Il pugno di ferro di Biden e del Senato contro lo sciopero generale dei ferrovieri: vietato!

Il governo di Washington, l’inflessibile, l’instancabile promotore universale dei “diritti umani” (i diritti dell’imperialismo, s’intende), non scherza neppure in casa propria. Per ieri, 9 dicembre, era fissato il più grande sciopero dei ferrovieri degli ultimi decenni, ma a pochi giorni dall’evento, la banda-Biden ha fatto votare dal Senato (risultato: 80 a 15) una legge che obbliga i ferrovieri ad accettare senza scioperare la proposta padronale che la maggioranza di loro aveva respinto.

E sì che, nel settembre dello scorso anno, Biden aveva giurato: “Intendo essere il presidente più a favore dei sindacati, alla guida dell’amministrazione più a favore dei sindacati nell’intera storia degli Stati Uniti”, esaltando così al massimo grado il ruolo di spacciatori di menzogne dei “capitalist politicians”, i politici al servizio del capitale. Inutile specificare che Biden (come la Pelosi) ha insistito sulla supposta necessità di «proteggere milioni di famiglie lavoratrici da danni e dai disagi e di mantenere intatta la catena di approvvigionamento nel periodo delle feste», salvo aggiungere entrambi che l’obiettivo della sua decisione è quello di evitare «una catastrofe economica»…

Di questa brutale violazione delle necessità più elementari dei lavoratori – i ferrovieri chiedevano anzitutto il pagamento dei giorni di malattia, che oggi sono a loro totale carico – non si trova una sola parola sull’arcipelago dei nostrani siti anti-americani che si vogliono ancora “di sinistra”, a riprova che i loro attacchi agli Stati Uniti e alla NATO sono solo ed esclusivamente in chiave nazionalista, per difendere gli interessi dell’Italia, del paese-Italia, della nazione-Italia, della “sovranità” dell’Italia, del capitalismo made in Italy.

Dal fronte di classe opposto, noi internazionalisti abbiamo invece lo sguardo fisso sui movimenti dell’altra America, la nostra America, l’America degli sfruttati neri bianchi marroni, che si sta rimettendo in movimento su scala sempre più ampia, e che, anche se non ha avuto questa volta la forza di ribellarsi a questa legge ammazza-sciopero, continua a prendere coscienza, per diretta esperienza, dell’abissale distanza che corre tra le istituzioni del governo e dello stato e la classe lavoratrice – premessa alla presa di coscienza del carattere antagonistico di questo rapporto.

Su tutta la vicenda, che ha avuto un’eco ben al di là della categoria, presentiamo qui di seguito la sintesi di un articolo di recente pubblicazione sul portale di Labor Notes, in cui Ross Grooters, co-presidente della Railroad Workers United (RWU), offre alcune valutazioni sulla lotta dei ferrovieri di sicuro interesse. (Red.)

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Al fine di evitare uno sciopero che si preannunciava in grado di paralizzare l’attività del settore per la prima volta da trent’anni a questa parte, lo scorso 1° dicembre è stata imposta a 120.000 lavoratori nel trasporto ferroviario degli Stati Uniti l’accettazione di un nuovo contratto di categoria.

Questa è la risposta dell’amministrazione Biden a tre anni di negoziati e tentativi di mediazione conclusisi con un nulla di fatto, dopo che la maggior parte dei lavoratori aveva rifiutato le condizioni proposte, non rispondenti ai loro bisogni autentici e in particolare all’ottenimento del congedo per malattia retribuito.

Il Congresso ha trascurato i risultati delle votazioni degli iscritti alle dodici sigle sindacali del settore ferroviario, imponendo un accordo specifico frutto della “mediazione” tra quanto suggerito da un consiglio presidenziale di emergenza (da anni c’è sempre qualche emergenza da invocare) e gli “aggiustamenti” proposti dal Segretario del Lavoro degli Stati Uniti, Marty Walsh. Tale proposta era stata messa ai voti, e nonostante otto sindacati la avessero accolta (sebbene non tutti alla prima votazione), i restanti quattro – rappresentanti più del 55% dei lavoratori del settore – l’avevano respinta.

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Stati Uniti: cresce l’opposizione dei ferrovieri all’accordo di svendita voluto da Biden&Co.

