L'”altra resistenza”, una storia scomoda e volutamente occultata: sui “comunisti dissidenti” di Bandiera rossa a Roma, di Peppe D’Alesio e Pietro Basso

L'”altra resistenza”: una storia scomoda e volutamente occultata

Di Peppe D’Alesio

Gli eventi di questi ultimi mesi, segnati dalla vittoria alle elezioni e dall’approdo al governo di un partito, Fratelli d’Italia, erede del MSI e, seppur in maniera indiretta, dei repubblichini di Salò, ha riportato in auge il tema dell’antifascismo e riacceso i riflettori sui “valori della resistenza” e della lotta di liberazione partigiana durante la seconda guerra mondiale, che sarebbero insidiati e messi in discussione dall’attuale esecutivo. Si tratta di un leit motiv che col passare del tempo è diventato sempre più trito e ritrito: un “antifascismo” da salotto televisivo che, nel celebrare i fasti di una presunta “età dell’oro” della democrazia borghese nostrana con tanto di richiami alla “costituzione più bella del mondo”, è sempre più funzionale alla difesa dello status quo esistente, ovvero del dominio borghese e del suo sistema di sfruttamento che, per dirla con Lenin, di regola assume la sembianza “democratica” quale suo involucro ideale.

La storia, come si sa, la scrivono i vincitori. Mai questa asserzione fu più corrispondente al vero come nel caso della resistenza al nazifascismo: nei quasi 80 anni che ci separano da quegli eventi si sono versati fiumi e fiumi d’inchiostro, plasmando i programmi di storia delle scuole e delle università e l’intero sistema culturale, artistico e cinematografico in funzione del dogma di una storiografia ufficiale tesa a celebrare i fasti del CLN, cioè il blocco politico tra DC, PCI, PSI, liberali ed azionisti, quali unici protagonisti ed “eroi” della liberazione dal nazifascismo. Una rappresentazione agiografica di quel “compromesso storico” ante litteram suggellato dalla “svolta di Salerno” che Stalin e Togliatti imposero a un PCI divenuto realmente un “partito nuovo”, un nuovo partito oramai del tutto svuotato dal profilo rivoluzionario che aveva caratterizzato il PCd’I di Livorno, sacrificandone ogni istanza classista e anticapitalista sull’altare del nuovo corso nazionalpopolare e della “democrazia progressiva”, abili espedienti per mascherare la definitiva accettazione da parte del suo gruppo dirigente dell’ordine economico e politico borghese.

Non deve sorprendere, quindi, che questa storiografia abbia volutamente dimenticato e occultato tutte quelle forze d’attrito prodotte dal movimento di classe, da migliaia di lavoratori ed operai, all’interno della resistenza antifascista: un ampio, articolato ed eterogeneo panorama di forze politiche e movimenti sociali che, malgrado le condizioni oggettivamente proibitive poste dalla seconda guerra mondiale, dalla brutale occupazione hitleriana e dalla altrettanto brutale opera della “repubblica di Salò”, hanno contrastato e messo in discussione l’opportunismo e l’interclassismo del PCI togliattiano.

Il recente lavoro di David Broder The Rebirth of Italian Communism, 1943-44. Dissidents in German-Occupied Rome ha il grande merito di tornare a far luce su una storia censurata per decenni, sulla quale ben poco è stato tramandato alle generazioni che non hanno vissuto l’epoca della seconda guerra mondiale, su tutte l’esperienza del Movimento comunista d’Italia, meglio noto come “Bandiera Rossa Roma” dal nome della testata e della città nella quale questa organizzazione si è sviluppata nel breve volgere del biennio 1943-45. Si tratta di uno dei tanti gruppi del “dissenso comunista” che in quegli anni si erano formati in Italia in contrapposizione al corso opportunista e interclassista del PCI, protagonisti di primo piano della lotta antifascista nella capitale occupata dal terzo Reich e la cui esistenza era stata narrata per la prima volta sul finire degli anni ’70 da Silverio Corvisieri nel testo “Bandiera rossa nella resistenza romana”, dopo oltre 30 anni di totale oblio politico.

