Dall’archivio fotografico fascismo/antifascismo: la vedova Almirante e Bertinotti

Un compagno ci ha inviato questa foto d’archivio. Ci sembra un buon commento, scherzoso ma non troppo, ad un passo del nostro testo di ieri sul 25 aprile nel quale scrivevamo un’affermazione che risulta ostica, ancora oggi, a molti compagni: “per noi tra democrazia e fascismo non c’è antagonismo”… (non è scritto: c’è identità – bensì, non c’è antagonismo, e non mancano le occasioni, in parlamento o in altri luoghi riservati, di intessere dialoghi costruttivi, conflittuali o – perché no? – consociativi, e di farsi buona ed “elegante” compagnia).

Per chi non riconosca i due campioni immortalati insieme: a sinistra, Raffaela Stramandinoli, detta Assunta, moglie del fondatore e leader storico del Movimento Sociale Italiano Giorgio Almirante, ex alto funzionario della Repubblica di Salò, fascista mai pentito (questo a suo “merito”), e poi per 40 anni filati, fino alla morte, deputato del Parlamento italiano; a destra, Fausto Bertinotti, segretario del Partito della Rifondazione comunista dal 1994 al 2006.

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I tre aspetti di questo 25 aprile: bellicismo, resistenzialismo, pacifismo

1. Bellicismo

Questo 25 aprile ha avuto un timbro bellicista come non mai. L’anniversario (per l’Italia) della fine della seconda guerra mondiale è stato utilizzato dalla presidenza della repubblica e dal governo Draghi per giustificare e potenziare la partecipazione dello stato italiano ad una guerra contro la Russia e i suoi alleati, che è il possibile (o probabile?) inizio di una mostruosa terza guerra mondiale. Certo, come ogni pace imperialista, la pace di Yalta fu infame, garanzia certa di guerre a venire, ma ce ne vuole di pelo sullo stomaco per far coincidere la data di un fine-guerra con la celebrazione in pompa magna di un inizio-guerra (e che guerra!).

Di più: la tradizionale festa per la “liberazione dal nazifascismo” è stata usata quest’anno, più che in ogni altro anno precedente, per cementare l’appartenenza dello stato italiano a quella alleanza bellica, a quello schieramento (NATO, Occidente) che dal 1945 ad oggi hanno insanguinato e devastato il mondo con una brutalità che ha eguagliato e oltrepassato quella del nazismo. Bandiere NATO, bandiere a stelle e strisce, bandiere UE, bandiere tricolori (la bandiera del nostro nemico di classe), bandiere di Israele, bandiere ucraine, unite in un’orgia militarista e occidentalista, in una voluttà di spargere sangue altrui prolungando la guerra in Ucraina a tempo indeterminato, e portando – come NATO – la guerra in Russia e ovunque sia necessario, quale in Italia non si vedeva dai tempi dell’aggressione alla Jugoslavia attuata dal governo D’Alema-Mattarella (1999), o dai tempi del famelico assalto all’Etiopia (1936).

Arriva così al suo capolinea il revisionismo storico borghese (fascista, liberale, democratico) che ha puntato a svuotare di ogni significato l’apporto della classe operaia e degli sfruttati alla resistenza al fascismo, e a cancellare ogni traccia delle loro speranze in un cambiamento radicale dell’economia e della società nel post-fascismo. Un anno dopo l’altro, una mistificazione, una manipolazione dopo l’altra, il 25 aprile è diventata la festa delle istituzioni dello stato del capitale italiano, uscito dalla bruciante sconfitta patita dal regime mussoliniano pressoché indenne nella sua struttura e nel suo personale attraverso un paio di provvidenziali mani di vernice democratica.

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Trieste, 24 ottobre, un “sabato nero”. La polizia di stato ai tempi del Conte bis

Riceviamo dal Coordinamento nazionale per la Jugoslavia e (in parte) pubblichiamo la cronaca della giornata di sabato 24 ottobre a Trieste a firma della storica Claudia Cernigoi.

L’aspetto più rilevante di questa cronaca non riguarda tanto l’attività di gruppi e circoli neo-fascisti e la loro squallida mobilitazione contro qualsiasi forma, anche la più elementare, di solidarietà con i richiedenti asilo e gli immigrati, quanto il comportamento di aperta collaborazione con i loro caporioni tenuto dalla polizia nella schedatura e poi nell’aggressione agli antifascisti in piazza, quattro dei quali sono finiti in ospedale.

Claudia Cernigoi si sorprende del fatto che “la polizia della nostra Repubblica ‘nata dalla Resistenza’ ha caricato, bastonato, sgomberato con violenza, intossicato con spray al peperoncino, un centinaio di persone che stavano semplicemente dimostrando la propria civiltà a fronte dell’intolleranza fascista”. Ma è molto curioso che se ne sorprenda. Da storica non dilettante quale è dovrebbe ricordare che questa Repubblica si premurò già alla sua nascita – nel 1946 – di amnistiare la gran parte dei gerarchi e alti funzionari di stato fascisti (con il ministro di Grazia e giustizia Palmiro Togliatti, che ancor oggi certi “comunisti” considerano un riferimento) e di permettere la ricostituzione del vecchio partito fascista, formalmente vietata dalla Costituzione di carta, sotto le spoglie del Movimento sociale italiano, per opera del gerarca repubblichino Almirante. E poi nei successivi 75 anni questa stessa repubblica democratica ha consentito ai gruppuscoli neo-fascisti di tessere liberamente, e spesso sotto aperta protezione statale, le loro trame stragiste o “sociali”, ha riabilitato il macellaio del popolo libico e del popolo etiope, l’ultra-fascista Graziani, etc. etc.

La Repubblica che è post-fascista, non antifascista – quella stessa che non appalta ai neo-fascisti la guerra agli emigranti e agli immigrati, ma la conduce in primissima persona con la sua legislazione speciale, i decreti sicurezza, le stragi in mare, la polizia di frontiera europea, e così via. Perché il solo vero antifascismo è quello anti-capitalista, rivoluzionario – e dunque “anti-democratico”, nella misura in cui sa che la democrazia è “il miglior involucro del capitalismo”. Del resto, come dice Cernigoi, la sua è una “cronaca di un pomeriggio di ordinaria follia istituzionale“. Se al termine inadeguato e nostalgico “follia”, sostituiamo il più adeguato “attività“, allora ci siamo: Trieste, 24 ottobre, la polizia del Conte-bis ha svolto bene la sua ordinaria attività istituzionale, quella che svolge tutti i giorni in cui ce n’è “necessità” – ad esempio – davanti ai magazzini della logistica contro gli scioperi organizzati dal SI Cobas… Una ordinaria attività istituzionale su cui tanti, troppi antifascisti e militanti (supposti) antagonisti chiudono tutti e due gli occhi.

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