci piace la demagogia (neppure quella di estrema sinistra), dobbiamo dire che, a suo modo, il governo Tsipras – pur accettando la clausola capestro fondamentale dell’attivo di bilancio crescente (dall’1,5% al 3,5%) per gli anni fino al 2022 – aveva cercato di ridistribuire un po’ i pesantissimi sacrifici messi in preventivo, con un incremento di tasse sulle grandi imprese, sulla pubblicità, sulle licenze televisive e i beni di lusso. Le “istituzioni”, ovvero le istituzioni del capitale globale, dell’usura e del terrore, precisiamo noi, non ne hanno voluto sapere. Niente incremento delle tasse sui capitalisti e su quelli che possono vivere nel lusso; bisogna colpire solo e soltanto dall’altra parte: pensionati, lavoratori, disoccupati, giovani nati senza camicia, poveri, così imparano che lottare contro i comandi dei “mercati” e affidarsi ad un governo, in qualche modo, di sinistra non paga, anzi è controproducente.
Le ragioni per cui la Trojka è stata così inflessibile con Atene da alzare di continuo la posta e costringere Tsipras a “rompere” sono diverse e concatenate, e rispondono anche ad interessi discordanti tra loro, perché nella Trojka non c’è solo l’Europa, c’è anche – e quanto pesa! – il grande fratello/nemico che agisce da Wall Street e dal Pentagono.
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