L’iniziativa promossa domenica 10 aprile dal SI Cobas, già nel titolo e nel sottotitolo “due anni di pandemia e di uso capitalistico dell’emergenza sanitaria”, ha tracciato una linea di continuità con l’analoga iniziativa dell’aprile 2021.
Sebbene la quantità dei partecipanti sia stata al di sotto dei numeri della precedente assemblea e della iniziativa online del 13 marzo contro la guerra, il convegno di domenica ha registrato un consenso unanime per la qualità, lo spessore e il livello del dibattito.
L’introduzione di Peppe D’Alesio del SI Cobas, ha evidenziato le ragioni dell’iniziativa, partendo dalla necessità di dotare il movimento di classe di un’analisi e di una chiave di lettura “sistemica” di questa crisi sanitaria, in quanto parte integrante di una crisi altrettanto sistemica del capitalismo su scala mondiale, e di mantenere alta l’attenzione sugli effetti e sull’impatto sociale di una pandemia che, malgrado siano calati i riflettori mediatici su di essa, non solo continua a persistere e a mietere migliaia di vittime ogni giorno nel mondo, ma si colloca in un contesto che preannuncia, assieme a nuove guerre e ai disastri ambientali, altre e forse ancora più virulente pandemie.
Nel corso del dibattito i vari relatori hanno enucleato e approfondito l’analisi e l’inquadramento della crisi pandemica in ogni suo aspetto.
Due anni di pandemia e di lotta all’uso capitalistico dell’emergenza sanitaria – Assemblea (on line) 10 aprile, ore 10 – Zoom Meeting 6154963185 – Password 091651
Due anni di lotta contro l’uso capitalistico della pandemia
Questo documento muove dalla necessità di chiarire e specificare alcuni elementi di analisi e di riflessione alla luce degli sviluppi più recenti della crisi pandemica di CoViD-19, delle problematiche urgenti che questi pongono dentro e fuori i luoghi di lavoro e dei compiti immediati e di prospettiva cui sono chiamate le avanguardie di classe e, con esse, il SI Cobas a tutti i livelli.
La scelta di pubblicare queste riflessioni oggi, a riflettori spenti e all’indomani della proclamazione della fine dell’emergenza sanitaria sancita per decreto dal governo Draghi, è tutt’altro che casuale.
Nelle scorse settimane i trambusti mediatico- propagandistici attorno al tema della pandemia, e con essi la vera e propria infodemia che ha accompagnato (e in larga parte avvelenato) questo biennio di crisi sanitaria, si sono repentinamente silenziati per lasciar spazio alla propaganda bellica a reti unificate (altrettanto martellante e tossica) in concomitanza con lo scoppio della guerra in Ucraina.
In barba a un quadro epidemiologico che su scala mondiale vede tuttora più di un milione di nuovi contagiati e migliaia di nuovi decessi ogni giorno, il Co-ViD-19 è pressoché sparito dai radar della comunicazione, sia a livello “mainstream”, sia sui canali sedicenti “alternativi”.
Parallelamente, le dispute (che, come si vedrà, in molti casi sarebbe più appropriato definire delle vere e proprie gazzarre) sul tema dei vaccini, del greenpass e, più in generale, della genesi della pandemia e della sua gestione politica complessiva, che per due anni hanno attraversato tangenzialmente lo stesso panorama delle forze sociali, politiche e sindacali di orientamento anticapitalista, monopolizzandone di fatto il dibattito, si sono improvvisamente sopite.
Se fino a ieri la pandemia costituiva il campo di battaglia privilegiato per una variegata sfilza di cialtroni, imbonitori, lestofanti e dilettanti allo sbaraglio, improvvisatisi virologi ed epidemiologi a mezzo social, oggi il ring si è traslato, con analoga foga e altrettanta superficialità, sul tema della guerra: gli esperti di “dittatura sanitaria” si reinventano esperti di “geopolitica”, con un’apparente e netta soluzione di continuità che, in realtà, cela il continuum di una narrazione e di un’interpretazione caricaturale, populista e interclassista degli eventi e della sequela di catastrofi ed emergenze che accompagnano, con sempre maggiore frequenza ed intensità, l’epoca attuale caratterizzata dalla crisi sistemica del modo di produzione capitalistico.
