Portare Taiwan nella NATO, o la NATO a Taiwan?, di Eve Ottenberg

Alla fine di aprile, la Gran Bretagna, la cagnolina di lusso degli Stati Uniti, rappresentata dalla dimenticabile Liz Truss, ha urlato che la NATO dovrebbe essere più coinvolta nell’Estremo Oriente. Che dio ci aiuti! La NATO ha già creato abbastanza guai in Ucraina per un’intera generazione. Forse ne ha creati così tanti che porrà fine a tutte le generazioni future.

Un compagno ci ha segnalato questo vibrante scritto di Eve Ottenberg comparso due giorni fa sul sito statunitense Counterpunch, accompagnandolo con questo pungente commento: “Eccoci! Prossima mossa: Taiwan entra nella NATO!”. Ci siamo permessi, perciò, di modificare il titolo originario del testo, che trovate qui sotto, sicuri di non tradirne il senso d’insieme. Non ci sfugge che la brava polemista non sembra afferrare la radice profonda, materialmente determinata, di questa furiosa, cieca voglia di distruzione e di guerra che possiede le alte sfere del Congresso, delle amministrazioni statunitensi, delle grandi corporations e degli enti finanziari che li hanno in pugno – anche se nelle batture finali Ottenberg parla degli Stati Uniti come di un “potere egemone insicuro”. Ma non pretendiamo troppo. Del resto, sono temi fissi del nostro blog tanto il lungo declino del super-imperialismo statunitense quanto la crisi sempre più profonda dell’intero sistema sociale capitalistico, e la combinazione esplosiva, incontrollabile tra questi due processi. Invece di farle le pulci, prendiamo sul serio le notizie che ci dà e l’allarme che lancia. (Red.)

Freschi di Russia, gli Stati Uniti non riescono a smettere di provocare la Cina

In un atto di ipocrisia cieco e vertiginoso, gli Stati Uniti hanno recentemente dichiarato che invaderanno le Isole Salomone, se il nuovo patto che quel paese ha concluso con Pechino comporterà la costruzione lì di una base militare cinese. Questo, dopo mesi in cui i nostri politici hanno urlato come pazzi deliranti sul male apparentemente impareggiabile e mai visto prima della Russia che invade l’Ucraina, con un pieno di paragoni tra Putin e Hitler. Ebbene: se Biden invade le Isole Salomone, è Hitler? Del resto, che dire di George Bush, che ha invaso l’Iraq e l’Afghanistan? È Hitler? E il britannico Tony Blair: è Hitler?

Inoltre, le centinaia se non migliaia di governanti nella storia umana che hanno invaso paesi stranieri sono tutti Hitler? Immagino che abbiamo già dimenticato la parte in cui Hitler sterminò sei milioni di ebrei insieme a milioni di slavi, rom, comunisti e altri cosiddetti indesiderabili. Questo sterminio, a quanto pare, non è più considerato una caratteristica distintiva del male unico costituito da Hitler. In quale altro modo spiegarci, se no, che le accuse di essere Hitler sono una dozzina in questi giorni? Tale retorica a buon mercato non serve a niente per aiutare gli ucraini comuni che stanno soffrendo. Ma sicuramente aiuta i dirigenti d’impresa guerrafondai a diventare più ricchi. Questo è il punto.

“Ma, ma”, balbettano i residenti di Washington ubriachi di potere, mentre le azioni delle compagnie del settore militare salgono alle stelle (oltre il 60 percento dall’invasione della Russia): “l’ordine dev’essere basato sulle regole!”. Questa è la bugia con cui l’impero statunitense elude il diritto internazionale con l’affermare che le sue “regole” si applicano a tutti tranne che a Washington. Fatto sta che ultimamente, il mondo civilizzato, soprattutto il Sud del mondo, non si beve queste sciocchezze. Se si esclude l’Europa, il trucco non funziona da nessuna parte.

La Cina è il nemico numero uno di Washington. Anche se non lo si direbbe, dato il feroce clamore che sta facendo sulla Russia, deliberatamente provocata (dall’Occidente), e sulla terribile invasione dell’Ucraina. Alla fine di aprile, la Gran Bretagna, la cagnolina di lusso degli Stati Uniti, rappresentata dalla dimenticabile Liz Truss, ha urlato che la NATO dovrebbe essere più coinvolta nell’Estremo Oriente. Che dio ci aiuti! La NATO ha già creato abbastanza guai in Ucraina per un’intera generazione. Forse ne ha creati così tanti che porrà fine a tutte le generazioni future. Lo scopriremo. Ma i guerrafondai di Washington sono d’accordo con Truss [noi spieghiamo in un altro testo postato oggi che è piuttosto Truss ad essere portavoce dei guerrafondai di Washington – red.]. In effetti, costoro propongono persino – ed è una proposta da incubo – di armare il Giappone con armi nucleari, sentendosi frustrati per non poter circondare la Cina di missili come hanno fatto con la Russia. Quell’accerchiamento ha provocato la guerra in Ucraina, che, secondo tutte le indicazioni, Washington considera uno strepitoso successo propagandistico.

Nel frattempo, nei media occidentali è stato sottostimato l’avvertimento lanciato dalla Cina agli Stati Uniti il 29 aprile contro l’invio di armi a Taiwan. La Cina ha annunciato che risponderà all’intervento straniero. Questa rabbiosa risposta a Washington è arrivata in un contesto difficile: il 26 aprile, per minacciare la Cina e mostrare i propri muscoli, il cacciatorpediniere USS Sampson è transitato nello Stretto di Taiwan, cosa che a detta della Settima Flotta “dimostra l’impegno degli Stati Uniti per un Indo-Pacifico libero e aperto”. Oh, oh. Ciò che dimostra è l’impegno degli Stati Uniti, in particolare di Biden, ad entrare in guerra se la Cina dovesse fare ciò che ha detto per decenni che farà e che gli Stati Uniti hanno tacitamente accettato, vale a dire, lentamente, osmoticamente, assorbire Taiwan nella terraferma. Ma la Cina ha ora ricevuto il messaggio bellicoso della marina americana. Il 6 maggio, 18 jet dell’aviazione dell’Esercito di Liberazione del Popolo hanno ronzato sopra Taiwan.

Circa una volta al mese una nave della marina statunitense transita nello Stretto di Taiwan. È successo di nuovo solo la scorsa settimana. Il 10 maggio la USS Port Royal ha manovrato in queste acque agitate, dimostrando che, indipendentemente dal numero di jet dell’aviazione cinese con cui contrasta, gli Stati Uniti continueranno a inviare le loro navi in luoghi che non gli appartengono. Gli Stati Uniti hanno un talento per creare situazioni disgustose e poi, come ha detto lo storico John Mearsheimer della catastrofe che è stata provocata tra Russia e Ucraina, Washington si rifiuta di riconsiderare la propria orribile politica, ed anzi raddoppia. Abbiamo visto dove ci ha portato il raddoppio in Iraq e in Afghanistan, ma sta’ sicuro, non abbiamo certo appreso la lezione.

Anche i senatori Bob Menendez e Lindsay Graham, falchi anti-cinesi, si sono dedicati a peggiorare la situazione, andando a Taiwan a metà aprile per incoraggiare l’isola a opporsi alla Cina. Anche il viaggio programmato, e poi annullato, dalla leader della Camera Nancy Pelosi non ha aiutato: tutti questi faccendieri del Congresso stanno spingendo Taiwan a un’imprudenza catastrofica. Perché in ogni caso, questo è un invito al suicidio di massa. È solo una questione di quanto grande sarà la massa. Due sono i casi: o i travet politici statunitensi spingono Taiwan a dichiararsi una nazione indipendente, provocando così l’invasione militare cinese, e poi, come spesso accade, gli sbruffoni statunitensi infrangono le loro promesse e non fanno nulla, lasciando Taiwan nella tempesta o, quel che è peggio, mantengono le loro solenni promesse, e abbiamo un’esplosione del conflitto tra Pechino dotata di armi nucleari e Washington dotata di armi nucleari, un orrore tale che anche un bambino di quarta elementare ne può comprendere la portata. In effetti, un bambino di nove anni vede, in media, molto più avanti di molti membri del congresso, che stanno percorrendo un sentiero di incitamento all’Armageddon atomico. Anche gli idioti della Casa Bianca percorrono quella strada. Credo questa sia una primavera odorosa.