Continua a leggere L’”altra resistenza”, una storia scomoda e volutamente occultata: sui “comunisti dissidenti” di Bandiera rossa a Roma, di Peppe D’Alesio e Pietro Basso
Pubblicità

«Bordiga, le leader oublié»

Riprendiamo dal sito A l’encontre la seguente intervista di David Broder a Pietro Basso.

Bien qu’il fût l’un des fondateurs du Parti communiste d’Italie [PCdI, fondé en 1921] [1], son principal dirigeant politique dans les premières années de vie du parti, Amadeo Bordiga est peu connu aujourd’hui. Pourtant, au-delà de certaines rigidités, sa pensée a encore des choses à nous dire au présent et au futur.

En août 2020 l’éditeur Brill a publié la première anthologie des écrits d’Amadeo Bordiga en anglais, dans sa collection Historical Materialism, sous le titre The Science and Passion of Communism. Selected Writings of Amadeo Bordiga (1912-1965). Elle est due à Pietro Basso, sociologue, marxiste militant au long cours, rédacteur de la revue Il cuneo rosso [2].

David Broder: Bordiga est un communiste aussi peu connu dans le monde anglophone qu’en Italie, malgré le fait qu’il a été le leader incontesté du Parti communiste d’Italie fondé à Livourne, le 21 janvier 1921, il y a exactement un siècle. L’historiographie du PCI l’a carrément accusé de collaboration avec le fascisme, pour ensuite garder un silence total à son sujet dans l’après-seconde guerre mondiale. Comment expliquer un tel destin?

Pietro Basso: Dans les années ’30 le dénigrement de Bordiga a fait partie de la « lutte contre le trotskysme ». Il a été expulsé du parti en 1930, pour avoir « soutenu, défendu et faites siennes les thèses de l’opposition trotskyste ». Puis, dans les années ’40, particulièrement dès la fin du conflit mondial, le groupe dirigeant du PCI, conscient de l’ascendant que Bordiga avait sur nombre d’inscrits au parti, craignant qu’il reprenne ses activités politiques, s’appliqua à créer un fossé physique, psychologique, idéologique et moral entre, d’une part, les membres et cadres de l’organisation et, d’autre part, Bordiga et sa critique radicale de la collaboration nationale avec les partis bourgeois et la classe capitaliste pratiquée par le PCI. Cette « voie italienne vers le socialisme » constituait, pour Bordiga, une abdication à l’égard de l’objectif historique du socialisme.

Le dénigrement et la tentative d’effacer toute trace de ce dirigeant communiste de l’histoire du parti furent cultivés aussi méthodiquement que de manière abjecte et falsificatrice. Par exemple, dans les Cahiers de prison d’Antonio Gramsci [3], Bordiga est mentionné 18 fois, souvent avec sympathie. Car malgré les différences de formation et les divergences politiques, tous deux étaient liés tant sur le plan du militantisme que de sentiments d’estime et d’amitié jamais reniés. Or, dans l’édition des Cahiers, réalisée par Felice Platone, en 1947, le nom de Bordiga disparaît et les passages qui le concernent sont grossièrement manipulés. Après quoi une photo truquée est mise en circulation, du prétendu mariage de la fille de Bordiga à laquelle des Mousquetaires du Duce [Benito Mussolini] auraient prétendument rendu hommage. Image que Bordiga a jetée un jour au visage de Massimo Caprara, secrétaire personnel de Palmiro Togliatti [4] [de 1944 à 1964].

Continua a leggere «Bordiga, le leader oublié»

Amadeo Bordiga. Una presentazione – Pietro Basso

E’ uscito nei giorni scorsi, per le Edizioni Punto Rosso, Amadeo Bordiga. Una presentazione – di cui pubblichiamo qui l’introduzione intitolata “Lezioni per l’oggi.

