Mai più figli per le vostre guerre ! – Comitato 23 settembre

Napoli, 1° maggio

MAI PIU’ FIGLI PER LE VOSTRE GUERRE!

Questa la comune parola d’ordine che le compagne del Comitato 23 settembre, le disoccupate del Movimento 7 novembre di Napoli, le compagne del Laboratorio politico Iskra e le militanti del Si Cobas hanno portato in questo primo maggio, nelle manifestazioni indette dal Si Cobas a Milano e a Napoli. Uno slogan che segna la solidarietà alla terribile situazione delle donne dei paesi che in questo momento sono al centro dello scontro bellico, ma che richiama fortemente la necessità di opporsi, con tutte le nostre forze, alla preparazione delle guerre prossime future.

Ci chiedono di trasmettere ai giovani il senso della “necessità” della guerra, educandoli, innanzitutto all’interno delle famiglie, alla passività, all’individualismo, al nazionalismo, al razzismo, alla necessità di non riconoscere i propri fratelli e le proprie sorelle di classe e di pensare che la propria sopravvivenza potrà realizzarsi a prezzo della soppressione dei diritti e della vita altrui. Intanto, per le vostre guerre, dovremo accettare sacrifici e rinunce in un contesto di crescente precarietà, povertà ed erosione di ogni minimo diritto, fra cui il supremo diritto di lottare in modo organizzato per i nostri interessi di uomini e donne proletarie, sfruttate e senza privilegi.

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L’internazionale nera colpisce ancora, e colpisce con particolare veemenza le donne – Comitato 23 settembre

Manifestanti per la “libertà di scelta” protestano in seguito alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di ribaltare la sentenza Roe v. Wade – Los Angeles, California, 24 giugno 2022

L’internazionale nera colpisce ancora. E colpisce con particolare veemenza le donne.

La campagna antiabortista scatenatasi negli Usa, all’avanguardia nell’esportazione della democrazia nel mondo, va ben al di là di qualche setta di fanatici oscurantisti che vorrebbero far girare all’indietro la ruota della storia. È di qualche settimana fa la notizia del licenziamento di un giudice della Florida per essersi espresso contro le provocatorie leggi antiabortiste e discriminatorie contro i giovani LGBTQ firmate dal governatore dello stato, rifiutandosi di perseguire chi “cerca, fornisce o sostiene gli aborti”. Essa vede scendere in campo con sempre maggiore convinzione il grande capitale, che è ben consapevole della gravità della crisi che il mondo intero sta attraversando.

Una crisi che non si risolverà da sé, ma che richiede misure drastiche, già messe in atto con la guerra in Ucraina e il suo inarrestabile sviluppo. La possibilità che questo macello (di proletari di ambo la parti) prosegua, risiede nel disciplinamento e nello schiacciamento della massa della popolazione, in primis le donne, gli immigrati e la grande massa dei lavoratori salariati.

Le donne in particolare, devono essere blindate nel loro ruolo di super-sfruttate, di fattrici, di cura e sostegno di tutti quei settori di popolazione che saranno sempre meno sostenuti dallo stato, oltre che di oggetti sessuali e di premio ai vincitori nelle guerre. Perciò dovranno chinare la testa e stare zitte. Per realizzare questo obiettivo che è presente a livello mondiale, con l’avanzare della destra che non ha scrupoli di “politicamente corretto”, non basterà certo qualche predica in chiesa o qualche cartellone pubblicitario sulle gioie della maternità: stanno da tempo scendendo i campo i poteri forti.

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Giù le mani dalla lotta delle donne e dei proletari iraniani! – Comitato 23 settembre

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa denuncia che il Comitato 23 settembre fa della squallida propaganda di “solidarietà” occidentale con le lotte delle donne e degli operai in corso in Iran da molte settimane. Per la verità, governi, mass media e igli stessi burocrati dei sindacati occidentali si sono ben guardati dall’amplificare il significato e il valore delle lotte operaie in Iran, vedendole più come un pericolo anche per loro, e tali sono, che come un’opportunità. Mentre hanno occhieggiato agli strati sociali superiori, più acculturati, della protesta delle donne iraniane, che non è affatto limitata ad essi, soprattutto per marcare, come nota il Comitato 23 settembre, la presunta superiorità della “civiltà occidentale” democratica sui “regimi autocratici” islamici. Insomma una “solidarietà” dettata in tutto e per tutto da smaccate finalità imperialiste, che non ha nulla a che vedere con la liberazione delle donne dall’oppressione patriarcale tanto tradizionale/individuale quanto moderna/collettiva. (Red.)

GIU’ LE MANI DALLA LOTTA DELLE DONNE E DEI PROLETARI IRANIANI!