Come ha pontificato al Congresso il segretario di Stato Antony Blinken: “Quando si tratta della stessa Taiwan, siamo determinati ad assicurarci che disponga di tutti i mezzi necessari per difendersi da qualsiasi potenziale aggressione, compresa l’azione unilaterale della Cina per interrompere lo status quo che è in vigore da molti decenni”. Oh, oh, ancora! Come ha twittato il commentatore Arnaud Bertrand: “L’ironia è che armare Taiwan fino ai denti È una grave interruzione dello ‘status quo in vigore da molti decenni'”. Tale status quo è la politica One China, una sola Cina, che postula che Taiwan faccia parte della Cina. Dagli anni di Nixon, che furono un periodo di relativa sanità mentale rispetto a Pechino, gli Stati Uniti lo hanno accettato. Blinken avvolge la storia in un pretzel per giustificare il nuovo incitamento, l’aggressione degli Stati Uniti e, in modo molto redditizio per gli Stati Uniti, l’affondamento dell’isola sotto una mastodontica montagna di armi.

Nel frattempo, l’amministrazione Biden fa di tutto per offendere la Cina. Il 28 aprile, Washington ha invitato un funzionario taiwanese a un evento di 60 nazioni sul futuro di Internet; quindi ora gli Stati Uniti riconoscono ufficialmente Taiwan come paese indipendente? Washington ha abbandonato il riconoscimento formale di Taiwan nel 1979; dobbiamo concludere che Biden sta cambiando questa politica? In questa conferenza le 60 nazioni hanno fatto varie promesse sulla tecnologia digitale e Internet. Taiwan doveva davvero partecipare? Ciò fa seguito a un disegno di legge approvato dalla Camera dei rappresentanti il ​​27 aprile, che ordina al dipartimento di stato di muoversi per promuovere lo status di osservatore per Taiwan presso l’Organizzazione mondiale della sanità. A dicembre, Taiwan è stata invitata al vertice sulla democrazia organizzato dall’amministrazione Biden.

Poi, a coronamento di tutte queste balle di promozione di Taiwan, che Pechino sicuramente considera con amarezza altrettante provocazioni, l’8 maggio il dipartimento di Stato ha riscritto la parte del proprio sito web che si occupa del territorio. E in questa occasione ha posto termine al riconoscimento dell’isola come parte della Cina continentale. È scomparso anche l’affermazione che gli Stati Uniti non supportano l’indipendenza di Taiwan. Vedete in che direzione si sta andando? Ad incoraggiare e acclimatare il mondo a trattare Taiwan come una nazione indipendente, per meglio radunare una coalizione di volonterosi quando Taiwan commetterà l’errore fatale di dichiararsi tale, e la Cina reagirà a ciò che senza dubbio considera come aperta ribellione da parte di un territorio che da tempo ha definito una provincia rinnegata.

Non sarebbe meglio che gli Stati Uniti tentassero l’approccio a cui hanno arrogantemente storto il naso con la Russia, vale a dire il negoziato? O schierassero dei diplomatici, membri di una specie in via di estinzione, attualmente quasi estinta per quello che riguarda Washington e Mosca? Invece di lanciare contro la Cina minacce e insulti, i governanti statunitensi potrebbero prendere in considerazione l’idea di sedersi con le loro controparti a Pechino e cercare di escogitare benefici e protezioni per Taiwan, mentre si avvicina alla reintegrazione con la terraferma. Ma ciò presuppone che i governanti di Washington siano persone rispettabili, un’illusione da cui il loro comportamento nei confronti dell’Ucraina e della Russia avrebbe dovuto disingannare per sempre tutti gli osservatori.

Quindi no. Biden e i suoi simili hanno un pubblico domestico da abbindolare, il che significa irritarsi usando la guerra per distrarre dai prezzi alle stelle, e poter così sognare di vincere le elezioni; e come hanno dimostrato questi politici nei confronti della Russia, pur di restare in piedi tenendosi stretto il loro bottino qui a casa, sono disposti a sfidare ogni volta il buon senso, anche se questo significa flirtare con l’annientamento atomico. Anche se questo significa bruciare le opportunità per scongiurare o porre fine a una guerra. Anche a costo di prolungare attivamente e perfidamente una guerra. Quindi l’impero statunitense continua nella sua folle ricerca di lanciare Taiwan come una nazione indipendente in erba all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, gettando così le basi per il tipo di blitz di propaganda che attualmente bombarda la Russia, fornito dai nostri media compiacenti e completamente isterici. Chi ripensa ora alle richieste scritte di garanzie di sicurezza di Mosca, nel frastuono di terribili accuse di crimini di guerra e davanti al vero orrore della guerra? Allo stesso modo, l’obiettivo attuale è rimuovere dalla mente del pubblico il fatto che per la maggior parte del mondo Taiwan non è una nazione indipendente.

Solo 13 paesi, per la maggior parte piccole isole caraibiche o nazioni centroamericane storicamente di destra, riconoscono Taiwan come paese sovrano. L’ONU considera l’isola un territorio, non un paese. Ciò presenta difficoltà per i guerrafondai al Congresso degli Stati Uniti e alla Casa Bianca, o almeno così era una volta. Ora, a quanto pare, l’atmosfera è: “Oh, e piantala! Armiamo Taiwan e andiamo in guerra se la Cina fa una mossa”. Questa follia flirta con l’inverno nucleare, ma a quanto pare i nostri depravati idioti del Congresso pensano che far morire di fame miliardi di persone non sia un prezzo troppo alto da far pagare per resistere al nemico asiatico numero uno, che solo fino a poco tempo fa era un amico e un rispettato partner commerciale degli Stati Uniti, ed ora è demonizzato come una minaccia comunista per fare il lavaggio del cervello agli americani timorati di Dio.

Nonostante il vergognosamente viscido, pernicioso e stolto “pivot to Asia” di Obama, le vendite di armi degli Stati Uniti a Taiwan non sono cresciute davvero fino a quando Trump non ha preso la palla al balzo per lanciare il suo “provochiamo la Cina”. Quindi, negli ultimi anni, Washington ha venduto a Taiwan miliardi di dollari di armi. All’inizio di aprile, gli Stati Uniti hanno approvato un accordo missilistico Patriot del valore di 95 milioni di dollari. La Cina ha protestato. Sorpresa! Le sue lamentele sono cadute nel vuoto.

Sempre desideroso di preparare qualsiasi confezione politica capace di seminare morte, il pezzo grosso della squadra di Trump Mike Pompeo ha chiesto, a marzo, il riconoscimento diplomatico di Taiwan come paese sovrano. Dopo aver armato i taiwanesi in modo indiscriminato, quella sarebbe la ciliegina sulla torta avvelenata. Ma non pensiate certo che Washington si limiti a Taiwan nel suo confronto con la Cina. Oh, no. Come mostra la rissa sulle Isole Salomone, gli Stati Uniti hanno progetti grandi, molto grandi: intendono contrastare la Cina a livello globale.

“La sfacciata minaccia alle Isole Salomone da parte degli Stati Uniti ne mette in mostra l’egemonia e il bullismo”, titolava un articolo del Global Times il 24 aprile. Ecco come Pechino considera Washington. E la saggezza comune dice che non c’è niente di peggio di un potere egemone insicuro. Infatti, ovunque l’occhio imperiale volge il suo sguardo arrogante e meticoloso, vede pericoli, trappole, umiliazioni. La Cina ha conquistato avamposti economici in tutto il mondo, come parte della sua Belt and Road Initiative. Washington intende attaccare Pechino per tutto questo? Staremo a vedere, perché anche se sarebbe una battaglia persa per gli Stati Uniti, come abbiamo visto troppo spesso negli ultimi decenni dal Vietnam all’Afghanistan all’Iraq, ciò non significa che questo non sia nei piani di Washington.

