Rosa Luxemburg e il debito come strumento imperialista – E. Toussaint

Il 2022 sarà un anno molto difficile per i paesi dominati e controllati del Sud del mondo, specie per quelli più indebitati con l’estero. Per almeno due ragioni: i 42 paesi che avevano aderito alla sospensione del pagamento delle rate per il 2020 e il 2021, dovranno ricominciare a pagare; molti di questi paesi vengono colpiti duramente dall’aumento del prezzo del petrolio e del gas. Nel complesso i 74 paesi più poveri del mondo dovranno versare ai loro creditori (i sanguisuga di sempre, ossia le vecchie potenze coloniali, a cui si è aggiunta la Cina) 35 miliardi di dollari – secondo la Banca mondiale si tratta di un aumento del 45% sul 2020. Un onere pressoché insostenibile, per cui più della metà di questi paesi sarà costretto a chiedere la ristrutturazione del debito estero – che comporta sempre, come ha mostrato Chossudovsky, l’appesantimento del debito e della dipendenza economica e politica. Tra i paesi più a rischio insolvenza Sri Lanka, Ghana, Tunisia, Salvador, ma altri – come il Libano – sono già alla bancarotta.

Ecco perché ci è sembrato utile riprendere (e tradurre) dal sito del CADTM (Committee for the Abolition of Illegitimate Debt) questo articolo di E. Toussaint che espone in modo piano l’analisi della funzione imperialista dei prestiti internazionali compiuta da Rosa Luxemburg nel suo L’accumulazione del capitale. E’ utile precisare che, per noi, da cancellare è l’intero debito estero dei paesi dominati e controllati dalle potenze imperialiste, non una sua parte.

Nel suo libro intitolato L’accumulazione del capitale, pubblicato nel 1913, Rosa Luxemburg dedicò un intero capitolo ai prestiti internazionali per mostrare come le grandi potenze capitaliste dell’epoca utilizzassero i crediti concessi dai loro banchieri ai paesi collocati alla periferia [del mercato mondiale] al fine di esercitare il proprio dominio economico, militare e politico su di essi. Ella cercò di analizzare l’indebitamento dei nuovi stati indipendenti dell’America Latina (in particolare dopo le guerre di indipendenza negli anni Venti dell’Ottocento), nonché l’indebitamento dell’Egitto e della Turchia durante il XIX secolo, senza dimenticare la Cina.

Luxemburg scrisse il suo libro durante un periodo di espansione internazionale del capitalismo, sia in termini di crescita economica che di espansione geografica. A quel tempo, all’interno della socialdemocrazia, a cui apparteneva (il Partito Socialdemocratico di Germania e il Partito Socialdemocratico di Polonia e Lituania – territori condivisi tra l’impero tedesco e quello russo), un numero significativo di leader e teorici socialisti era favorevole all’espansione coloniale. Tale posizione si manifestò in maniera particolare in Germania, Francia, Gran Bretagna e Belgio, potenze che avevano sviluppato i loro imperi coloniali in Africa, principalmente tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Rosa Luxemburg, invece, era totalmente contraria a questo orientamento e denunciò il saccheggio coloniale e la distruzione delle strutture tradizionali (spesso comunitarie) delle società pre-capitalistiche da parte del capitalismo in espansione.

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La pandemia: uno sguardo dall’Africa e sull’Africa – Hamza Hamouchene

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa analisi-denuncia a tutto tondo dell’impatto devastante che la combinazione tra crisi pandemica e crisi economica sta avendo sull’Africa del Nord e sull’Africa nera in termini di disoccupazione e impoverimento di massa, specie sull’enorme massa del lavoro informale (pari ad almeno il 50% del totale delle forze di lavoro).

