Grecia: la collera proletaria e studentesca contro il governo Mitsotakis e i padroni delle ferrovie (italiano, francese)

L’articolo che pubblichiamo (lo riprendiamo dal sito http://www.alencontre.org) è un’interessante analisi che conferma diverse nostre “ipotesi di lavoro”, prima tra tutte la nostra convinzione che la classe lavoratrice, ed in particolare la sua componente giovanile, non si sia addormentata per sempre, ma sia, anzi, vicina ad un risveglio in grande stile nelle circostanze, magari, meno prevedibili. Circostanze non necessariamente legate alla lotta rivendicativa immediata – in questo caso si è trattato di un incidente ferroviario che ha causato una strage con decine di passeggeri morti e oltre 100 feriti.

L’autore, A. Ntavanellos, traccia una breve storia delle politiche governative verso le ferrovie greche, che sono la vera causa delle morti nell’incidente del 28 febbraio a Larissa. I governi greci che si sono succeduti negli ultimi decenni sono stati sistematicamente inadempienti ai loro obblighi finanziari nei confronti dell’OSE, l’Organizzazione delle Ferrovie Elleniche. Quest’ultima è stata perciò gradualmente costretta a coprire i costi operativi, gli stipendi, nonché gli investimenti di ammodernamento, prendendo denaro a prestito. A loro volta, i debiti accumulati dall’OSE sono diventati l’argomento principale dei governi greci, da almeno un decennio a questa parte, per favorire la privatizzazione delle ferrovie. L’articolo di Ntavanellos contiene sufficienti informazioni per poter apprezzare come l’Italietta, per alcuni sempre “serva” e “colonia”, abbia profittato di questo processo per comprare le ferrovie greche (TrainOse) per 45 milioni di euro, e quindi abbia la sua chiara parte di responsabilità nell’incidente del 28 febbraio a Larissa.

I governi greci, da Nuova Democrazia a Syriza, hanno ben preparato l’operazione di privatizzazione attraverso una serie di passaggi anzitutto eludendo gli obblighi finanziari di cui parlavamo. La fase successiva ha visto “smontare” il tutto in tante società, più facili da vendere, con una contemporanea operazione di riduzione degli organici. E’ quanto mai vero che la parola d’ordine “il nemico è in casa propria” vale dappertutto! Ma la gestione italica non è stata forse “un passo verso la crescita” come annunciava Alexis Tsipras? Certo che si, ma per i profitti delle Ferrovie dello Stato Italiane che hanno gestito un personale a ranghi ridotti e agito su contratti a termine e col minimo di garanzie possibili, proprio al modo di una potenza imperialista!

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Palestina-Israele: “Né i giudici, né i diplomatici verranno a salvare Sheikh Jarrah” – Amjad Iraqi

Riprendiamo dal sito Alencontre la cronaca dell’udienza della Corte suprema di Israele in cui si doveva decidere sulla proprietà di alcune case del quartiere di Sheikh Jarrah storicamente appartenenti a famiglie palestinesi – case dalle quali un’organizzazione di coloni intende sfrattarle. Sotto l’apparenza di proporre un compromesso, ancora una volta il sistema giudiziario israeliano si è schierato dalla parte dei coloni, benché non abbia avuto l’impudenza di ingiungere l’immediato sfratto delle famiglie palestinesi. La grandissima protesta nata nei mesi scorsi proprio a Sheikh Jarrah e dilagata in tutta la Palestina, per poi divenire internazionale, glielo ha, provvisoriamente, impedito. Solo una forte ripresa di quel movimento di lotta, e la solidarietà internazionale e internazionalista con esso, potrà sbarrare la strada definitivamente ai piani delle organizzazioni dei coloni spalleggiati dallo stato di Israele, a Gerusalemme Est e dovunque. Né i giudici israeliani, né le chiacchiere vuote e ipocrite delle diplomazie internazionali (presenti in aula il 2 agosto a marcare il cartellino), potranno nulla a riguardo.

