Il virtuosismo dei burocrati sindacali è illimitato. Per cui sono anche capaci di proclamare uno sciopero pro forma allo scopo di dimostrarne l’inutilità, o proclamarlo per lavarsi la coscienza (che resta tuttavia sporchissima), come nel caso delle tre ore di sciopero contro la famigerata legge Fornero nel 2012, che colpì sui denti – con un solo colpo di mazza – gli operai e i proletari sulla via della pensione e i giovani in attesa di un posto di lavoro.
Bene. Il governo Draghi ha deliberato di ripristinare appieno la legge Fornero, dopo i 3 anni di “quota 100”, il formidabile rimedio escogitato da Salvini che è stato in realtà un bluff ed anche una beffa perché, visto il basso assegno pensionistico che comportava, è servito più ai funzionari statali di medio-alto livello, a quanti potevano vantare una continuità di lavoro e contribuzione elevata, ai professionisti che hanno incassato la pensione da insegnanti, a artigiani e commercianti, che agli/alle operai/e usurati/e dal lavoro di fabbrica, sulle cui spalle è ricaduto il costo della misura. Appena arrivato l’annuncio del ritorno alla Fornero, fuoco e fiamme verbali da Landini&Co., che hanno ventilato l’ipotesi (estrema) di uno sciopero generale, o comunque di una iniziativa di lotta; mentre l’opposizione in CGIL si è mossa subito per reclamare lo sciopero generale, definendo un “suicidio” l’eventuale immobilità delle centrali sindacali. Ed in effetti, rispetto a quota 100 (62 anni d’età e 38 di contributi), la penalizzazione è di ben 5 anni (67 anni di età o 42 e 10 mesi di contributi), il che significa in media 8.500 ore di lavoro in più.
In pochi giorni il fuoco landiniano si è rivelato – come ci aspettavamo – un fuoco fatuo. È naufragata subito, così, l’illusione ottica creatasi in alcuni (gli incalliti illusionisti del manifesto, ad esempio) sul rilancio della CGIL come sindacato conflittuale contro una Confindustria in pieno assetto di guerra, con addirittura la speranzella che dopo il sabato 16 ottobre di piazza san Giovanni almeno la CGIL potesse arrivare al rifiuto del patto sociale strangolatorio proposto da Draghi.
Sennonché la “grande, combattiva e solare” (così T. Di Francesco sul manifesto) manifestazione di sabato 16 non ha lasciato alcuna traccia se non nel senso inverso a quello sperato dagli illusionisti, e temuto da alcuni sprovveduti di sinistra secondo cui l’assalto neo-fascista alla sede centrale della CGIL avrebbe rimesso questo sindacato al centro del villaggio, ridando lustro alla sua immagine davanti al proletariato. Nulla di tutto ciò. Neppure un evento traumatico quale quello del 9 ottobre è stato in grado di scuotere la CGIL dal suo cammino di subordinazione alle priorità del capitalismo nazionale e del suo stato. Non è tempo di scioperi, ha intimato Bonomi. Mi auguro che non ci siano scioperi generali, ha ribadito Draghi, evitando un linguaggio troppo umiliante per i culi di pietra suoi “interlocutori” a decisioni prese e inamovibili – anche l’Europa lo vuole!
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