Il libro può essere richiesto direttamente all’editore al prezzo di 15 Euro scrivendo a edizioni@puntorosso.it
(va indicato il proprio indirizzo postale, il libro verrà spedito a casa, e dovrà essere pagato con bonifico bancario)

Continua a leggere Amadeo Bordiga. Una presentazione – Pietro Basso

Bordiga, il fondatore dimenticato. David Broder intervista Pietro Basso (Jacobin Italia)

Nella grandinata di articoli e libri comparsi in occasione dei 100 anni dalla nascita del Pcd’I a Livorno-1921, con la sola eccezione di Livorno ventuno, l’imponente figura di Amadeo Bordiga è cancellata, o almeno oscurata, e – comunque – “opportunamente” vilipesa. Non solo da gentarella digiuna di scienza storica e priva di dignità, anche da compagni seri, giovani e meno giovani, che purtroppo ne conoscono l’opera politica e teorica più per averne sentire dire (male), che altro. E’ dedicata a loro questa intervista, comparsa su Jacobin Italia, di David Broder a Pietro Basso, di cui uscirà nelle prossime settimane, per le Edizioni Punto Rosso, Amadeo Bordiga. Una presentazione. Dell’intervista pubblichiamo anche la più ampia versione in inglese comparsa su Jacobin (US) al momento della pubblicazione della prima Antologia di scritti di Bordiga in lingua inglese The Science and Passion of Communism. Selected Writings of Amadeo Bordiga 1912-1965, Brill, 2020.

Bordiga, il leader dimenticato, 19 Gennaio 2021

Pur essendo stato fondatore del Partito Comunista d’Italia e prima guida politica nazionale nel 1921, Amadeo Bordiga è oggi poco conosciuto. Eppure, nonostante alcune rigidità, il suo pensiero ha ancora più di qualcosa da dire sul presente e sul futuro.

Nell’agosto scorso la casa editrice Brill ha pubblicato, nella sua collana «Historical Materialism», la prima Antologia di scritti di Amadeo Bordiga in lingua inglese: The Science and Passion of Communism. Selected Writings of Amadeo Bordiga (1912-1965). L’ha curata Pietro Basso, un marxista militante da lungo tempo, oggi redattore della rivista Il cuneo rosso. Nelle prossime settimane la sua Introduzione all’Antologia sarà pubblicata in Italia dalle Edizioni Punto Rosso.

Bordiga è un comunista quasi sconosciuto nel mondo anglofono ma, in gran parte, lo è anche in Italia, nonostante sia stato per almeno tre anni il leader indiscusso del Partito comunista nato a Livorno il 21 gennaio 1921, esattamente un secolo fa. La storiografia del Pci lo ha addirittura tacciato di collaborazione con il fascismo, per poi condannarlo al silenzio nel secondo dopoguerra. Come mai un tale destino?

Negli anni Trenta la denigrazione di Bordiga è stata tutt’uno con la «lotta al trotskismo». La sua espulsione dal partito, nel marzo 1930, avviene per aver «sostenuto, difeso e fatte proprie le posizioni dell’opposizione trotskista». Negli anni Quaranta, in particolare dopo la fine della guerra, il gruppo dirigente del Pci era preoccupato che Bordiga riprendesse l’attività politica, conoscendo il forte ascendente che aveva esercitato sugli iscritti al partito. La rigidissima consegna fu: creare un fossato fisico, psicologico, ideologico, «morale» tra i quadri e i militanti del Pci, e Bordiga e la sua aspra critica della linea di collaborazione nazionale con i partiti borghesi e la classe capitalistica sposata dal Pci – una prospettiva che, a dispetto del nome di «via italiana al socialismo», conteneva proprio la rinuncia all’obiettivo storico del socialismo.

La denigrazione e il tentativo di cancellare Bordiga dalla storia del partito furono attuati con metodi di abietta falsificazione. Ad esempio, nelle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, Bordiga è menzionato 18 volte, spesso con simpatia. Nonostante le differenze di formazione e le divergenze politiche, infatti, i due erano legati, oltre che dalla comune militanza, da sentimenti di stima e amicizia che non vennero mai meno. Ma nell’edizione delle Lettere curata da Felice Platone nel 1947 il nome di Bordiga scompare, e i passi che lo riguardano vengono volgarmente manomessi. Venne fatta circolare, poi, una foto contraffatta del (presunto) matrimonio della figlia di Bordiga in cui la (presunta) sposa veniva omaggiata da un’orda di Moschettieri del Duce – Bordiga la sbattè una volta sul muso di Massimo Caprara, a lungo segretario di Togliatti.

Quando è venuta meno quest’operazione di denigrazione/occultamento di Bordiga? 