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“Con il fuoco nel cuore”: la lotta dei driver di Foodpanda ad Hong Kong (italiano – english)

[English Version below]

La segnalazione di questa breve, molto interessante, inchiesta operaia sulla lotta dei fattorini di Foodpanda, avvenuta negli ultimi mesi dello scorso anno, è arrivata direttamente da Hong Kong ad un compagno che ce l’ha girata, e che ringraziamo. L’invio era accompagnato dall’auspicio-impegno ad organizzare insieme i proletari del Sud Est asiatico. La redazione del Pungolo rosso ha una speciale attenzione a ciò che accade nell'”altra Cina”, la Cina degli operai, dei proletari, degli sfruttati delle campagne – parallela e combinata con l’attenzione a ciò che accade nell'”altra America”. In questo caso emerge, pur in un contesto di estrema frammentazione della forza-lavoro, la spinta all’auto-organizzazione, allo sciopero con picchetto, all’unità tra driver cinesi e driver immigrati dal Pakistan e dall’India. Fa riflettere anche il nesso tra queste lotte e il movimento del 2019, che i depressi guru della geo-politica “di sinistra” (?) liquidarono, nella sua totalità, come l’ennesima prodezza soprannaturale studiata a tavolino e governata a bacchetta dall’onnipotente Amerika (in crisi). La crisi sistemica globale inizia a far sentire anche in Cina le sue imperiose esigenze.

SCIOPERO FOODPANDA: GRUPPI DI QUARTIERE, TRADUTTORI, YOUTUBER. NELL’ERA POST-SINDACALE, COME SI ORGANIZZANO I LAVORATORI?

Gli scioperi dei riders delle consegne di cibo nel periodo successivo all’introduzione della legge di sicurezza nazionale (LSN) sono incoraggianti, ma è ancora da verificare il loro impatto complessivo.

Nota della redazione: il 13 novembre, i rider che lavorano per la società di consegne di cibo a domicilio Foodpanda a Hong Kong hanno scioperato per i tagli ai compensi per le consegne, per il superfruttamento e le condizioni di lavoro razziste, per i calcoli arbitrari e imprecisi della distanza percorsa fatti dall’algoritmo di Foodpanda, e per la mancata risposta della direzione alle precedenti richieste di miglioramento. Il 18 novembre, il secondo round negoziale tra i leader dello sciopero e la direzione di Foodpanda ha portato a un accordo, con la soddisfazione di alcune delle richieste dello sciopero.

In seguito all’imposizione della legge di sicurezza nazionale a Hong Kong, numerosi gruppi della società civile e sindacati si sono preventivamente sciolti nel timore di essere perseguiti retroattivamente (ai sensi della LSN) per azioni commesse prima della promulgazione della legge. Mentre durante e dopo le proteste contro la legge sull’estradizione del 2019 si sono formati numerosi “nuovi sindacati”, ora hanno annunciato il loro scioglimento e cessato la loro attività due delle più importanti organizzazioni sindacali di Hong Kong – l’Unione Professionale degli Insegnanti e la Confederazione dei Sindacati di Hong Kong.

La traduzione di questo resoconto di Stand News sullo sciopero dei driver di Foodpanda offre un’istantanea sulla vita di alcuni dei corrieri in sciopero, e sulle condizioni di lavoro che li hanno portati a organizzare i loro compagni di lavoro. Lo sciopero è significativo per il fatto che gli scioperanti si sono organizzati tra di loro senza alcuna assistenza da parte degli organizzatori sindacali del sindacato [di stato] HKCTU, né il sostegno materiale o finanziario di questo sindacato, che in precedenti lotte era stato una risorsa importante per i lavoratori. Rende il loro sciopero ancora più interessante il fatto che gli scioperanti siano stati anche capaci di auto-organizzarsi in un settore della “gig economy” come quello delle consegne di cibo, dove non c’è un luogo di lavoro in cui i compagni di lavoro si incontrano, e dove i fattorini solitamente si spostano da soli. È significativa anche la composizione demografica dei fattorini di Foodpanda partecipanti allo sciopero. I fattorini di Hongkong, di etnia cinese Han, si sono uniti ai lavoratori immigrati dell’Asia meridionale provenienti dall’India e dal Pakistan. Avendo in comune i loro interessi di lavoratori e le richieste contro la loro impresa, gli scioperanti hanno collaborato per superare le divisioni razziali e linguistiche.

Il fatto che lo sciopero sia stato concepito come una questione di carattere sindacale relativa alle condizioni economiche dei lavoratori è in netto contrasto con gli appelli altamente politicizzati a uno sciopero generale contro il governo nelle proteste del 2019. La presenza della polizia – la direzione di Foodpanda ha detto di non aver chiamato la polizia – allo sciopero, e la sua minaccia di disperdere con l’uso della forza gli scioperanti riuniti, può essere vista solo come una conseguenza della NSL e dell’affermazione del potere autoritario del governo di Hong Kong, che restringe lo spazio alle manifestazioni di protesta e di dissenso a Hong Kong. Resta da vedere quali conseguenze avrà per le future lotte sindacali.

A un anno dalla promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale, molte organizzazioni della società civile si sono sciolte, compresa la Confederazione dei sindacati di Hong Kong, fondata 31 anni fa, mentre i diritti dei lavoratori continuano ad essere intaccati. Proprio in questo momento di debolezza dell’organizzazione sindacale, i lavoratori del servizio di consegna Foodpanda hanno scioperato negli ultimi due giorni per protestare, tra le altre cose, contro la riduzione dei salari e le ingiuste penalità per la cancellazione degli ordini. Il 14 novembre, i lavoratori hanno costretto Pandamart (il negozio di alimentari di Foodpanda) a fermare le proprie attività. I lavoratori riuniti hanno cantato “siamo umani, non cani!

Stand News ha intervistato i fattorini sud-asiatici che hanno organizzato questa azione autonoma, l’amministratore del gruppo di fattorini sud-asiatici di Kowloon Bay che invitavano ad una partecipazione di massa, e la “fanteria” (corrieri a piedi) che trasmetteva le notizie e le richieste dei lavoratori ai social media di Hong Kong per capire come sia nato questo movimento dei lavoratori nell’era post-sindacale e del “grande palcoscenico” (leadership centralizzata).

Come tutto è cominciato: il racconto di un autista sospeso

Waqas Fida, un fattorino di origine sud asiatica, era inizialmente un membro anonimo del gruppo di fattorini. Un paio di giorni fa, il suo account Foodpanda è stato improvvisamente sospeso. Infuriato, ha creato una chat di gruppo con una semplice grafica: l’immagine di un dito medio accanto alla testa di un panda. Il link di invito al gruppo si è diffuso rapidamente: “il numero di membri è aumentato subito di 200 e 300, e poi improvvisamente di diverse centinaia. Ora, nel gruppo ci sono quasi 1500 membri”.

Waqas è stato improvvisamente spinto sotto i riflettori – era felice di essere intervistato dai media e ha detto che non aveva paura di ritorsioni: “va bene, mi batterò, andrò in tribunale, farò del mio meglio per i nostri fratelli”.

L’amaro sudore e la rabbia dei fattorini

Quando gli sono state chieste le ragioni dell’apertura della chat di gruppo, Waqas ha parlato per più di dieci minuti. Durante l’intervista si è unito anche il suo compagno Shahzad, che aveva conosciuto tramite il gruppo. Entrambi hanno parlato amaramente dei bassi salari, delle dure condizioni di lavoro e delle difficoltà di contatto con Foodpanda.

Non ci hanno mai ascoltato

Negli ultimi sei mesi, l’account di Shahzad era stato sospeso due volte, ognuna per un periodo di sette giorni. Lui sapeva solo che la cosa era dovuta alle lamentele dei clienti, ma oltre a questo non gli era stato dato alcun dettaglio. Ha raccontato, “l’azienda non ci ha mai chiesto cosa fosse successo, perché non abbiano trovato nessuno nei paraggi quando li abbiamo contattati. Operano da altri paesi… non ci ascoltano mai riguardo ai nostri problemi”. Waqas e Shahzad hanno riferito che il personale che lavorava al centro di assistenza di Foodpanda veniva dalla Malesia, dal Pakistan e da altri paesi, e che non erano assolutamente capaci di comprendere le loro esigenze. Inoltre Waqas ha aggiunto che alla terza sospensione, si viene definitivamente esclusi dal lavoro per Foodpanda.