Lo scorso fine settimana l’economia statunitense ha corso il grosso “rischio” di fermarsi per uno sciopero generale nazionale dei ferrovieri, ma provvidenzialmente, per la violenta pressione dell’amministrazione Biden, si è arrivati ad un accordo-bidone che sta ricevendo un ampio rifiuto da parte dei ferrovieri. Su questa vicenda, riceviamo e volentieri riprendiamo dal World Socialist Web Site un articolo di Tom Hall che documenta la ribellione in atto di tanti ferrovieri statunitensi contro l’ipotesi di accordo. Chi leggerà, apprenderà cose che neanche noi conoscevamo sulle condizioni vessatorie a cui debbono sottostare questi proletari e sulle rivendicazioni che da tali condizioni stanno emergendo con forza. Anche negli Stati Uniti, la ripresa delle lotte passa necessariamente per lo sbaraccamento totale delle burocrazie sindacali da parte della massa dei proletari risvegliata a sé stessa. (Red.)

https://www.wsws.org/en/articles/2022/09/19/rail-s19.html (originale inglese)

https://www.wsws.org/fr/articles/2022/09/20/chem-s20.html (versione francese)

Lavoratori delle ferrovie: diteci cosa ne pensate dell’accordo con la Casa Bianca. Contattateci compilando il modulo in fondo a questa pagina. Contattate il comitato di base dei lavoratori ferroviari all’indirizzo railwrfc@gmail.com.

L’opposizione dei ferrovieri all’accordo di svendita concluso giovedì scorso con i sindacati e la mediazione dalla Casa Bianca per scongiurare uno sciopero nazionale, continua a crescere.

L’accordo non dà soluzione a nessuno dei reclami dei lavoratori ed è essenzialmente un rimaneggiamento dei termini contrattuali proposti dal Presidential Emergency Board (PEB) di Biden – prevede un solo giorno di malattia pagato all’anno, e tre giorni di malattia non pagati (invece che zero). In effetti, i funzionari sindacali hanno ammesso la scorsa settimana che non esiste ancora un accordo formale, e non ci sarà per diverse settimane, facendosi così beffe del principio “niente contratto, niente lavoro”.

L’accordo [l’ipotesi di accordo] viola lo schiacciante pronunciamento di oltre 100.000 ferrovieri per uno sciopero finalizzato ad ottenere un contratto che soddisfi le loro esigenze, espresso in un incontro nazionale online mercoledì notte da 500 lavoratori, sponsorizzato dal Comitato di base dei lavoratori delle ferrovie (Railroad Workers Rank-and-File Committee). L’assemblea ha approvato una risoluzione che avverte i sindacati che “qualsiasi tentativo di forzarci ad applicare contratti che non accettiamo e che non sono stati votati, o di farci lavorare senza contratto, violerà le chiare istruzioni date dai lavoratori.”

I sindacati speravano che l’annuncio dell’accordo avrebbe portato l’umore militante e determinato che c’è tra i lavoratori a cedere ad un sentimento di scoraggiamento. Ed invece non è andata in questo modo. I lavoratori sono furiosi per il tradimento e determinati a resistere.

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Uvalde è l’America, una società in disgregazione

Nella società statunitense i morti per disperazione e quelli prodotti da disperati si ammassano quotidianamente come merci di scarto nel più smisurato supermercato del mondo.

Curioso. A una settimana dal massacro di Uvalde, nella moltitudine di geo-strateghi che sdottorano sulla guerra in Ucraina, neppure uno di numero ha collegato quel tragico evento all’incontenibile bisogno di massacro manifestato in questi mesi dall’amministrazione Biden, dall’Ucraina a Taiwan. Eppure il nesso è evidente.

Gli Stati Uniti d’America sono oggi una società in disgregazione, solcata da fratture di classe, razziali, politiche, culturali, territoriali in via di allargamento. Una società in cui i morti per disperazione e i morti prodotti da disperati si ammonticchiano quotidianamente come merci di scarto nel più smisurato supermercato del mondo, i cui scaffali sono affollati da armi d’ogni tipo. In questa società imperversa la stessa necessità” di omicidi di massa che gli Stati Uniti hanno esportato ovunque negli ultimi decenni, dai deserti e dalle città dell’Iraq alle periferie di Belgrado fino alle montagne dell’Afghanistan, con il concorso dei volonterosi carnefici amici. Al di là del dollaro, il cui regno è sempre più efficacemente contestato nel mondo, è la violenza bruta l’arma di ultima istanza con cui l’invecchiata superpotenza tenta di frenare il suo irreversibile declino.

