Dal Brasile si allarga lo sciopero internazionale dei riders, di p.z.

Negli stessi giorni in cui scoppiano le rivolte degli afroamericani negli USA contro le violenze della polizia, i riders brasiliani, giovani e per lo più neri, in uno sforzo di auto-organizzazione esemplare, giungono a proclamare una giornata di blocco della loro attività e a raccogliere la solidarietà e la partecipazione dei lavoratori dei trasporti metropolitani e di altre categorie, di studenti, di movimenti e organizzazioni sociali. Inoltre, hanno creato una rete di coordinamento con i riders di altri paesi latino-americani per convergere in una mobilitazione unitaria e internazionale sotto le parole d’ordine: “La nostra vita vale più del loro profitto!”, “Abbiamo tutti gli stessi diritti!”, “Una sola classe, una sola lotta!”.

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1° Maggio. I lavoratori in lotta in tutto il mondo sfidano Covid-19 e repressione

Riprendiamo qui il Comunicato del SI Cobas sul 1° maggio nel mondo. Ci sarebbe molto da ragionare sulla polarizzazione sociale e politica in atto in particolare negli Stati Uniti che a noi sembra anticipare gli sviluppi prevedibili anche in altri paesi dell’Occidente. E, per altro verso, sullo svolgimento dello scontro di classe nei paesi arabi e in Medio Oriente , là dove i fatti libanesi sembrano anticipare l’inevitabile ripresa dello scontro di classe in Algeria, in Iraq, in Iran, in Sudan e a seguire. Torneremo su questi temi, perché anche se domina tuttora il disinteresse verso gli svolgimenti internazionali della lotta di classe, anche se va di moda l’insipida ‘sapienza’ geo-politica ‘di sinistra’, da questi svolgimenti dipende molto della nostra sorte.

Photos: Workers Across The World Mark May Day, Even During Coronavirus

La doppia crisi, sanitaria ed economico-sociale causata dalla pandemia da COVID-19, ha sottoposto i lavoratori e le lavoratrici di tutto il mondo agli stessi problemi: difendersi dal contagio e rischio della vita per sé e i propri familiari mentre si è costretti a lavorare, difendersi da impoverimento e fame per chi è rimasto disoccupato a causa della chiusura di attività.

Il Primo Maggio, la giornata internazionale di lotta dei lavoratori, ha colto i lavoratori di ogni paese e le organizzazioni sindacali nella condizione di non poter tenere le tradizionali manifestazioni; in gran parte dei paesi i governi, prendendo a pretesto la prevenzione del contagio, non hanno permesso di tenere neppure piccole manifestazioni nel rispetto delle misure di distanziamento sociale e con le mascherine.

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Riparte il movimento delle donne, internazionale e di massa. Evviva!

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E’ davvero difficile sopravvalutare l’importanza della giornata mondiale di lotta dell’8 marzo 2017 proclamata dal movimento delle donne dell’Argentina e degli Stati Uniti e la sua evidente valenza internazionalista – specie in tempi come questi di crescenti intossicazioni nazionaliste di destra e di funesto nazionalismo di sinistra.

È altrettanto importante che questo magnifico appello a scioperare, manifestare, protestare, venga sull’onda di mobilitazioni di massa, talvolta molto imponenti, con centinaia di migliaia di manifestanti (non solo donne), avvenute nei mesi scorsi nel Nord e nel Sud America, in Polonia e in Sud Corea, in Irlanda, in Italia e altrove. I documenti che hanno promosso questo evento internazionale, inoltre, anche questo è notevole, hanno preso nettamente le distanze in modo polemico dal ‘femminismo delle donne in carriera’, in nome di un “femminismo del 99%” delle donne, che fa riferimento alle lavoratrici del mercato formale, alle donne che lavorano nella sfera della riproduzione sociale e della cura, alle donne disoccupate, alle donne precarie. E hanno annunciato un nuovo movimento femminista internazionale caratterizzato da “un’agenda inclusiva allo stesso tempo anti-razzista, anti-imperialista, anti-eterosessista, anti-liberista”.

In questo modo l’8 marzo, da giorno istituzionale dei rametti di mimosa avvolti nel cellophane, dei rituali inchini alle ‘regine di un solo giorno’, è ricondotto al suo autentico significato storico: giornata di lotta, di sciopero, di auto-attivazione delle donne contro tutti i meccanismi, i contesti, i poteri che pesano sul loro lavoro domestico ed extra-domestico e sulla vita della grandissima maggioranza di loro.