Un picco di guadagno mensile di 40.000 HKD; poi solo di 19.000 HKD

A causa delle tariffe di consegna sempre più basse e delle sospensioni arbitrarie degli account, i lavoratori si sono trovati ad affrontare difficoltà finanziarie. Waqas ha riferito che negli ultimi mesi, hanno aderito alla piattaforma ancora più lavoratori e la polizia ha emesso multe a un ritmo crescente. Inoltre, i fattorini dovevano acquistare il motociclo e mantenerlo di tasca loro. Mentre i costi vivi rimanevano alti, i salari calavano. Shahzad ha raccontato che nel periodo più alto, poteva guadagnare fino a 40.000 dollari lavorando 10-12 ore al giorno, sette giorni alla settimana [il valore di un dollaro di Hong Kong è pari a 0,11 euro – n.]. Invece, il mese scorso ha guadagnato solo 19.000 dollari.

Waqas ha 28 anni ed è arrivato a Hong Kong nel 2018 per ricongiungersi con sua moglie nata a Hong Kong. Hanno due figli, rispettivamente di 2 e 1 anno. Sia Shahzad che sua moglie sono pakistani, e Shahzad lavorava prima in Arabia Saudita con la sua famiglia. Solo nel 2019 è arrivato a Hong Kong per raggiungere la moglie. Suo figlio ha quasi tre anni e inizierà l’asilo a settembre. Entrambi contribuiscono al reddito famigliare.

Poiché i guadagni di Shahzad sono diminuiti, sua moglie e i suoi figli sono tornati in Pakistan per cercare di ridurre le spese. Lui spera solo che per l’inizio della scuola, a settembre dell’anno prossimo, sarà in grado di riabbracciare sua moglie e i suoi figli a Hong Kong.

I gruppi regionali chiedono l’adesione di altri lavoratori

Il 13 novembre, circa cinquanta lavoratori hanno manifestato fuori dal Pandamart di Kowloon Bay. Tenevano cartelli con gli slogan “dateci sicurezza”, “niente più sospensioni ingiustificate”, “siamo esseri umani, non cani”. La maggior parte dei lavoratori partecipanti erano fattorini di origine sud-asiatica.

Gli amministratori del gruppo di messaggistica di Foodpanda di Kowloon Bay, Manji e Kam Loong, si sono occupati del raduno dei lavoratori. In venti si sono presentati all’ingresso del Pandamart. I cugini Manji e Kam Loong avevano conosciuto altri lavoratori del quartiere mentre consegnavano il cibo, e avevano creato un gruppo di messaggistica per scambiarsi notizie e consigli relativi al lavoro, come ad esempio annotare i ristoranti che trattavano male i lavoratori. Al momento dello sciopero, il gruppo aveva settanta membri. Una ricerca su internet ha rivelato che c’erano molti gruppi di messaggistica collegati a Foodpanda, ma Kam Loong riteneva che il loro gruppo avesse permesso loro di comunicare efficacemente. Ad esempio, i partecipanti al gruppo di messaggistica di Kowloon Bay sono riusciti a trasmettere collettivamente un feedback a Foodpanda sui ristoranti che abitualmente facevano le ordinazioni in ritardo, come pure sui ristoranti con personale scortese, il che portava i lavoratori a rifiutarsi di fare le consegne per quei ristoranti. Grazie a ciò, Kam Loong ha conosciuto online Waqas, che si è detto interessato a scioperare. Kam Loong, a sua volta, è stato in grado di organizzare fattorini di Foodpanda con l’auto, in bicicletta e a piedi, di Pakistan, Hong Kong e India, che non potevano continuare ad accettare le riduzioni delle tariffe di consegna.

I cugini Manji e Kam Loong hanno una famiglia di quattro ragazzi, tre dei quali lavorano come autisti per Foodpanda, ed entrambi inviano mensilmente rimesse a casa. I loro genitori sono in pensione in Pakistan, e sia loro che altri parenti dipendono dal denaro guadagnato dai cugini a Hong Kong. Ogni mese, Manji manda 4000 HKD a casa, una somma che è sufficiente a mantenere da tre a cinque famiglie con cinque o sei membri ciascuna. Non volendo creare tensione ai loro familiari, né Manji né Kam Loong hanno parlato delle loro attuali difficoltà finanziarie con le loro famiglie.

Manji pensava di cambiare lavoro, descriveva il lavoro nell’edilizia come quello con più protezioni per i lavoratori, e diceva che “se ti fai male, ti pagano. Se ti fai male in Foodpanda, non fanno nulla. A loro non importa”.

Al momento, non c’è un conto preciso del numero di corrieri che consegnano cibo a domicilio a Hong Kong. Abbiamo chiesto a Deliveroo, Uber Eats e Foodpanda il numero di corrieri che attualmente lavorano per le loro piattaforme. Deliveroo ha dichiarato più di 10.000 corrieri, UberEats circa 5000 e Foodpanda circa 10.000.

Per i corrieri in sciopero, tutti i fattorini sono loro compagni.

Secondo i dati del Dipartimento dei Trasporti, da gennaio a giugno 2021 ci sono stati 188 incidenti stradali che hanno coinvolto fattorini in moto, di cui 24 con feriti gravi. Inoltre, ci sono stati 8 feriti gravi tra i fattorini in bicicletta, mentre gli incidenti con feriti lievi non sono stati registrati.

La svolta nella lotta per i diritti dei lavoratori può essere attribuita, questa volta, alla solidarietà tra gli immigrati del Sud Asia e i cinesi Han.

La fattorina e organizzatrice Ga Wing (嘉泳) è stata un anello di congiunzione fondamentale per agevolare la comunicazione tra i locali e i sud asiatici, ed è stata una presenza costante sulla scena dello sciopero. Era la responsabile dell’area di Kowloon City per questa azione di sciopero, e a volte la si poteva vedere tradurre per i fattorini sud asiatici sul posto. Il suo atteggiamento mite e gentile nasconde la portata e l’intensità del suo lavoro di attivista: era membro di un’associazione no-profit, il “Concern Group for Food Couriers’ Rights”, ed era entrata nelle file della “fanteria” (corrieri a piedi) dall’aprile di quest’anno. Al momento dell’intervista, stava portando avanti tre richieste di risarcimento da parte di fattorini che avevano subito lesioni legate al lavoro.

Per quanto riguarda i legami stabiliti con i fattorini sud-asiatici durante questo sciopero, Ga Wing ha riferito che il gruppo WhatsApp per organizzare lo sciopero è stato creato dai suoi “fratelli maggiori sud-asiatici”, che speravano di convincere un maggior numero di corrieri di etnia cinese ad aderire allo sciopero. Hanno inviato un appello all’azione sulla piattaforma online creata dai corrieri locali di Foodpanda per un precedente sciopero che è stato notato da Ga Wing, che era stata una degli organizzatori. Ga Wing ha quindi assunto il ruolo di anello di congiunzione, e ha inoltrato l’appello all’azione dei sud asiatici ad altri gruppi di chat, raccogliendo poco a poco il sostegno dei cinesi Han allo sciopero.

Contemporaneamente, i sud-asiatici distribuivano volantini che invitavano allo sciopero davanti ai Pandamart di tutta Hong Kong. Ga Wing ha rimarcato la forte coesione della comunità sud asiatica – “è quasi come se cento persone rispondessero alla chiamata di una persona”. I sud-asiatici si sono anche auto-organizzati in picchetti di sciopero per convincere altri corrieri e fattorini sud-asiatici a partecipare allo sciopero.