Emergono in tutta la loro estrema violenza i meccanismi della dominazione coloniale, primo tra tutti il cappio del debito estero che ha già portato al default in questi mesi il Libano e lo Zambia, mentre il FMI si appresta a porre nuove condizionalità-capestro a un numero crescente di paesi in difficoltà. Il solo servizio del debito estero dei singoli paesi, ricorda Hamouchene, è pari a 10 volte la spesa sanitaria in Marocco, 7 volte la spesa sanitaria in Egitto, 4 volte la spesa sanitaria in Tunisia. La caduta del prezzo del petrolio e, al polo opposto, la crescente dipendenza alimentare dei paesi arabi e medio-orientali (innanzitutto di Egitto e Algeria, tra i primi importatori di grano al mondo) nei confronti dei paesi imperialisti esportatori (Stati Uniti, Europa, Russia) contribuiscono ad aggravare i contorni di una crisi sociale che prima dello scoppio della pandemia (nel 2018-2019) aveva visto le piazze del Sudan, dell’Algeria, del Libano, dell’Iraq riempirsi di grandissime manifestazioni. La seconda fase della pandemia si sta rivelando più terribile della prima, con un gran numero di piccoli produttori di cibo letteralmente schiantati dalle misure anti-covid. E sebbene i governi dei paesi arabi e africani ne stiano approfittando alla grande per cercare di frenare i moti di massa per un periodo di tempo indeterminato, per la ripresa delle sollevazioni arabe e dell’Africa sub-sahariana è già partito il conto alla rovescia.

Il testo mette capo, come vedrete, alla rivendicazione della incondizionata cancellazione del debito non solo dell’Africa e del Medio Oriente, ma anche per i paesi dipendenti dell’Asia e dell’America del Sud – una rivendicazione che da sempre abbiamo fatto nostra, e che ci impegniamo a rilanciare.

Di questo stesso autore e di Layla Rihai segnaliamo anche uno scritto sull’accordo in tutto e per tutto strangolatorio che l’Unione Europa sta cercando di imporre alla Tunisia, che è intitolato: Deep and Comprehensive Dependency: How a trade agreement with the EU could devastate the Tunisian economy. Il titolo dice già il suo contenuto – è vero, sarà anche un po’ vaga la sua conclusione politica (lo diciamo per i maestrini con la penna rossa e blu che ogni tanto perdono il loro tempo prezioso a visitare questo blog), ma la sua analisi-denuncia di questo nuovo crimine coloniale in gestazione da parte del grande capitale europeo, dell’UE, in cui l’Italia è in primissima fila, andrebbe fatta circolare. Segnaliamo anche un breve video:  e una versione ridotta dello scritto sulla Tunisia.

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1. Decolonising pandemic politics

Before I delve into some details from North Africa, I would like to make a few preliminary points:

My understanding of the title of this webinar, especially the ‘decolonising’ part is two-fold:

  1. To decentre our discussion from Eurocentric hegemonic discourses around the pandemic in order to see how other parts of the world are living through it, especially in the global South.
  2. Look at the fundamental root causes of the current crisis which find their origins on the capitalist exploitation of humanity and nature as well as the imperial economic recolonisation of large parts of the world in the last 3 to 4 decades.
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Altri 750 miliardi sulla schiena dei lavoratori di tutta Europa (e non solo)!

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Ci siamo: il progetto della Commissione von der Leyen è diventato realtà. Ci vorrà ancora qualche mese, e si abbatterà sulle schiene dei lavoratori di tutta Europa e sulle schiene degli oppressi dei paesi dominati e controllati dall’Unione europea, un macigno dal terribile peso di 750 miliardi di nuovo debito di stato che dovremo ripagare per decenni, con gli interessi – a meno che non rovesciamo il tavolo e facciamo a pezzi il suddetto progetto.

Dovremo ripagare a chi? Elementare: ai padroni dei debiti di stato. Cioè a quella masnada (detta élite) di banchieri, finanzieri, imprenditori, speculatori “puri”, super-burocrati civili e militari super-pagati, capi mafia, etc., che hanno nella loro disponibilità, in ogni paese europeo, la quasi totalità dei titoli di stato, che ora si arricchiscono di una nuova figura: i titoli del debito UE, di questo finto-vero-finto super-stato.

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Un sistema finanziario mondiale ultra-parassitario che beneficia di una totale protezione, di F. Chesnais

Questo testo di François Chesnais, che traduciamo da http://www.alencontre.org , illustra, con la nota competenza, il folle procedere di un’accumulazione finanziaria sempre più staccata dal processo reale di accumulazione. Mentre le previsioni sulla caduta del pil mondiale e dei singoli paesi si fanno sempre più pesanti, nel secondo trimestre dell’anno le borse hanno avuto un’avanzata travolgente: Wall Street è cresciuta del 30% (il record degli ultimi 23 anni), la borsa di Milano del 17% (il record degli ultimi 17 anni). Le banche centrali sono finora riuscite ad evitare l’esplosione di una crisi finanziaria che moltiplicherebbe l’impatto dell’acuta crisi produttiva innescata dalla crisi sanitaria, ma perfino i massimi funzionari del FMI debbono ammettere che stanno crescendo a dismisura il sistema bancario ombra e i movimenti speculativiin una spirale di contraddizioni sempre più difficili da governare, anche perché i movimenti erratici di questi mega-capitali speculativi sono sempre più affidati a sistemi automatici, robotizzati, regolati sulla ricerca spasmodica di micro-profitti immediati. [Anche se è ben chiaro che questa folle spirale sempre più fuori controllo cerca di trovare, e può trovare, un po’ di “pace” e di “normalità” solo nella feroce intensificazione del suo comando sul lavoro vivo e del suo dominio sulle forze della natura.]

