Lo spettro del socialismo è riapparso alla Casa Bianca…

Donald Trump hugs the flag at CPAC on Saturday. ‘America vs socialism’ was the official theme of this year’s CPAC, a slogan stamped all over the convention centre.

Avete ascoltato il discorso d’investitura di Trump? Oltre il prevedibile sciame di virus sciovinisti – la Brave America, l’America nazione eccezionale nella storia del mondo, il destino americano come destino di comando, e via nauseando – contiene una notizia che ha del sensazionale: oggi la grande, potente, invincibile Amerika, l’Amerika “per cui nulla è impossibile”, secondo Trump, è ad un solo passo dal baratro, minacciata dal socialismo, dai marxisti, dalla sinistra radicale, dall’anarchia. Che il miliardiario bianco Joe Biden possa essere l’uomo di paglia del socialismo marxista impersonato da Bernie Sanders, è una boutade degna di quell’impunito, efficace demagogo che Trump è.

Resta però, il fatto sensazionale: gli Stati Uniti d’America, per un intero secolo il baluardo dell’anti-comunismo, il gendarme universalmente presente dell’ordine capitalistico, in grado di attingere a inesauribili arsenali di merci, bombe, dollari, film, per bocca del loro comandante in capo, ammettono che il nemico di sempre, che sognavano di avere definitivamente schiacciato, è invece vivo, ed è ricomparso minaccioso addirittura dentro le mura di casa con i movimenti di piazza urbani e i suoi pericolosi agitators. Il rischio paventato da Trump, con un’accorta esagerazione propagandistica, è che questo nemico possa arrivare ad issare la propria bandiera sulla Casa Bianca oltraggiando a morte l’inviolabile tempio della sacra libertà, la libertà di sfruttare a volontà e assassinare esseri umani e natura non umana. Del resto, al di là delle esagerazioni propagandistiche, una delle tante dimostrazioni del BLM lo aveva costretto a rintanarsi in fretta e furia nei sotterranei blindati del palazzo presidenziale, un ‘piccolo’ fatto di un certo interesse, per noi.

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Stati Uniti. Cose strane succedono a Portland…

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo aggiornamento sugli avvenimenti di Portland, la città più grande dell’Oregon (circa 600.000 abitanti), nel nord ovest degli Stati Uniti, ai confini con il Canada. La protesta non si ferma, benché in questa piazza la presenza degli afro-americani sia minima. Eppure, guardate cosa che sta succedendononostante la provocatoria presenza e l’intervento di truppe federali e contractors, o forse proprio per questo.

59 giorni consecutivi di proteste e di lotte in strada a Portland, da quando l’assassinio di George Floyd il 25 maggio è stata la scintilla che ha fatto irrompere questo inedito movimento contro la violenza della polizia. Movimento composto di sfruttati neri, latinos e bianchi senza riserve, uniti in un unico sentimento: contro il razzismo della polizia ed il razzismo sistemico che pervade tutta la società.

Il movimento di protesta non si arrende. Le mobilitazioni che stavano via via scemando hanno trovato nuova linfa e una nuova determinazione per rispondere all’escalation della repressione razzista dello Stato.

Mentre di giorno migliaia di giovani sfruttati manifestano, ogni notte in strada si ripete la battaglia contro la polizia e contro i simboli di questo razzismo rappresentato dalle statue degli “eroi” della supremazia bianca e dai palazzi del governo federale. Giornate di scontri intorno ai palazzi della Corte Federale di Giustizia, di bandiere a stelle e strisce date alle fiamme, di tentativi di ripetere il CHOZ di Seattle, contro cui la polizia locale non ha lesinato il pugno duro.

Dai primi di luglio la repressione dello Stato è diventata ancora più cruenta, ma il movimento di lotta non intende indietreggiare. Un battaglione delle forze della polizia del Dipartimento di Sicurezza nazionale (quel perfido corpo addestrato alle operazioni antiterrorismo ed alla difesa armata del confine con il Messico e contro gli immigrati clandestini) è stato inviato da Trump per cercare di terrorizzare il movimento e gli sfruttati tutti di Portland.

Le azioni violente di queste forze di polizia federali avvengono in modo brutale. Giovani vengono catturati e portati via usando auto a noleggio, quindi non registrate, senza costituire un arresto ufficiale: quanti di questi “arresti” sono stati compiuti ai danni di immigrati musulmani o di afroamericani di fede musulmana e condotti in carceri speciali e segrete a causa della guerra di rapina continua agli oppressi del mondo arabo islamico innescata dalla falsa guerra di civiltà contro il terrorismo?