“Fate il possibile per riunirvi in gruppi di quattro”

In quest’epoca di “no big stage” (leadership centralizzata), Ga Wing racconta che “molte persone sono preoccupate per la polizia, ma nei gruppi di messaggistica abbiamo detto alle persone di fare il possibile per riunirsi in gruppi di quattro”. Gli organizzatori hanno anche evidenziato le azioni pacifiche. “Ieri, quando siamo andati al Pandamart a To Kwa Wan, gli organizzatori sud-asiatici ci hanno parlato della tradizione della non-violenza e della resistenza pacifica in India. Pensavano che questa tradizione aveva il potere di cambiare le cose”.

Combattere il razzismo contro i sud asiatici

Questa è Ga Wing, l’attivista sindacale anello di congiunzione tra i fattorini cinesi e i fattorini immigrati dal Pakistan e dall’India

Nei suoi due mesi di servizio in “fanteria”, Ga Wing ha detto di aver sperimentato appieno l’oppressione e l’inganno della “gig economy” delle consegne di cibo, che ha descritto come un sistema di “lavoro duro” senza alcun riguardo per la vita umana.

Prima dello sciopero, Ga Wing stava seguendo tre casi di infortuni sul lavoro. Uno riguardava la morte di un corriere indiano di Deliveroo. Gli altri due casi riguardavano dei fattorini, uno di Uber Eats e uno di Foodpanda, che erano stati ricoverati in ospedale dopo essere stati investiti da automobili. Ga Wing era indignata per la mancanza di risposte da parte delle tre compagnie: “Deliveroo ci ha fatto solo una telefonata dicendo quanto fossero dispiaciuti per l’incidente”. Uber Eats e Foodpanda non avevano ancora contattato i rider feriti o i loro familiari.

Ga Wing era indignata anche per il razzismo di cui sono vittime i fattorini sud-asiatici. Per esempio, quando i clienti specificano nelle note di consegna che non vogliono un corriere sud asiatico, o quando i clienti sbattono con forza la porta di casa per esprimere l’irritazione di essere stati serviti da un sud asiatico. Inoltre, non pochi corrieri locali vedono i loro compagni sud asiatici come lavoratori illegali disposti ad accettare le condizioni più dure fissate da Foodpanda o Deliveroo. Ga Wing considera questa lotta sindacale un esempio luminoso dell’unità, del coraggio e della volontà della comunità sud-asiatica di esprimere il proprio malcontento.

Ga Wing ha aggiunto che la risposta di Foodpanda allo sciopero questa volta è stata “un semplice copia e incolla” della risposta ad uno sciopero precedente in luglio, il che indica l’approccio intransigente della sua direzione. Ma per fortuna, ha detto, “nessuno ha paura” – forse una conseguenza del fatto che tutti sono “davvero arrabbiati questa volta; non possiamo più accettare di essere truffati da Foodpanda”.

Il fattorino di YouTube interrogato dalla polizia

Oltre a Ga Wing, anche Boxson, un fattorino in moto, ha denunciato Foodpanda, dichiarando davanti a una folla di giornalisti che “i tagli salariali hanno già oltrepassato la soglia limite. Ci siamo finalmente sollevati con il fuoco nel cuore decisi a scioperare!”.

Boxson è un YouTuber con un profilo dedicato alla cronaca della sua vita di fattorino. Sorridendo, ha detto: “Mi piace andare in moto, così sono diventato un fattorino. Mi piace anche girare e produrre film horror, così ho deciso di documentare quello che succede nella mia vita mentre lo faccio”.

Boxson aveva una serie di rimostranze, emblematiche delle difficoltà affrontate dai fattorini, che lo hanno spinto ad aderire allo sciopero: tagli alla paga, previsioni imprecise sulla distanza del viaggio, ordini “fantasma” e un trattamento ingiusto da parte dei clienti e di Foodpanda. Cosa ancora più importante, la sua partecipazione allo sciopero è nata dalle sue esperienze durante il movimento sociale del 2019: “tutti sanno che il 2019 è stato un punto di svolta importante. Non avevo mai vissuto nulla di simile in passato: ero un ragazzo normale, senza pretese, cresciuto in serra e che non era mai stato coinvolto in una zuffa. In passato, avrei potuto accettare con rassegnazione i tagli agli stipendi, ma dal 2019 abbiamo tutti imparato un nuovo modo di resistere all’ingiustizia: lo sciopero”.

Oggi, al punto più basso del movimento sindacale e della lotta operaia di Hong, Kong Boxson crede che la ragione per cui i lavoratori di Foodpanda sono stati in grado di promuovere con successo uno sciopero, è stata l’esplosione della rabbia collettiva contro gli scandalosi tagli salariali dell’azienda. “C’è solo bisogno di qualcuno che faccia il primo passo, che gridi: ‘Ehi, difendiamoci!’, e la gente non mancherà di prendere posizione”. Quando una persona alza la voce, cento rispondono.

A differenza degli anni precedenti, nel contesto politico di oggi anche i piccoli raggruppamenti o brontolamenti rappresentano una minaccia. Boxson ha detto di aver valutato i rischi. Dopo essersi fatto avanti, era stato interrogato dalla polizia in borghese: “So che state scioperando perché volete combattere per i vostri diritti. Va bene, ma c’è un limite alle riunioni di gruppo. Devi dire ai tuoi compagni di non riunirsi”. Il giorno dopo, ha ricevuto una chiamata dal dipartimento di pubbliche relazioni della polizia di Kwun Tong, che gli chiedeva: “stai uscendo anche oggi?”

Ma Boxson non si preoccupava per eventuali rappresaglie della polizia. Ne era più che altro “infastidito”. Secondo lui, questo sciopero non aveva motivazioni politiche, e di conseguenza la polizia stava solo a guardare. Per quanto riguarda l’azienda, Boxson ha detto: “se avessero voluto licenziarmi, lo avrebbero già fatto”.

L’organizzatore locale KK: tenere i piedi di Foodpanda sul fuoco

KK, un organizzatore dei fattorini di Kwun Tong, inizialmente lavorava nei ristoranti ma è passato a lavorare come fattorino in bicicletta per Foodpanda a causa del carico di lavoro. In un giorno normale riceveva da sei a sette ordini. “A volte i ristoranti sono proprio folli. Ti dicono di arrivare per il ritiro entro 15 minuti, ma in realtà, quando arrivi, hanno appena iniziato a preparare l’ordine”.

KK ha detto che esistevano da tempo punti deboli nelle direttive di Foodpanda. Per esempio, c’è stato un caso in cui un ristorante ha richiesto l’annullamento degli ordini d’asporto tramite il sistema di supporto alla consegna del servizio clienti. Lui ha replicato, “il servizio clienti è un robot, come può essere annullato?”, ma il ristorante ha contestato la cosa. Aveva anche riscontrato una mancata corrispondenza nei tipi di ordine, “gli ordini che erano destinati ai corrieri in moto sono stati assegnati a noi corrieri in bicicletta, e quelli che erano destinati ai corrieri in bicicletta sono stati dati ai corrieri a piedi”, definendo tali disposizioni come un circolo vizioso.

Per questo motivo, KK ha deciso di partecipare agli scioperi indetti dai lavoratori sud-asiatici nel tentativo di rimediare agli errori dell’azienda. “In realtà ci sono già state mobilitazioni su piccola scala. In gruppi clandestini, abbiamo discusso su come mettere in difficoltà l’azienda e allo stesso tempo tenerci al sicuro”. Ha anche detto di non essere preoccupato di subire ritorsioni. Riferendosi al precedente sciopero, KK ha detto che “l’azienda sa sicuramente quali lavoratori sono in sciopero” e che “anche se non mi lamentassi, ci sarebbero sicuramente altri lavoratori al mio posto”.

I lavoratori si incontreranno con la direzione martedì (1).

  1. I lavoratori si sono incontrati con la direzione e hanno raggiunto un accordo il 18 novembre 2021. I termini possono essere trovati qui.