Solo dei poveri fessi ignari di tutto possono scambiare la cupa Amerika del 2022 con quella trionfante e allegra del 1945, magnete attrattivo – checché se ne dica – anche per le genti al di là della cortina di ferro. Così tanto al di sopra di leggi e convenzioni valide per tutti gli altri stati (a cominciare dalla Germania nazista appena sconfitta e processata per i suoi crimini) da poter esibire, a guerra finita, la propria arma di sterminio di massa senza dover pagare alcun dazio morale. Commettere l’efferato crimine di polverizzare in un istante la vita di centinaia di migliaia di esseri umani a Hiroshima e Nagasaki, e subito dopo, come nulla fosse accaduto, inondare i paesi sudditi di “generosi” anticipi e simpatiche gag/accattivanti sorrisi delle star hollywoodiane. Quanto lontani quei tempi! Certo, il complesso militare-industriale continua a funzionare a pieno regime, ed è in grado, anche più dell’omologo russo, di generare terrore, ove direttamente, ove per interposti burattini. Ma – questa è la grande novità – l’interna decomposizione di quella che osò proporsi come la prima società moderna totalmente coesa, composta di soli ceti medi, ha reso questa grande potenza militare impotente, da mezzo secolo, a vincere fino in fondo una sola guerra, per quanto asimmetrica fosse. Da mezzo secolo l’Amerika, o perde le guerre (Vietnam, Afghanistan), o perde la “pace” (Iraq, Libia, Siria).

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In 6 mesi l’amministrazione Biden ha arrestato più di un milione di richiedenti asilo, mentre il suo scudiero Johnson li deporta in Ruanda…

I campioni mondiali dei “diritti umani”…

The US Has Arrested Over 1 Million Asylum Seekers in the Past 6 Months

The U.S. has hit a record number of apprehensions at the border shared with Mexico, arresting over 1 million asylum seekers in the past six months alone. We speak with immigration attorney Erika Pinheiro about the Biden administration’s unequal treatment of different nationalities, as refugees from countries like Haiti, Cuba and Cameroon face harsh restrictions on asylum, but Ukrainian refugees seem to be receiving special treatment and even exemption from Title 42. “Asylum is supposed to be a universal standard protecting individuals fleeing persecution from any country, but in practice it’s always been a political tool wielded by the United States to favor those fleeing regimes that the United States opposes,” says Pinheiro.

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Il Regno Unito vuole mandare i migranti in Ruanda: 120 milioni di sterline al governo di Kigali

Firmato un memorandum con il paese africano. Il premier Boris Johnson: “Grande deterrente per i migranti che vogliono raggiungere il Regno Unito”. “Forte opposizione” dell’Alto Commissariato per i rifugiati: “Sono persone, non merci”.

Qui di seguito un onesto articolo da “Famiglia cristiana” del 20 aprile, che giustamente chiama in causa, per una decisione del genere, il colonialismo, e ricorda agli smemorati che l’invenzione dei campi di concentramento fu una delle tante mirabili opere del colonialismo britannico. Ne sottolineiamo un passaggio:

“Dunque abbiamo avuto un ennesimo saggio di quello che è la Brexit: la fine della libera circolazione non solo delle merci ma anche degli uomini e tutto ciò che ne consegue in peggio, il brutale trasferimento di uomini come se fossero cose in luoghi totalmente diversi dalla meta che si erano prefissi. Un salto indietro non di uno, ma di due secoli, l’epoca della schiavitù.”

Un passaggio felice che dedichiamo a quella congrega di cialtroni reazionari che anni fa, “da sinistra”, presero a riferimento la Brexit come una via favorevole ai lavoratori per conquistare, attraverso un presunto recupero di “sovranità nazionale”, una condizione migliore. (Red.)