Il movimento di protesta non si arrende. Le mobilitazioni che stavano via via scemando hanno trovato così rinnovata linfa e una nuova determinazione proprio per rispondere colpo su colpo all’escalation della repressione razzista dello Stato. Le manifestazioni hanno ricominciato a riempirsi della voglia di battersi da parte dei giovani sfruttati. A queste, come aspetto di una ricomposizione di un fronte di classe al di là della razza, si è aggiunto anche un aspetto di una ricomposizione generazionale di questi settori di proletari e sfruttati. Le piazze si sono riempite delle mamme in divisa gialla, schierate alla testa dei cortei ed al grido “federali attenti, le mamme sono qui”.

Tutto questo accade a Portland proprio perché è una delle espressioni più alte di questo sentimento di lotta contro il razzismo sistemico e per il “black lives matter” unitario degli sfruttati colorati e dei proletari bianchi incondizionatamente al fianco dei propri fratelli afroamericani e latinoamericani. Portland è una delle grandi città americane dove il razzismo e l’oppressione del popolo afroamericano storicamente si è caratterizzato non attraverso la segregazione ma attraverso la pulizia etnica dello Stato che ha cacciato i “neri” dalle città. In Oregon è rimasta in vigore fino al 1926 una legge che impediva agli afroamericani di entrarvi e di risiedervi, mentre sempre per legge lo Stato dell’Oregon vietava i matrimoni interrazziali fino agli anni cinquanta. Non è un caso, dunque che la popolazione afro-americana a Portland e nell’Oregon è la più bassa degli USA: gli afroamericani a risiedervi sono solo il 2% in tutto lo Stato ed il 5% a Portland.

Questa inedita unità di lotta tra sfruttati di ogni colore spaventa le forze sociali del capitale; la repressione qui è brutale ed è necessaria per spezzare sul nascere questo embrionale antagonismo che è di razza e di classe. Il Sindaco di Portland Ted Wheeler ha richiesto ufficialmente al governo di Washington di ritirare la polizia federale aggiungendo che il consiglio della città non le vuole. Altri esponenti dello Stato dell’Oregon si riferiscono alla presenza della polizia federale in strada a Portland come la presenza di “truppe di occupazione”. Più che guardare a questi conflitti e contraddizioni tra le istituzioni come espressione di una America che vede da una parte una componente democratica e liberale, contrapposta al bieco autoritarismo di Trump sceso da Marte, ne va capita la reale dinamica.

La crisi economica e sociale inarrestabile, aggravata ed accelerata dalla pandemia, il profondo smottamento di tutte le relazioni sociali che stanno contrapponendo forze sociali e classi sociali tra di loro, arriva a scuotere anche la sovrastruttura dello Stato centrale. Lo Stato degli USA, quel moloch indiscutibilmente centralizzato, militarizzato e coeso dall’acciaio fuso, scricchiola paurosamente. La crisi profonda, che è anche globale, richiede l’uso di politiche inedite per governare e traghettare la società americana verso più violenti scontri nella acuita concorrenza internazionale del capitalismo globale. A farlo scricchiolare è l’azione combinata di questa crisi e di questo insorgente movimento che essa stessa ha prodotto.

Questi fatti ci devono dire che tornare indietro non è più possibile. In questo scricchiolio anche l’intero liberalismo democratico viene messo all’angolo, è costretto a retrocedere ed infine a lasciare il passo alle politiche che richiamano la necessità di una repressione più dura. La repressione a Portland federalmente diretta dalla Casa Bianca arriva dopo che la repressione democratica condotta dal governo democratico dello Stato dell’Oregon e della città di Portland non è riuscita ad arrestare e a soffocare il movimento. Tant’è che Trump si appresta a mandare altre truppe federali della polizia del Dipartimento di Sicurezza Nazionale a Chicago, Washington, Seattle e New York, dove il 20 luglio l’azione nazionale dello sciopero per la vita dei neri – “strike for the black lives” – mostra ancora scenari di vitalità di questo inedito movimento di lotta di giovani proletari neri, latini, bianchi ed immigrati.

Molti video degli scontri di Portland di questi giorni ci mostrano le azioni dei federali contro le proteste che non evidenziano truppe militari addestrate e disciplinate, bensì delle scorribande isteriche tipiche dei branchi animali: cariche scoordinate e rapide ritirate disordinate; attacchi isterici che colpiscono alla cieca, urla incomprensibili. Sembrano delle truppe drogate, forze di polizia sotto l’effetto di stupefacenti, di droghe e allucinogeni. Cosa che non stupisce, in quanto la storia dell’esercito americano ci racconta del largo uso della somministrazione di eroina, LSD e crack alle truppe, per infondere coraggio alle truppe mandate sui fronti di guerra in Vietnam, in Iraq ed in Afghanistan. Altrettanti video ci mostrano che le mamme di Portland non si lasciano intimidire facilmente e con coraggio ancora questa notte la lotta continua.