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English Version

This short, very interesting, report on the struggle of the Foodpanda drivers, which took place in the last months of last year, came directly from Hong Kong to a comrade who gave it to us. The sending was accompanied by the hope-commitment to organize together the proletarians from the South East Asia. Our blog, Il Pungolo rosso (The Red Poke), pays special attention to what happens in the “other China“, the China of the workers, proletarians, rural exploited – parallel and combined with attention to what happens in the “other America”. In this case, even in a context of extreme fragmentation of the workforce, we see a drive towards self-organization, a picket strike, unity between Chinese drivers and immigrant drivers from Pakistan and India. Also makes us reflect the link between these struggles and the 2019 movement, which the depressed gurus of “left” geo-politics dismissed, in its totality, as another supernatural feat planned and ruled by the almighty Amerika (in crisis…). The global systemic crisis is beginning to make its imperious demands felt in rampant China too.

Foodpanda strike: Neighborhood groups, translators, YouTubers—in the post-unions era, how do workers organize?

Food delivery rider labor action post-NSL is encouraging but its broader impact remains to be seen.

By 陳萃屏 and 何逸蓓 on December 1, 2021. Original: 【Foodpanda 罷工】地區 group、翻譯組、YouTube 後工會時代 一場工運是如何誕生? Authors: 陳萃屏 and 何逸蓓. Translators: Grilled Saury, tfe, WF

Editor’s note: On the November 13, riders working for food delivery company Foodpanda in Hong Kong went on strike over cuts to delivery fees, racist and exploitative working conditions, arbitrary and inaccurate journey distance calculations by the Foodpanda algorithm, and the unresponsiveness of management to prior demands for improvements. On the November 18, the second round of negotiations between strike leaders and Foodpanda management resulted in a settlement, with some of the strike’s demands being met.

Following the imposition of the National Security Law in Hong Kong, numerous civil society groups and unions have pre-emptively disbanded due to fears of being retroactively prosecuted under the NSL for actions committed prior to the law’s promulgation. While numerous “new unions” formed during and after the 2019 anti-Extradition Bill protests, two of Hong Kong’s most prominent union organisations—the Professional Teachers Union and the Hong Kong Confederation of Trade Unions—announced their disbandment and ceased operations.

This translated Stand News report of the Foodpanda strike provides a snapshot of several of the striking couriers’ lives, as well as the labor conditions that led them to organize their co-workers. The strike is significant in that the strikers organised amongst themselves with neither the assistance of HKCTU labor organisers nor the material or financial support of the HKCTU, which had been important resources for workers in previous industrial actions. That the strikers were also able to self-organize in a gig economy industry like food delivery, where there is no workplace for colleagues to mingle and where delivery riders usually embark on journeys alone, only makes their strike all the more impressive. The demographic composition of the Foodpanda delivery riders participating in the strike is also significant. Delivery riders who are Hongkongers of Han Chinese ethnicity stood alongside South Asian migrant workers from India and Pakistan. With their interests as workers and demands against their employer in common, the strikers worked together to bridge racial and linguistic divides.

The framing of the strike as a primarily industrial matter concerned with workers’ livelihoods stands in striking contrast to the highly politicized calls for a general strike against the government during the 2019 protests. The presence of police—Foodpanda management said that they did not call the police—at the strike, and their threat to disperse the assembled strikers via the use of force, cannot be mistaken as anything other than a consequence of the NSL, and the Hong Kong government’s authoritarian assertion of power, in shrinking the space for expressions of protest and dissent in Hong Kong. What this bodes for future industrial actions remains to be seen.

A year after the promulgation of the National Security Law, many civil society organizations have disbanded, including the 31-year old Hong Kong Confederation of Trade Unions, and labor rights continue to be chipped away. At this low point of labor organization, workers with the delivery service Foodpanda have been striking for the past two days against, among other grievances, lowered wages and unfair order cancellation fees. On November 14th, workers forced Pandamart (Foodpanda’s grocery shop) to stop operations. The gathered workers chanted “we are humans, not dogs!”

Stand News interviewed the South Asian delivery drivers organizing this autonomous action, the administrator of the group of South Asian delivery drivers in Kowloon Bay calling for mass participation, as well as the “infantry” (foot couriers) transmitting the workers’ news and demands to Hong Kong social media to understand how, in the post-unions and “big stage” (centralized leadership) era, this workers’ movement came about.

How it all started: a suspended driver’s account

Waqas Fida, a delivery driver of South Asian descent, was initially an anonymous member of the drivers’ group. A couple of days ago, his driver’s Foodpanda account was suddenly suspended. He angrily created a group chat and created a simple graphic: a picture of a middle finger next to a panda’s head. The invitation link to the group spread quickly: “the number of members increased by 200 and 300 at once, and then suddenly several hundred. Now, there are nearly 1500 members in the group.”

Waqas was suddenly thrust into the spotlight—he was happy to be interviewed by the media and said that he wasn’t afraid of retaliation: “it’s okay, I will fight back, I will go to the court, I will do my best what we can for our brothers.”

The bitter sweat and rage of delivery workers

When asked about the reasons for opening the group chat, Waqas spoke for more than ten minutes. During the interview, his colleague Shahzad, whom he had gotten to know through the group, also joined in. Both bitterly reported low wages, harsh working conditions, and difficulties with getting in touch with Foodpanda.

They have never listened to us

In the past six months, Shahzad’s account had been suspended twice, each for a period of seven days. He only knew that it was the result of customer complaints, but he was provided with no details beyond that. He said, “the company has never asked us what happened, because there was nobody around when we contacted them. They are working from other countries…they never listen to us about our issues.” Waqas and Shahzad reported that the staff working for Foodpanda’s help center were from Malaysia, Pakistan and other countries and were wholly unable to understand their needs. Waqas also added that on the third suspension, one would be permanently barred from working for Foodpanda.

Peak monthly earnings of 40,000 HKD; only 19,000 HKD after

In light of ever-decreasing delivery fees and arbitrary account suspensions, workers had been facing financial pressures. Waqas said that in recent months, more workers had joined the platform and police had given out traffic tickets at an increased rate. In addition, riders had to purchase motorcycles and maintain their vehicles out of their own pocket. While out-of-pocket costs had remained high, salaries had been decreasing. Shahzad shared that at his peak, he could earn up to $40,000 by working 10-12 hour days, seven days a week. However, he only earned $19,000 last month.

Waqas is 28 years old and arrived in Hong Kong 2018 to join his Hong Kong-born wife. They have two children, aged 2 and 1 respectively. Both Shahzad and his wife are Pakistani, and Shahzad was previously working in Saudi Arabia with his family. It was not until 2019 that Shahzad arrived in Hong Kong to join his wife. His son is almost three years old and is starting kindergarten in September. Both are the breadwinners of their family. Since Shahzad’s earnings have reduced, his wife and children have returned to Pakistan in an attempt to reduce expenses. He only hopes that by the time school starts in September next year, he will be able to welcome his wife and children back to Hong Kong.

Regional groups call for more workers to join

On November 13th, approximately fifty workers demonstrated outside Kowloon Bay’s Pandamart. They held signs with the slogans “give us safety,” “no unreasonable suspension anymore,” “we are humans, not dogs.” Most of the workers present were drivers of South Asian descent.

The administrators of the Kowloon Bay Foodpanda message group, Manji and Kam Loong, were responsible for gathering the workers. Twenty people showed up at the entrance of the Pandamart. Cousins Manji and Kam Loong had gotten to know other workers in the district while delivering food, and created a message group to exchange news and tips related to work, such as noting down the restaurants that treated workers poorly. At the time of the strike, the group had seventy members. An internet search revealed that there were many message groups related to Foodpanda, but Kam Loong reckoned that their own message group had enabled them to effectively communicate. For example, members of the Kowloon Bay message group were able to collectively give feedback to Foodpanda about restaurants that were routinely late with orders, as well as restaurants with rude staff, which led workers to refuse to deliver for those restaurants. For this action, Kam Loong got to know Waqas online, who expressed an interest in striking. Kam Loong, in turn, was able to organize Foodpanda drivers, cyclists, and walkers from Pakistan, Hong Kong, and India who were unable to continue accepting the lowered delivery fees.