Comincia a venir meno a fine anni Sessanta, quando l’Italia è scossa da un impetuoso risveglio di lotte operaie e sociali che esprimeva una critica di massa, magari superficiale e non conseguente, del «partitone» riformista e della sua sempre più organica integrazione nelle istituzioni e nelle logiche borghesi. In questo nuovo contesto sociale e politico è nata la spinta a ricostruire la reale vicenda del movimento comunista in Italia, sia tra gli storici di sinistra più indipendenti (Cortesi, Fatica, De Clementi, Merli), sia tra i militanti. A quel punto è diventato possibile imbattersi nell’imponente figura di Amadeo Bordiga e nella storia del Pcd’I per quello che realmente sono state. Per quanto mi riguarda, l’incontro è avvenuto a metà anni Settanta, pungolato dalle «provocazioni» intelligenti di Silvio Serino. In seguito ne ho approfondito lo studio sotto il consiglio di Paolo Turco, un valente internazionalista alla cui memoria ho dedicato l’Antologia.

Cancellare Bordiga era anche funzionale alla costruzione di una certa visione di Gramsci – il patriota, il democratico, ecc. – contrapponendo in modo forse troppo frontale questi due militanti, che dopotutto avevano collaborato nella nascita del Pcd’I, non credi?

Certo: rimuovere del tutto Bordiga è servito al Pci anche a rimuovere la partecipazione di Gramsci alla nascita del Pcd’I come partito internazionalista rivoluzionario, per sostituire il Gramsci feroce critico del Psi ed entusiasta aderente alla III Internazionale, con un Gramsci utile a legittimare, attraverso il frontismo, l’integrale adesione del Pci agli interessi del capitalismo nazionale (e internazionale), il padre nobile della lunga marcia del Pci nelle istituzioni dello stato borghese. Salvo poi disfarsene come di un vecchio impolverato pupazzo di pezza, per sostituirlo con figure di tutt’altro rango: i Willy Brandt, i Tony Blair, i coniugi Clinton…

Continua a leggere Bordiga, il fondatore dimenticato. David Broder intervista Pietro Basso (Jacobin Italia)

Comunisti del Ventuno

Questo libro, risultato del lavoro comune dei compagni del Pungolo Rosso e di Pagine Marxiste, è l’omaggio degli internazionalisti rivoluzionari ai compagni che cent’anni fa fondarono il Partito Comunista d’Italia (Livorno, 21 gennaio 1921).

Perché ricordare il centenario della fondazione del Pcd’I avvenuta a Livorno il 21 gennaio 1921? Perché – sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre – il Pcd’I fu parte integrante del grandioso tentativo internazionale di dare una soluzione rivoluzionaria ai problemi esplosi con il primo massacro mondiale imperialista (cui si sommò la pandemia della “spagnola”) e la crisi che ne seguì, con enormi movimenti di masse di proletari e di sfruttati, in Europa e in Asia.

Quel grande e generoso tentativo fu sconfitto dalla forza di resistenza materiale, militare e ideologica del capitalismo internazionale, che riuscì ad isolare la rivoluzione vittoriosa in Russia sul piano politico, chiudendola nel più avverso degli ambienti economico-sociali, e a battere in campo aperto, grazie alla violenza terroristica e alla complicità dei riformisti, le sollevazioni proletarie in Germania, in Ungheria, in Italia – dove prese corpo una nuova forma della dittatura borghese: il fascismo.

Lo stesso “partito mondiale”, che fu definito dai suoi fondatori l’Internazionale “dell’azione rivoluzionaria” e riuscì a raggruppare la parte “più avanzata e cosciente” della classe operaia dei paesi capitalisticamente più sviluppati con primi contingenti anche nei paesi colonizzati, degenerò a sua volta sotto il peso della controffensiva borghese e delle classi proprietarie di tutti i continenti, tra loro opportunamente consorziate. In un arco di tempo relativamente breve, attraverso una catena di arretramenti che dalle incertezze tattiche trapassarono alla strategia e poi ai principi, quel partito si tramutò da organizzatore dell’assalto al cielo del proletariato internazionale in uno strumento del capitalismo di stato russo. E nel corso di un decennio lo stalinismo trionfante provvide all’eliminazione fisica di gran parte del gruppo dirigente russo che era stato alla testa dell’Internazionale di Lenin.

Continua a leggere Comunisti del Ventuno