Altre volte abbiamo parlato di quanto può essere strumentalizzata la lotta delle donne dei paesi non occidentali, svuotata del significato politico-sociale che assume in quel tipo di contesto, piegata a giustificare la presunzione di superiorità di potenze imperialiste che non hanno mai smesso di sentirsi investite di missioni “civilizzatrici” a danno di popoli che vogliono dominare e maggiormente sfruttare.

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Donne: mille ragioni in più contro il governo dei padroni e della guerra! – Comitato 23 settembre

Pubblichiamo il testo distribuito ieri a Roma dal Comitato 23 settembre, decisamente il più interessante tra quelli diffusi nel corteo. (Red.)

Perché siamo presenti nella manifestazione di Roma del 3 dicembre

Questa manifestazione contro la guerra in Ucraina e contro il governo Meloni è un chiaro segnale della necessità di andare oltre gli obiettivi settoriali delle forze che vi partecipano. Dobbiamo batterci contro il sistema sociale che sta trascinando nella propria crisi e nelle proprie guerre sempre più ampi strati di lavoratrici e lavoratori immigrati e autoctoni, disoccupate e disoccupati, giovani senza futuro, anziani senza garanzie.

Lo sfruttamento nei luoghi di lavoro, il disastro ambientale dei territori, lo sfascio del sistema sanitario e scolastico, la denuncia della repressione delle lotte e di chi le organizza, la diffusione di un’ideologia tossica centrata sull’esaltazione dell’individualismo e della concorrenza, sulla contrapposizione tra “nazioni”, le guerre di rapina delle ricchezze del sud del mondo, sono tutti elementi che non possono essere riformati. Essi vanno ricondotti ad una causa generale, che agisce ovunque nel mondo. Così come a livello internazionale le forze più reazionarie si fanno interpreti della necessità di schiacciare sempre più le condizioni di vita e di lavoro di uomini e donne senza privilegi, preparandoli ai sacrifici necessari per sostenere le guerre presenti e future e consentire l’ampia messe di profitti che esse garantiscono ad un pugno di capitalisti.

Una lotta a metà

Per essere all’altezza dei compiti imposti da questa situazione, le militanti e i militanti sono chiamati ad inserire tra i loro obiettivi la lotta alle condizioni specifiche di supersfruttamento, di oppressione, di subordinazione alle necessità del capitaledella grande maggioranza delle donne, la metà della classe degli oppressi e degli sfruttati di tutto il mondo. Questo pilastro su cui si regge il sistema capitalistico e l’ordine mondiale è spesso assente dalle rivendicazioni dei movimenti e delle organizzazioni sindacali e politiche: un tema che è diventato marginale anche nel movimento mainstream italiano, sempre più concentrato sulle tematiche del transfemminismo e sempre più lontano dagli interessi e problemi del 99% delle donne. Un tema che è ben chiaro e presente nell’azione dei governi, e come non mai in quella del governo Meloni.

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L’inferno di Prato può continuare – Comitato 23 settembre

Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo.

L’inferno di Prato può continuare

E’ stata emessa la sentenza sull’omicidio di Luana D’Orazio, una delle vittime dello sfruttamento che più ha commosso l’opinione pubblica, presto scomparsa dalle cronache ma non dal nostro ricordo. Sappiamo ora quanto vale la vita di una operaia di 22 anni, madre di un figlio piccolo, piena di speranze in una vita migliore. Intanto lavorava ogni giorno al telaio meccanico, senza protezione, garantendo con ciò ai suoi padroni un surplus di produttività dell’8%, quel telaio che l’ha stritolata.

Costringerla, da apprendista e precaria, a lavorare in quelle condizioni costerà ai suoi padroni la pena di due anni di reclusione con la condizionale (quindi non ne faranno neanche un giorno) e un risarcimento di un milione di euro, che difficilmente sarà versato (l’indennizzo previsto dall’Inail è di 166.000 euro). A processo andrà solo il manutentore. Siamo piene di rabbia e senza parole per questo ennesimo sfregio, che ci garantisce che i morti sul lavoro, e di lavoro, non meritano che qualche sporadica lacrimuccia, perché l’importante è produrre, consentire ai piccoli e grandi accumulatori di prosperare e fare grande la nazione.

Essi sono i veri patrioti a cui si appella il nuovo governo, promettendo riduzione delle tasse e zero controlli sulla sicurezza. A spremere come limoni i nuovi schiavi della produttività continueranno a pensarci loro, come si è visto. Luana resterà nella fossa comune delle centinaia di morti all’anno.

Con lei li ricordiamo tutti, con l’impegno di trasformare il dolore in rabbia, la rabbia in lotta, la lotta in organizzazione per seppellire una volta per tutte il sistema sociale capitalistico, con le sue guerre, i suoi veleni, i suoi sacrifici di carne umana.