Cousins Manji and Kam Loong are part of a family of four boys, three of whom work as delivery drivers for Foodpanda, and both send monthly remittances back home. Their parents’ are retired in Pakistan, and they and other relatives are reliant on the cousins’ income earned in Hong Kong. Every month, Manji sends 4000 HKD back home, a sum that is enough to support three to five families with five to six members each. Not wanting to stress their family members out, neither Manji nor Kam Loong have shared their current financial difficulties with their families.

Manji was thinking about switching jobs, describing construction work as having more worker protections, stating that “even if you get hurt, they will pay you. If you get hurt in Foodpanda, they will not do anything. They just don’t care.”

Right now, there is no accurate count of the number of food delivery couriers in Hong Kong. We asked Deliveroo, Uber Eats, and Foodpanda about the number of couriers currently working for their platform. Deliveroo reported over 10,000 couriers, UberEats reported approximately 5000 and Foodpanda reported approximately 10,000.

For the striking couriers, all delivery couriers are their friends

According to data from the Transportation Department, there were 188 traffic incidents involving motorcycle delivery couriers from January to June 2021, with 24 incidents involving serious injuries. In addition, there were 8 severe injuries suffered by bicycle couriers, while records of incidents with slight injuries were not kept.

Hong Kong’s South Asians and Chinese locals connect once again

The breakthrough for the struggle for workers’ rights this time can be attributed to the solidarity between South Asian migrants and Han Chinese locals.

Food courier and organizer Ga Wing (嘉泳) was a vital go-between for the facilitation of communication between locals and South Asians, and was a familiar fixture at the scene of the strike. She was the convenor of the Kowloon City area for this strike action, and could occasionally be seen translating for South Asian delivery riders on scene. Her soft and gentle demeanor belied the breadth and depth of her activist work—she was a member of a non-profit, the “Concern Group for Food Couriers’ Rights”, and had joined the ranks of the “infantry” (foot couriers) since April this year. At the time of the interview, she was pursuing three claims by delivery riders who had suffered work-related injuries on their behalf.

Regarding the links established with South Asian delivery riders during this industrial action, Ga Wing said that the online WhatsApp group for organizing the strike was first set up by her “South Asian older brothers,” who were hoping to get more couriers of Chinese ethnicity to join the strike. They sent out a call to action on the online platform set up by local Foodpanda couriers for a past strike, which was noticed by Ga Wing, who had been one of the organizers. Ga Wing thus took on the mantle of a go-between and forwarded the call to action from the South Asians to other chat groups, gradually amassing support from Han Chinese locals for the strike.

At the same time, the South Asians were handing out leaflets calling for a strike in front of Pandamarts across Hong Kong. Ga Wing remarked at the strong cohesion of the South Asian community—“it’s almost like a hundred people respond when one person calls.” The South Asians also self-organised into strike pickets to persuade other South Asian food couriers and delivery workers to participate in the strike.

“Try your best to gather in groups of four”

In this age of “no big stage” (centralized leadership), Ga Wing shares, “a lot of people are worried about the police, but in the message groups we told people to try their best to gather in groups of four.” Organizers also emphasized peaceful actions. “Yesterday, when we went to the Pandamart in To Kwa Wan, the South Asian organizers told us about the tradition of non-violence and peaceful resistance in India. They felt that this tradition had the power to change things.”

Fighting racism against South Asians

In her two months serving in the “infantry,” Ga Wing said that she had experienced the fullest extent of the oppression and deception inherent to the food delivery gig economy, which she described as a system of “hard labour” that held no regard for human life.

Prior to the strike, Ga Wing was pursuing three cases of work-related injuries. One concerned the death of an Indian Deliveroo courier. The other two cases were about delivery riders, one each from Uber Eats and Foodpanda, who had been hospitalized after being hit by cars. Ga Wing was infuriated by the lacklustre response from the three companies: “Deliveroo only gave us a phone call saying how sorry they felt about the incident.” Uber Eats and Foodpanda still had not contacted the injured riders or their family members.

Ga Wing’s fury was also directed towards the racism suffered by South Asian food couriers. For example, when customers stipulate in their delivery notes that they do not want a South Asian courier, or when customers forcefully slam their doors shut as a way of expressing displeasure upon being couriered by a South Asian. Additionally, no small number of local food couriers perceive their South Asian colleagues as illegal workers who are willing to accept the harshest conditions stipulated by Foodpanda or Deliveroo. Ga Wing considered this industrial action to be a shining indicator of the unity, courage, and willingness of the South Asian community to express their discontent.

Ga Wing added that Foodpanda’s response to the strike this time was “entirely copied and pasted” from their response to a prior strike in July, which indicated its management’s uncompromising approach. Fortunately, she said, “no one is afraid”—perhaps a consequence of everyone being “just too furious this time around; we can no longer acquiesce to being swindled by Foodpanda.”

YouTuber delivery rider questioned by the police

Apart from Ga Wing, Boxson, a motorcycle courier, also spoke up against Foodpanda, declaring in front of a crowd of reporters that “the pay cuts have already crossed our bottomline. We have finally risen up with a fire in our hearts to go on strike!”

Boxson is a YouTuber with a channel dedicated to chronicling his life as a delivery rider. Grinning, he said: “I love to ride motorcycles, so I became a delivery rider. I also like to shoot and produce scary movies, so I decided to document what’s going on in my life while I’m at it.”

Boxson had plenty of grievances, emblematic of the hardships faced by food couriers, that motivated him to join the strike—pay cuts, inaccurate journey distance predictions, “ghost” orders, and unfair treatment by customers and Foodpanda. More importantly, his participation in the strike came from his experiences during the social movement of 2019: “everyone understands that 2019 was an important turning point. I had never experienced anything like it in the past—I was a normal, unassuming kid who grew up in a greenhouse and had never even been in a fight. In the past, I might have resignedly acquiesced to pay cuts, but since 2019, we’ve all learnt about a new way to resist injustice—that is, to go on strike.”

Today, at the nadir of Hong Kong’s union movement and labor struggle, Boxson believed that the reason why Foodpanda workers were able to successfully instigate a strike was because of the eruption of collective rage against the company’s egregious pay cuts. “There only needs to be someone to take the first step, to shout, ‘Hey! Let’s stand up for ourselves!’, and naturally, people will take a stand.” When one person shouts, a hundred will respond.

Unlike previous years, even small gatherings or rumblings are threatening in today’s political environment. Boxson said that he had considered the risks. After coming forward, he had been interrogated by plainclothes police: “I know that you are striking because you want to fight for your rights. That’s okay, but there’s a group gathering limit. You need to tell your colleagues not to gather together.” The next day, he received a call from the Kwun Tong Police Public Relations Branch, asking him, “are you coming out today again?”

However, Boxson was not worried about retaliation from the police. Rather, he just felt that it was “annoying.” In his opinion, this strike was not politically motivated, and as a result, the police were just watching. With regard to the company, Boxson said, “if they wanted to fire me they would have done so already.”

Local organizer KK: holding Foodpanda’s feet to the fire

KK, an organizer for Kwun Tong delivery workers, originally worked in restaurants but switched over to work as a bicycle courier for Foodpanda due to the workload. On a normal day, he would receive six to seven orders. “Sometimes, the restaurants are really fucking crazy. They tell you to arrive for pickup within 15 minutes, but in reality, when you arrive, they’ve just started preparing the order.” KK said, there had been longstanding vulnerabilities with Foodpanda’s policies. For instance, there was an incident where a restaurant required takeout orders to be canceled via the customer service delivery support system. He said, “customer service is a robot, how can it be canceled?” and the restaurant argued back. He had also experienced a mismatch in order types, “those orders that were meant for motorcycle couriers were assigned to us bicycle couriers, and those that were meant for bicycle couriers were given to foot couriers,” describing the arrangement as a vicious circle.

Because of this, KK decided to participate in the strike activity led by South Asian workers in an attempt to rectify the company’s mistakes. “There have actually been small-scale mobilizations before. In underground groups, we’ve discussed how we can put the company in hot water while keeping ourselves safe.” He also said that he was not worried about being retaliated against. Referencing the previous strike, KK said, “the company definitely knows which workers are outside,” and that “even if I didn’t complain, there would definitely be other workers in my stead.”