Che Draghi e i suoi omologhi occidentali si siano affrettati a nascondere l’immondizia sotto al tappeto per celare il colossale e rovinoso fallimento dell’intera gestione dell’emergenza pandemica e giustificare la sua conclusione come se nulla fosse, è ben comprensibile; ciò che invece lascia alquanto sconcertati è il navigare a vista di tanti sedicenti anticapitalisti, tanto pronti a saltare di palo in frasca a seconda dell’”emergenza” che di volta in volta viene imposta all’ordine del giorno dalle istituzioni e dai media loro asserviti, quanto incapaci di cogliere le connessioni esistenti tra i vari aspetti della crisi e di individuare possibili linee di intervento generali e unificanti nell’iniziativa di classe.
Il SI Cobas, che fin dalla sua nascita ha caratterizzato la sua identità e delineato la sua iniziativa sindacale e politica in chiave esplicitamente anticapitalista e internazionalista, da oltre un decennio ha assunto la crisi capitalistica globale quale elemento di analisi e cornice di riferimento imprescindibile ed ineludibile per la comprensione delle tendenze, degli eventi e degli sconquassi che periodicamente si abbattono sulla società e sulle vite di miliardi di proletari del pianeta.
Da anticapitalisti e da internazionisti non pentiti, abbiamo fin dal primo momento inquadrato la pandemia di CoViD-19 come un “momento” della crisi generale, come uno dei sintomi di una sua potenziale precipitazione su scala globale: non a caso, già in occasione del convegno nazionale online da noi promosso il 17 aprile 2021, abbiamo affermato a chiare lettere che, più che di pandemia, è a nostro avviso decisamente più appropriato definire la fase attuale col concetto di sindemia capitalistica, cioè di un interazione simultanea tra crisi ambientale, sociale, politica, economica e sanitaria quali concause e al tempo stesso aggravanti della crisi pandemica.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo testo scritto da “una compagna che da trent’anni si occupa di salute (in senso professionale e non solo)” ricco di spunti condivisibili, che sono stati trattati e discussi più volte su questo blog e nell’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi del 17 aprile scorso, alla cui organizzazione abbiamo partecipato – un testo che ha anche qualche enigmatico silenzio, qualche enfasi di troppo, forse, e un appello finale da raccogliere, e da integrare.
Troviamo essenziale, anzi discriminante, la premessa che la compagna fa: siamo davanti ad “un’emergenza sanitaria reale” di carattere mondiale (una pandemia), e “sminuirne la gravità è un errore” (anche in considerazione del long covid, più rilevante tra i giovani, “con conseguenze sul lungo termine ancora ignote”). Discriminante perché c’è chi sostiene, invece, che si possa criticare la gestione statale e padronale della pandemia, che è stata ed è per noi criminale, caotica, terroristica sul piano della comunicazione, e discriminatoria-repressiva con l’adozione del “green pass”, solo a condizione di ritenere la covid-19 un virus banale, “più o meno un’influenza stagionale”, o qualcosa di cui non si sa bene cosa sia e che colore abbia, chi la conta cotta, chi la conta cruda, cosa importa? Una posizione da ciarlatani, che rifiutano di fare i conti con la realtà.
Altrettanto d’accordo siamo con la compagna sull’importanza della ricerca delle cause, e sul fatto che la pandemia ha assunto in Italia (e in tutto l’Occidente) questa portata anche per effetto “delle scelte operate negli ultimi 30 anni nel servizio sanitario nazionale”. Che non riguardano solo i tagli alla spesa, le privatizzazioni, etc., come se prima dei tagli e delle privatizzazioni tutto andasse per il meglio; riguardano, più in profondità, la direzione assunta da molti decenni dalla medicina, la sua crescente concentrazione sui sintomi da “curare” con farmaci e protocolli “senza alcuna considerazione del contesto individuale e ambientale” entro cui le malattie nascono e si sviluppano. A riguardo abbiamo più volte ricordato su questo sito il contributo di Giulio Maccacaro sulla centralità, disconosciuta dal capitale, della prevenzioneprimaria, “quella che si applica al soggetto sano per conservarne la salute e impedirne la malattia”, che considera il processo morbigeno per lo più multifattoriale ed è “tatticamente fondata sul riconoscimento della predisposizione e l’abbattimento dell’eziologia, ma strategicamente rivolta alla promozione della salute come valore positivo”.