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È stato esasperante seguire lunedì 2 agosto le deliberazioni della Corte Suprema israeliana su Sheikh Jarrah [un quartiere di Gerusalemme Est a prevalenza di palestinesi]. Durante l’udienza in cui si doveva decidere se i residenti palestinesi saranno sfrattati con la forza dal loro quartiere, i tre giudici hanno proposto un accordo che consentirebbe alle famiglie di rimanere per diversi anni nelle loro abitazioni come “inquilini protetti”, in cambio del pagamento di un piccolo canone di “affitto” [circa 400 euro all’anno] versato al gruppo di coloni Nahalat Shimon, che brama aggressivamente alla proprietà di quelle case con il sostegno della polizia. L’udienza si è conclusa con una situazione di stallo, e il tribunale si è visto costretto a programmarne un’altra la prossima settimana nella speranza che le due parti facciano nel frattempo un passo indietro.

Quello che i giudici hanno descritto come un “compromesso” si è rivelato, però, un ultimatum. I giudici inizialmente si sono rifiutati di concedere alle famiglie palestinesi diversi giorni per esaminare l’accordo, sostenendo pretestuosamente che volevano evitare ulteriori pressioni dei media e che ci sarebbero voluti secoli prima che tutti i residenti fossero d’accordo. Molti palestinesi presenti in aula hanno faticato a seguire le difese in ebraico (non è stata fornita alcuna traduzione ufficiale), ciò che li ha costretti ad affannarsi per ottenere informazioni su quello che gli sarebbe capitato. L’obiettivo dei giudici non era certo dissimulato: era fare pressione sulle parti affinché accettassero l’accordo, per evitare la responsabilità di decidere loro su una questione con una posta politica in gioco così alta.

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Un sistema finanziario mondiale ultra-parassitario che beneficia di una totale protezione, di F. Chesnais

Questo testo di François Chesnais, che traduciamo da http://www.alencontre.org , illustra, con la nota competenza, il folle procedere di un’accumulazione finanziaria sempre più staccata dal processo reale di accumulazione. Mentre le previsioni sulla caduta del pil mondiale e dei singoli paesi si fanno sempre più pesanti, nel secondo trimestre dell’anno le borse hanno avuto un’avanzata travolgente: Wall Street è cresciuta del 30% (il record degli ultimi 23 anni), la borsa di Milano del 17% (il record degli ultimi 17 anni). Le banche centrali sono finora riuscite ad evitare l’esplosione di una crisi finanziaria che moltiplicherebbe l’impatto dell’acuta crisi produttiva innescata dalla crisi sanitaria, ma perfino i massimi funzionari del FMI debbono ammettere che stanno crescendo a dismisura il sistema bancario ombra e i movimenti speculativiin una spirale di contraddizioni sempre più difficili da governare, anche perché i movimenti erratici di questi mega-capitali speculativi sono sempre più affidati a sistemi automatici, robotizzati, regolati sulla ricerca spasmodica di micro-profitti immediati. [Anche se è ben chiaro che questa folle spirale sempre più fuori controllo cerca di trovare, e può trovare, un po’ di “pace” e di “normalità” solo nella feroce intensificazione del suo comando sul lavoro vivo e del suo dominio sulle forze della natura.]

Un altro importante aspetto richiamato da Chesnais è l’imponente fuga di capitali in atto dai paesi dominati e controllati del Sud del mondo che sta generando o incubando – in particolare in Sud America e in Medio Oriente – crisi sociali esplosive (una per tutte, il Libano). Aspetti già noti e aspetti del tutto inediti (per esempio la tendenza semi-secolare al ribasso dei tassi di interesse) si intrecciano in questa che si presenta sempre più come un’epocale crisi di sistema che investe, più in profondità di quella del 2008, l’intera economia mondiale, l’intero sistema sociale capitalistico.

Molto interessante è anche il richiamo all’impegno del FMI e di altri network finanziari nell’incentivare il passaggio al “green capitalism”, che tutto è, e sarebbe, fuori che un’alternativa “sostenibile” al brutale saccheggio della natura e del lavoro proprio del capitalismo del fossile – e ci mette di fronte alla necessità di demolire criticamente e lottare nel concreto questa ed altre false soluzioni alla crisi del modo di produzione e della civiltà del capitale. Non ci salveranno nuovi modelli capitalistici di sviluppo, ci salverà solo la rivoluzione sociale. Pazienza se abbiamo davanti montagne da scalare.