Negli Stati Uniti, una forte spinta alla mobilitazione l’ha data l’elezione di quel bel campione del suprematismo maschile, bianco e miliardario che è Trump, e l’ha ingrandita anche la necessità degli sconfitti democratici e delle galoppine di Killary Clinton e del suo ‘femminismo’ imperialista, di cavalcare furbamente e cercare di capitalizzare il diffuso sentimento anti-Trump.

Ma si farebbe un grave torto alle piazze statunitensi del 21 gennaio se non si cogliesse che il loro messaggio è andato molto al di là di questo. Pur in un quadro eterogeneo e non privo di aspetti e presenze respingenti, da quelle piazze è arrivata la denuncia di una stretta in atto sulle donne di tipo patriarcale (sia del patriarcalismo individuale che di quello collettivo) insieme con il chiaro invito alla lotta al razzismo e all’islamofobìa (qui da noi praticamente assente ovunque, specie all’estrema sinistra), e con la denuncia, nelle frange più radicali, del sistema capitalistico in quanto tale.

Vi sembra poco che le promotrici dell’8 marzo negli Stati Uniti dichiarino di “prendere ispirazione dalla coalizione argentina Ni Una Menos” e dalla sua vibrante denuncia delle molte facce della violenza contro le donne: “violenza domestica, ma anche violenza del mercato, del debito, dei rapporti di proprietà capitalistici e dello stato”, e delle molte forme delle politiche discriminatorie e repressive contro le differenti figure di donne? Continua a leggere Riparte il movimento delle donne, internazionale e di massa. Evviva!

Il ritorno del movimento delle donne. Voci dall’Argentina e dagli Stati Uniti

Segnaliamo i manifesti per lo sciopero delle donne dell’8 marzo stilati rispettivamente dal collettivo argentino Tribuna Feminista e da un gruppo di femministe degli Stati Uniti, tra cui Linda Martín Alcoff, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya, Nancy Fraser, Keeanga-Yamahtta Taylor, Rasmea Yousef Odeh, Angela Davis e Barbara Ransby. Entrambi i manifesti denunciano il sistema che legittima le violenze maschili e le discriminazioni di genere e si scagliano contro gli attacchi del capitale che, nel corso del trentennio neoliberista e ancor più in questa fase di crisi, sta cercando di cancellare i diritti conquistati con dure lotte e di riportare indietro nella storia la condizione femminile. Inoltre, soprattutto nel manifesto che ci giunge dagli Stati Uniti, vengono prese le distanze dal tentativo del femminismo istituzionale strettamente collegato al partito democratico di prendere la direzione del movimento di protesta sceso in piazza contro Trump, denunciando la natura di classe delle politiche di austerity adottate dai governi socialdemocratici. L’appello è per una manifestazione internazionale e militante, che riporti in piazza le donne contro il patriarcalismo, il razzismo, l’omofobia, l’imperialismo e il neoliberismo. In una parola: contro il capitalismo.

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Stati Uniti – Oltre il “farsi avanti”: Per un femminismo del 99% e uno sciopero internazionale e militante l’8 Marzo – di Linda Martín Alcoff, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya, Angela Davis, Nancy Fraser, Keeanga-Yamahtta Taylor, Rasmea Yousef Odeh

Le immense manifestazioni di donne del 21 Gennaio possono rappresentare l’inizio di una nuova ondata di lotte femministe militanti. Ma quale sarà esattamente il loro obiettivo? Dal nostro punto di vista, non è sufficiente opporsi a Trump e alle sue politiche aggressivamente misogine, omofobiche, transfobiche e razziste; bisogna anche rispondere agli attacchi del neoliberismo progressista allo stato sociale e ai diritti del lavoro. Mentre la misoginia spudorata di Trump ha rappresentato la miccia per la risposta massiccia del 21 Gennaio, l’attacco alle donne (e a tutti i lavoratori) è di gran lunga precedente alla sua amministrazione. Le condizioni di vita delle donne, specialmente quelle delle donne di colore e lavoratrici, disoccupate e migranti, sono state costantemente deteriorate negli ultimi 30 anni, a causa della finanziarizzazione e della globalizzazione capitalista. Il femminismo del “farsi avanti” e le altre varianti del femminismo della donna in carriera hanno abbandonato al loro destino la stragrande maggioranza di noi, che non ha accesso all’autopromozione e all’avanzamento individuale e le cui condizioni di vita possono essere migliorate solo attraverso politiche che difendono la riproduzione sociale, la giustizia riproduttiva e la garanzia dei diritti sul lavoro. La nuova ondata di mobilitazione delle donne deve affrontare tutti questi aspetti in maniera frontale. Deve essere un femminismo del 99%. Continua a leggere Il ritorno del movimento delle donne. Voci dall’Argentina e dagli Stati Uniti