L’enorme potere iatrogeno delle case farmaceutiche [da ultimo illustrato, per gli Stati Uniti, in materia di oppiodi da Anne Case e Angus Deaton in Morti per disperazione e il futuro del capitalismo] ha in effetti bisogno sia di “consumatori fidelizzati”, farmaco-dipendenti, sia della accettazione di un approccio “espressamente commerciale” alla malattia e ai malati da parte della “fetta, ahimé consistente, di medici e ricercatori compiacenti”. Sottoscriviamo in pieno. Incluso l’ultimo passaggio, che riconosce l’esistenza di una quota, certo minoritaria, o anche molto minoritaria ma reale, di medici e ricercatori non compiacenti, liberi, da chiamare in causa e quindi alla “auto-organizzazione”. Sostenere invece che la scienza e la ricerca scientifica in generale e nella loro totalità producano oggi “solo disumanizzazione”, è ancora una volta da ciarlatani, che sulla base di tale falsa premessa si sentono poi autorizzati a sparare ogni sorta di idiozie, magari accreditando “ricercatori” affetti anche loro da dosi rilevanti di ciarlataneria, presi a pedate nel didietro, a suo tempo, da un certo Sabin, grande scienziato di memorabile integrità.
La nostra presa di posizione contro il green pass, opposizione motivata a modo nostro, ha suscitato reazioni critiche di segno contrastante. Per dirla in modo sommario: da un lato la critica di essere stati troppo tranchant nei confronti delle piazze no green pass; dall’altra – invece – di aver avallato in qualche modo il sentimento e l’attitudine che da quelle piazze emana, ed è pericoloso per l’autodifesa della salute da parte dei lavoratori. Ma non solo di questo si sono occupate le lettere che abbiamo ricevuto, sollevando – tra l’altro – anche la questione essenziale dell’attitudine da avere nei confronti della scienza, dell’industria farmaceutica e delle istituzioni che stanno monitorando il procedere della pandemia.
Abbiamo deciso di rendere pubbliche tre di queste lettere, la prima del compagno Alessandro Mantovani, la seconda dei compagni e compagne del Csa Vittoria di Milano, la terza di un compagno di Marghera, perché con la nostra presa di posizione abbiamo solo cercato di dare delle coordinate, delle indicazioni di fondo per una politica di classe in grado di contrapporsi all’iniziativa borghese su questo terreno, e non pensiamo affatto di avere detto l’ultima parola. Una pretesa del genere sarebbe tanto più sciocca quanto più la situazione è in continua evoluzione, a scala nazionale e internazionale: per quello che concerne la pandemia, per l’intreccio tra pandemia e crisi strutturale del sistema, per le decisioni del padronato e del governo Draghi (e degli altri governi) collegate a questa evoluzione, ed infine per le risposte di lotta a queste decisioni.
21 Maggio – Manifestazione nazionale a Roma contro il G 20e il “Global Health Summit”
Contrapponiamo al fronte unico dei capitalisti e dei loro stati,il fronte unico dei lavoratori e delle lavoratrici
Lo scorso 7 aprile, in occasione della Giornata mondiale della Salute, il governo italiano e la Commissione europea hanno rilanciato l’appuntamento a Roma il 21 maggio per il “Global Health Summit”, un evento inserito nell’agenda del G20 a presidenza italiana. Roma era stata individuata come luogo simbolico di raduno dei capi di stato e di governo delle 20 più grandi economie capitalistiche del mondo dall’ex-premier Conte e dalla presidente dell’UE von der Leyen per l’intensità della crisi sanitaria vissuta in Italia.
Il summit dovrebbe discutere e concordare a livello globale come adeguare i rispettivi sistemi medico-sanitari al crescente rischio di altre pandemie – un’ipotesi, dunque, che gli stessi “grandi (predatori) della Terra” ritengono più che fondata.
Fatto sta, però, che quelli che si riuniranno a Roma costituiscono la cabina di comando del sistema economico-sociale che ha causato la pandemia globale in corso da più di un anno. Lo sfruttamento brutale delle terre e dei mari, la selvaggia deforestazione, l’allevamento intensivo degli animali, l’urbanizzazione sregolata, sono all’origine dello sviluppo e della propagazione di questo virus. E proprio la prosecuzione di tali processi è la premessa per la cronicizzazione di questa pandemia e per la produzione di una catena di pandemie. Una lotta a fondo, radicale, per fermare questa tendenza comporterebbe interventi immediati e radicali sulle cause che la determinano. Ma non è certo di questo che si discuterà a Roma, perché tutto ciò che interessa ai gendarmi dell’ordine capitalistico internazionale è aprire un nuovo ciclo di accumulazione di profitti, imparando a convivere con le pandemie – per i migliori affari di Big Pharma e dei pescecani di tutti gli altri rami della produzione industriale.
In Italia, con Conte come con Draghi, e in Europa, la disastrosa gestione della crisi sanitaria è stata in linea con questo criterio: mettere il profitto al di sopra di tutto, e quindi anche della salute, e far pagare l’emergenza a lavoratori, precari, disoccupati, studenti.