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In Europa, nel corso della pandemia, il sistema finanziario ha ricevuto scarsa attenzione da parte dei media. Solo a fine febbraio/inizio marzo il brusco calo dei mercati azionari ha conquistato la prima pagina di giornali e trasmissioni televisive. In effetti, tra il 20 febbraio e il 9 marzo, abbiamo visto un crollo dei prezzi tra il 23% e il 30%, a seconda delle piazze finanziarie. Ora sappiamo che questo è accaduto grazie all’intervento della FED (la banca centrale degli Stati Uniti). Oggi il supporto fornito agli investitori finanziari non si sta indebolendo. Il 12 giugno la FED ha ridotto i tassi di interesse chiave sui suoi prestiti allo 0% e ha annunciato l’acquisto illimitato di buoni del tesoro [1]. In scia, il 18 giugno la BCE ha annunciato che stava facendo prestiti alle banche dell’area euro per un’ammontare di 1.310 miliardi di euro ad un tasso del -1%. Ad aprile 2019 ho concluso un articolo per A l’Encontre in questo modo: “La questione politica che può sorgere in uno o più paesi europei a seconda delle circostanze è un nuovo salvataggio delle banche da parte dello Stato, con la classica socializzazione delle perdite a spese dei salariati e delle salariate” [2].

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La lotta degli ospedalieri in Francia, e una lettera aperta dall’Italia

Con parecchio ritardo – meglio tardi che mai – riprendiamo dal sito www.alencontre.org alcuni pezzi di cronaca relativi alla riuscitissima giornata nazionale di sciopero e di mobilitazione dei lavoratori ospedalieri in Francia il 16 giugno scorso.

Chi li leggerà, avrà modo di scoprire quanto sovrapponibile sia, negli aspetti essenziali, la situazione francese con quella italiana, a ennesima riprova del carattere internazionale delle questioni che le diverse sezioni della classe lavoratrice (il lavoratore collettivo globale) si trovano a fronteggiare. Ed è proprio questo l’aspetto sottolineato con forza nella lettera aperta di un lavoratore italiano della sanità ad un suo collega, che abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo in appendice. Essa contiene anche l’invito rivolto ai militanti nelle lotte sindacali, a “studiare, propagandare, organizzare” – un invito tutt’altro che scontato in tempi come questi di generalizzata disabitudine ad ogni forma di studio.

Le rivendicazioni espresse dalla giornata di lotta francese del 16 giugno sono basilari: aumento dei salari (300 euro uguali per tutti/e), aumento dei posti letto, aumento dell’occupazione – fine, quindi, della “politica di austerità” che anche in Francia ha comportato pesanti tagli alla sanità pubblica, e l’introduzione di criteri aziendali negli ospedali pubblici. Ma anche a queste rivendicazioni basilari la risposta di Macron e dei suoi è stata un sostanziale no. Un no accompagnato, come da classico rito democratico, dalla messa in scena di un dialogo “concertativo” teso a creare divisioni nel fronte sindacale, molto variegato, che ha indetto le mobilitazioni, e tra gli stessi lavoratori con il consolidato metodo della messa in concorrenza per acquisire (in pochissimi) dei modestissimi miglioramenti, utili più che ai singoli, alla stabilizzazione dello sfruttamento e del governo dispotico della forza-lavoro.

Il 16 giugno non è mancata, naturalmente, l’esibizione di forza, cioè di violenza, da parte della polizia con un robusto lancio di lacrimogeni (di allenamento) e l’arresto brutale di un’infermiera di nome Farida, impiegata da 15 anni nell’ospedale di Villejuif nella Val de Marne (di origini maghrebine, guarda caso), “rea”, sembra, di aver gettato qualcosa contro i poliziotti schierati in provocatorio assetto di guerra contro gli scioperanti. Ha scritto su Twitter nelle ore successive al suo arresto la figlia, giornalista di France24: «Questa donna è mia madre, un’infermiera di 50 anni che per 3 mesi ha lavorato dalle 12 alle 14 ore al giorno. Ha avuto il Covid. Oggi manifestava per la valorizzazione del suo stipendio, per il riconoscimento del suo lavoro. Mia madre è asmatica ed è alta 1 metro 55». Un episodio che, in scia alle innumerevoli violenze compiute negli scorsi anni contro i Gilets Jaunes e gli studenti, ha contribuito ad approfondire ulteriormente il solco tra le istituzioni statali e la massa dei salariati (come certificato anche dall’altissima astensione alle recenti elezioni amministrative).