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Le sanzioni di Biden contro l’Afghanistan fanno morire di fame un popolo: è un genocidio, di Eve Ottenberg (Counterpunch)

A dicembre il Programma alimentare mondiale ha scoperto che il 98% degli afgani non ha abbastanza da mangiare”. La carestia afghana ha un preciso colpevole: “La decisione degli Stati Uniti di fermare gli aiuti al Paese e congelare miliardi di fondi del governo afghano”.

Un nostro lettore e amico ci ha segnalato questo articolo di Counterpunch accompagnando la sua segnalazione con le seguenti parole di commento: “una infamia, oltre il per-niente-credibile o immaginabile. Le guerre degli Stati Uniti – niente di simile nella storia del mondo. Una città posta sulla collina, è questo che li rende così speciali: le guerre”.

Come dargli torto? Questa vigorosa denuncia morale e politica delle spietate sanzioni che l’amministrazione Biden ha imposto al popolo afghano merita di essere conosciuta. Può contenere qualche illusione su Russia, Cina o Onu, è vero (illusione che noi non condividiamo); ma la sua indiscutibile forza è nel prendere di mira il proprio governo, il proprio stato, il proprio imperialismo, e non fargli sconti di alcun tipo. E proprio mentre i decibel della retorica di guerra statunitense contro il “macellaio Putin” assordano il mondo.

Di nostro aggiungiamo solo che il “nostro” capitalismo non ha mai fatto mancare l’appoggio alle memorabili “imprese” belliche statunitensi, né all’arma strangolatoria delle sanzioni. In questo caso la prima fondamentale forma di complicità è l’assoluto silenzio dei media. (red.)

Quando l’11 febbraio gli Stati Uniti hanno rubato 7 miliardi di dollari dall’Afghanistan, non si è trattato di un semplice crimine di rapina. È stato un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità che condanna forse milioni di afghani alla fame. In breve, un preludio al genocidio. Biden compie una prevaricazione per giustificare questo vero e proprio furto di fondi afghani chiamando in causa il risarcimento per le vittime dell’11 settembre. Il governo afghano non ha ucciso i loro cari; anzi nel 2001 i talebani si sono offerti di consegnare i colpevoli di al Qaeda a Washington. Gli Stati Uniti hanno rifiutato la loro offerta e hanno invaso il paese.

Questa azione scioccante di Biden rende tutti gli americani complici di atrocità disgustose. Secondo l’UNICEF, “più di 23 milioni di afghani affrontano una fame acuta, e 9 milioni tra essi sono quasi affamati”. L’ONU stima che entro la metà di quest’anno, il 97% degli afghani sarà in povertà. Affermare che queste persone hanno bisogno di ogni centesimo dei loro 7 miliardi di dollari è un eufemismo. Sostenere che coloro che ne rubano la metà sono dei mostri, è l’unica valutazione morale che si può fare per un tale furto. (L’altra metà sarà presumibilmente restituita loro in una data futura non specificata.) Biden ha fatto meglio dei rapinatori delle autostrade: “I tuoi soldi e la tua vita”, è questo il nuovo messaggio americano, consegnato con toni squillanti di mendace ipocrisia.

Questa particolare rapina equivale a circa il 40% dell’economia afghana e a circa 14 mesi di importazioni afghane, secondo Mark Weisbrot (Sacramento Bee, 4 febbraio). Ma in precedenza Biden aveva inflitto altre sanzioni al paese, come regalo d’addio quando le truppe statunitensi se ne sono finalmente andate dopo 20 anni di distruzioni. Nel complesso, le sanzioni di Biden significano: “nel prossimo anno moriranno più persone … di quante ne sono morte in 20 anni di guerra“, ha scritto Mark Weisbrot su CounterPunch del 15 marzo. Questo perché le gratuite sanzioni di Biden colpiscono a morte le risorse finanziarie del governo afghano insieme ai soldi per le importazioni di cibo di cui gli afghani hanno un disperato bisogno. Quindi, tra la guerra pluridecennale degli Stati Uniti a questa povera nazione, la siccità, il covid e il congelamento delle riserve valutarie – congelate dall’amministrazione Biden, tanto per essere chiari –, non c’è da meravigliarsi se milioni di afghani poveri sono sospesi sull’abisso della fame.

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