Un altro importante aspetto richiamato da Chesnais è l’imponente fuga di capitali in atto dai paesi dominati e controllati del Sud del mondo che sta generando o incubando – in particolare in Sud America e in Medio Oriente – crisi sociali esplosive (una per tutte, il Libano). Aspetti già noti e aspetti del tutto inediti (per esempio la tendenza semi-secolare al ribasso dei tassi di interesse) si intrecciano in questa che si presenta sempre più come un’epocale crisi di sistema che investe, più in profondità di quella del 2008, l’intera economia mondiale, l’intero sistema sociale capitalistico.

Molto interessante è anche il richiamo all’impegno del FMI e di altri network finanziari nell’incentivare il passaggio al “green capitalism”, che tutto è, e sarebbe, fuori che un’alternativa “sostenibile” al brutale saccheggio della natura e del lavoro proprio del capitalismo del fossile – e ci mette di fronte alla necessità di demolire criticamente e lottare nel concreto questa ed altre false soluzioni alla crisi del modo di produzione e della civiltà del capitale. Non ci salveranno nuovi modelli capitalistici di sviluppo, ci salverà solo la rivoluzione sociale. Pazienza se abbiamo davanti montagne da scalare.

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In Europa, nel corso della pandemia, il sistema finanziario ha ricevuto scarsa attenzione da parte dei media. Solo a fine febbraio/inizio marzo il brusco calo dei mercati azionari ha conquistato la prima pagina di giornali e trasmissioni televisive. In effetti, tra il 20 febbraio e il 9 marzo, abbiamo visto un crollo dei prezzi tra il 23% e il 30%, a seconda delle piazze finanziarie. Ora sappiamo che questo è accaduto grazie all’intervento della FED (la banca centrale degli Stati Uniti). Oggi il supporto fornito agli investitori finanziari non si sta indebolendo. Il 12 giugno la FED ha ridotto i tassi di interesse chiave sui suoi prestiti allo 0% e ha annunciato l’acquisto illimitato di buoni del tesoro [1]. In scia, il 18 giugno la BCE ha annunciato che stava facendo prestiti alle banche dell’area euro per un’ammontare di 1.310 miliardi di euro ad un tasso del -1%. Ad aprile 2019 ho concluso un articolo per A l’Encontre in questo modo: “La questione politica che può sorgere in uno o più paesi europei a seconda delle circostanze è un nuovo salvataggio delle banche da parte dello Stato, con la classica socializzazione delle perdite a spese dei salariati e delle salariate” [2].

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Facciamo pagare la crisi ai padroni: Per un fronte unico anti-capitalista. Sabato 6 giugno mobilitazione nazionale

L’emergenza pandemica sta evidenziando le contraddizioni strutturali di questo sistema in ogni aspetto del suo dominio.

Un’emergenza epidemiologica non fortuita, ma strettamente connessa all’invasiva espansione della produzione capitalistica che non risparmia alcun ecosistema. Sono infatti in progressivo e costante aumento la deforestazione e la desertificazione, l’incremento irreversibile della temperatura terrestre che produce ciclicamente catastrofi naturali, l’agribusiness e l’allevamento intensivo.

Un sistema che è fondato unicamente sulla ricerca della massimizzazione del profitto e all’accumulazione, sul massiccio sfruttamento di vite e sulla predazione di risorse su scala globale non poteva che provocare, tra i suoi rovinosi effetti sociali, anche questa crisi sanitaria mondiale.

Una crisi che, esasperando e aggravando una recessione economica già preesistente, sta scuotendo l’intero sistema produttivo, peggiorando le condizioni di vita e di lavoro del proletariato e delle classi lavoratrici, sulle quali il padronato e i governanti europei cercheranno di accollare ancora una volta i costi economici e sociali delle loro manovre e delle loro ristrutturazioni.

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