Stati Uniti: il movimento anti-razzista si intreccia con un numero crescente di scioperi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo nuovo aggiornamento sugli sviluppi della situazione negli Stati Uniti, a ieri, 19 giugno. Oggi Trump ha radunato le sue truppe a Tulsa, ed è sicuro che ci sarà battaglia nei prossimi mesi, forse più dura ancora che in quelli passati.

Ieri, 19 giugno, era il Juneteenth – si ricorda e si celebra il 19 giugno 1865, giorno in cui l’ultimo stato confederato, il Texas, fu costretto ad abolire la schiavitù. Da generazioni gli afro-americani celebrano questo giorno, che non è una festa nazionale.

Ieri ci sono stati moltissimi cortei attraverso tutti gli Stati Uniti, ma anche molti scioperi spontanei: tra i più significativi quello dei lavoratori di Amazon di New York e quello dei portuali di Oakland.

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Dall’Amerika all’Italia: una sola lotta contro razzismo di stato, sfruttamento e violenza di classe

Qui di seguito il volantino distribuito oggi a Treviso all’iniziativa di solidarietà con la grande sollevazione degli afro-americani che sta scuotendo gli Stati Uniti. Sul retro di questo testo c’era il comunicato del SI Cobas e del Csa Vittoria di Milano sulla brutale aggressione poliziesca di due giorni fa alla TNT di Peschiera Borromeo.

Dalla magnifica rivolta degli afro-americani (e non solo) in Amerika, alla lotta contro il razzismo di stato qui, e ovunque

La forza della sollevazione degli afro-americani nata dall’uccisione a Minneapolis di George Floyd da parte della polizia, è stata talmente straordinaria da riempire le strade non solo di tutte le grandi e medie città statunitensi, e avere un’eco forte in quasi tutto il mondo.

Non è la semplice replica di quanto è già avvenuto in passato. Perché per la prima volta nella storia il movimento dei neri si è trovato accanto un significativo settore di giovani sfruttati bianchi che si è schierato con loro senza chiedere nulla in cambio, senza chiedere su che cosa, come e dove organizzare, orientare la lotta. Perché per la prima volta nella storia il movimento di protesta degli afro-americani gode oggi di una larghissima simpatia popolare nella società statunitense, dove lo scontento sociale cresce da tempo anche tra i lavoratori bianchi e di altri ‘colori’. Perché per la prima volta nella storia il movimento anti-razzista statunitense non si è limitato a chiedere la punizione dei singoli colpevoli, né – come fece nel 2015 lo stesso movimento Black Lives Matter – la riforma della polizia, ma ha formulato una rivendicazione assai più radicale: defund the police. Tagliare i fondi alla polizia (che vanno dal 10% al 40% dei bilanci comunali) per trasferirli all’istruzione, alla sanità, ai servizi sociali; quindi cominciare a smantellare la polizia, a “sognare” un mondo senza la polizia. Questo, proprio mentre ovunque, dagli Stati Uniti all’Italia, si rafforzano i dispositivi militari e polizieschi, e la classe dei capitalisti, che ci ha precipitati in questa crisi catastrofica, ha la pretesa di mettere le manette al conflitto di classe e ai conflitti sociali.

Manifestare la nostra solidarietà alla rivolta sociale negli Stati Uniti, come è avvenuto in diverse città italiane, non può significare soltanto sostenere la “loro” lotta. Perché anche in Italia le discriminazioni, i soprusi e le violenze di stato contro gli immigrati dall’Africa sub-sahariana, e contro tutte le popolazioni immigrate senza eccezioni, sono prassi quotidiana nei luoghi di lavoro, nelle scuole, sul territorio – e non solo da parte della polizia. Basti l’esempio dell’ultima sanatoria-beffa decisa dal governo Conte, pensata in modo tale da condannare la gran parte degli immigrati irregolari a restare irregolari (quindi, ricattabili e super-sfruttati), o quanto accaduto appena due giorni fa alla TNT di Peschiera Borromeo (vicino Milano) dove c’è stato un brutale intervento della polizia per stroncare uno sciopero contro il licenziamento di 80 operai organizzati con il SI Cobas.

  • Tutto il nostro sostegno ai fratelli neri, bruni e bianchi che si sono sollevati negli Stati Uniti dando un esempio da seguire in tutto il mondo!
  • Abolizione totale della legislazione contro gli immigrati, a cominciare dalle leggi-base: la Turco-Napolitano che istituì i Centri di detenzione, la Bossi-Fini, e i decreti Salvini!
  • Permesso di soggiorno incondizionato, valido nella UE per tutte le immigrate e gli immigrati presenti sul territorio nazionale!
  • Fronte unico proletario tra lavoratori/trici autoctoni e immigrati contro il padronato e il governo Conte (Pd-Cinquestelle), in una prospettiva anti-capitalista e internazionalista!

12 giugno 2020

Comitato permanente contro le guerre e il razzismo
Il Cuneo rosso – piazzale Radaelli 3, Marghera
com.internazionalista@gmail.com