Workers are meeting with management on Tuesday (1).

Footnotes

  1. Workers met with management and came to an agreement on November 18, 2021. The terms can be found here.

Caccia e 5G. Lo scontro tra imperialismi visto dagli Emirati Arabi Uniti

Riprendiamo da “Asia Times” un interessante articolo che mette in luce come si stia svolgendo nella penisola araba la rivalità tra Cina e Stati Uniti. Dopo la notizia che l’Arabia saudita sta costruendo missili con tecnologia cinese, la disdetta dell’acquisto dei 50 F-35 da parte degli Emirati, che non intendono rinunciare al  5G di Huawei, mostra la silenziosa penetrazione della Cina nel Medio Oriente e nel Golfo in particolare, finora ritenuto esclusivo appannaggio degli USA. Una penetrazione non solo commerciale (la Cina è il primo acquirente del petrolio del Golfo, e il primo fornitore di manufatti), ma che comprende anche anche tecnologica (missili e 5G, impianti industriali), e segnala la difficoltà degli USA a dettare unilateralmente le loro condizioni anche ai più stretti alleati-sudditi di un tempo. La sostituzione degli F-35 con i Rafale, poi, è anche la nemesi dell’Aukus, con cui gli USA avevano sfilato un contratto miliardario alla Francia (nei sottomarini); qui è la Francia che si vendica. L’episodio è un altro segnale che questi Stati ricchi di petrodollari rifiutano il ruolo di servi di un singolo imperialismo, ma vogliono giocare in proprio, facendo leva sulle rivalità tra i 3 maggiori poli, USA/Europa/Cina. Mostra infine il carattere spregiudicato della politica estera della Cina, pronta a stringere legami con qualsiasi governo, compresi quelli ultra-reazionari degli sceicchi e con Israele, al fine di estendere la propria influenza.

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Giustizia è fatta per la Cina, gli EAU hanno annullato l’accordo per gli F-35, di Cheng Feng (Asia Times, 21 dicembre 2021

La recente cancellazione da parte degli Emirati Arabi Uniti (UAE) del piano di acquisto di 50 caccia Lockheed F-35 del valore di 23 MD di $ dagli Stati Uniti ha dimostrato il ruolo della stretta partnership commerciale tra gli UAE e la Cina. La disdetta significa che gli Emirati Arabi Uniti hanno scelto la tecnologia 5G di Huawei a scapito dell’F-35, che è usato dagli Stati Uniti come “favore” per stringere alleanze militari con altri paesi. Su richiesta degli Stati Uniti, gli Emirati Arabi Uniti hanno precedentemente accettato di fermare la costruzione di un porto logistico che viene costruito dalla Cina. Ma in questo caso, la forte pressione degli Stati Uniti non è riuscita a far abbandonare agli EAU i progetti di telecomunicazione Huawei, ma ha spinto gli EAU a comprare 80 jet da combattimento Rafale dalla Francia. L’amministrazione Biden si trova ora di fronte a un dilemma: se rinunciare ad entrate per 23 MD di $ o permettere agli EAU di usare Huawei 5G. Gli Stati Uniti saranno danneggiati in entrambi i casi, e la Cina uscirà vincitrice da questa vicenda.

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Evergrande: la superbolla del capitalismo cinese

Portiamo a conoscenza dei nostri lettori dei materiali dal Wall Street Journal sulla crisi di Evergrande e sulla bolla immobiliare cinese, interessanti perché danno maggiori elementi concreti rispetto a quanto compare sui nostri media. Il giornale del grande capitale americano guarda alle dinamiche della crisi di questo settore con un misto di compiacimento, per il fatto che la rivale Cina vede crescere le sue contraddizioni e difficoltà, e di timore, perché le interconnessioni finanziarie e commerciali con la Cina minacciano di far riverberare la crisi cinese sull’altro lato del Pacifico, come già provato con la caduta di 600 punti dell’indice Dow Jones avvenuta il 20 settembre.

Ma queste dinamiche forniscono importanti elementi di analisi e riflessione anche per i lavoratori e i rivoluzionari internazionalisti di tutto il mondo.

Una prima osservazione è che le dinamiche economico-sociali della Cina sono fondamentalmente le stesse degli Stati Uniti o dell’Italia: il “socialismo con caratteristiche cinesi” è ca-pi-ta-li-smo. Certo con caratteristiche, e su scala, cinesi. Certo, con la necessità, tuttora presente, di tenere in qualche modo conto di una grande rivoluzione nazional-popolare (per quanto ormai lontana), e di successive grandi ondate di potente lotta di classe degli sfruttati (meno lontane). Ma, pur sempre, ca-pi-ta-li-smo. Un capitalismo che ha accumulato e sta accumulando sullo sfruttamento di centinaia di milioni di proletari smisurate quantità di plusvalore – anche, e quanto!, sotto forma di rendita fondiaria, che non cessa di esistere, e di pretendere la sua quota di plusvalore, solo perché la terra e il suolo sono, come è tuttora in Cina, di proprietà statale. Un capitalismo in cui imprenditori e funzionari di partito senza scrupoli, in quanto figure del capitale, si sono arricchiti a dismisura imbastendo speculazioni immobiliari di portata tale da fare invidia ai Berlusconi e ai Trump.

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L’Intifada araba è ripartita. Sostegno incondizionato alle piazze in rivolta!

Non sono le pallottole ad uccidere, è il silenzio.”

(Muhammad Taha)

Pochissimi se ne sono accorti, specie alla sinistra radicale indaffarata a rincorrere le chiappe del duo Salvini-Meloni frignando sul Mes e a prepararsi a nuovi flop elettorali, ma sulla sponda sud del Mediterraneo e in Medio Oriente è ripartita l’Intifada araba, e alla grande. Nell’ultimo biennio le piazze di alcune capitali e di molte città arabe si sono riempite, a seconda dei casi, di decine, centinaia di migliaia, milioni di dimostranti intenzionati/e a battersi contro i rispettivi regimi. A farlo, nonostante lo spettro della tragedia siriana agitato minacciosamente davanti ai loro occhi da generali e despoti che sognano di emulare le gesta del mitico Assad.

Questa nostra presa di posizione, come Tendenza internazionalista rivoluzionaria, è un invito ai militanti di classe e ai proletari più coscienti a rompere il silenzio su questi grandi avvenimenti, che fanno il paio con quelli in corso nelle Americhe (Cile, Haiti, Colombia, Ecuador, Bolivia). E a far sentire in tutti i modi possibili la nostra solidarietà attiva, il nostro sostegno incondizionato, alle piazze arabe in rivolta. Specie ora che si moltiplicano i segni di manovre dei poteri costituiti, locali e globali, per cercare di avviare una devastante deriva di tipo siriano e innescare nuove guerre.

Le sollevazioni del 2011-2012 e l’offensiva controrivoluzionaria

Per inquadrare in modo adeguato gli avvenimenti in corso in Algeria, Sudan, Iraq, Libano, paesi arabi di cruciale importanza politica, e le loro ricadute in Iran, sarebbe necessario un ampio e molto dettagliato sguardo all’indietro. E sarebbe necessario, naturalmente, fare il punto sull’evoluzione sempre più caotica e centrifuga della situazione economica e politica mondiale. Ma lo scopo di questo nostro testo è solo quello di gettare un sasso nello stagno. Lasciamo quindi sullo sfondo il contesto internazionale, e ci limitiamo a fare alcune considerazioni sugli immediati antecedenti dei grandi scontri di classe del 2018-2019: la lotta anti-coloniale degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e le forti sollevazioni popolari e proletarie che andarono a comporre l’Intifada degli anni 2011-2012 – il sommovimento che ha dato avvio al secondo tempo della rivoluzione democratica e anti-imperialista nel mondo arabo con la parola d’ordine Ash’ab iurid isquat al-nizam, “il popolo vuole abbattere il regime!”.

Perché parliamo di “secondo tempo”? Continua a leggere L’Intifada araba è ripartita. Sostegno incondizionato alle piazze in rivolta!