Le cronache alludono alla possibilità di altre immediate giornate di lotta, che però sinora non ci sono state. Non sopravvalutiamo il 16 giugno francese, ma tanto gli avvenimenti francesi in generale, quanto questo movimento di lotta, sono da seguire con attenzione. E’ un dato storico che il canto del gallo francese abbia svegliato più volte l’Europa. E talvolta la storia si ripete virtuosamente, in forme nuove.

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1.

Francia, 16 giugno: salute e ospedali pubblici, decine di migliaia di manifestanti, di Jean Claude Laumonier

220 cortei, centinaia di manifestanti in piccole e medie città, migliaia nelle grandi agglomerazioni, i cortei degli ospedalieri e dei loro sostenitori hanno riscosso dovunque un grande successo.

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Elezione di Bolsonaro: costruire la più ampia unità di azione in difesa dei diritti e delle libertà democratiche (Conlutas)

Pubblichiamo qui un appello del sindacato Conlutas alla lotta contro il nascente governo Bolsonaro, che riprendiamo dal sito www.alencontre.org – un sito in lingua francese che contiene sulla situazione economica, sociale e politica del Brasile una ricca documentazione con testi di analisi molto interessanti di Ch.-A. Udry, V. Arcary, J.E. Diniz Alves, R. Zibecchi ed altri ancora.

Ci può essere, e c’è, da parte nostra una riserva, un dissenso sul fatto che nell’appello di Conlutas si mettano assieme il destino della classe operaia e quello del paese-Brasile, mentre non stanno insieme. Ma è sacrosanto l’invito di Conlutas alla lotta per la difesa dei diritti e delle libertà democratiche dei lavoratori contro un nuovo governo che si appresta a radicalizzare le politiche anti-operaie già messe in atto dal governo Temer e annuncia una fascistizzazione dell’ordine pubblico che si abbatterà innanzitutto contro gli sfruttati, e questo invito va perciò diffuso e appoggiato. Bolsonaro, fautore di politiche ultra-liberiste, ha già dichiarato che il MST (il movimento dei contadini e braccianti senza terra) e il MTST (il movimento dei senza tetto) saranno trattati alla stregua di “movimenti terroristici”. Più che naturale, quindi, l’esultanza di Trump, Netanyahu (subito gratificato con la decisione di spostare l’ambasciata brasiliana in Israele a Gerusalemme) e Salvini per la sua elezione…

E’ evidente che gli avvenimenti brasiliani degli ultimi anni, l’evoluzione sempre più catastrofica della situazione in Venezuela e in Nicaragua, l’avvento di Macri in Argentina, etc. impongono un serio bilancio del “ciclo progressista” in America del Sud e del cosiddetto “socialismo del XXI secolo”, fatto dal punto di vista della classe lavoratrice – impossibile aspettarselo dai nostrani “popul-sovranisti”.

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Il candidato di estrema destra Jair Bolsonaro (PSL) è stato eletto presidente del Brasile domenica (28), dopo una campagna caratterizzata da una profonda polarizzazione sociale nel paese.

Bolsonaro sale al potere con 57.797.456 voti (il 55,13% dei voti validi), contro i 47.440.829 voti del PT Fernando Haddad (44,87% dei voti validi). Le schede bianche, le nulle e le astensioni hanno raggiunto la cifra record di oltre 42 milioni di elettori.

Le elezioni, con molte contraddizioni, hanno dimostrato la grande insoddisfazione della classe operaia e della maggioranza della popolazione nei confronti  dei politici e dei loro partiti. Ma la mancanza di una prospettiva di fronte alla crisi economica, e la disillusione nei confronti dei governi PT (Partito dei lavoratori, il partito di Lula e D. Rousseff – n.) e il loro adattamento alla logica del sistema marcio, inclusa la corruzione, hanno rafforzato un’opzione di estrema destra.

Tuttavia, la lotta contro l’elezione di Bolsonaro ha mobilitato ampi settori di lavoratori, studenti, settori oppressi e democratici della società civile, dal momento che il suo programma di governo rappresenta ciò che è più dannoso per la classe operaia e il paese: gli attacchi alle libertà democratiche e ai diritti; una politica economica ultraliberista e la cessione della ricchezza e della nostra sovranità con le privatizzazioni di tutte le compagnie statali; la mancanza di rispetto per i diritti umani e le prese di posizione contro i settori più oppressi della società. Continua a leggere Elezione di Bolsonaro: costruire la più ampia unità di azione in difesa dei diritti e delle libertà democratiche (Conlutas)