Dal Brasile si allarga lo sciopero internazionale dei riders, di p.z.

Negli stessi giorni in cui scoppiano le rivolte degli afroamericani negli USA contro le violenze della polizia, i riders brasiliani, giovani e per lo più neri, in uno sforzo di auto-organizzazione esemplare, giungono a proclamare una giornata di blocco della loro attività e a raccogliere la solidarietà e la partecipazione dei lavoratori dei trasporti metropolitani e di altre categorie, di studenti, di movimenti e organizzazioni sociali. Inoltre, hanno creato una rete di coordinamento con i riders di altri paesi latino-americani per convergere in una mobilitazione unitaria e internazionale sotto le parole d’ordine: “La nostra vita vale più del loro profitto!”, “Abbiamo tutti gli stessi diritti!”, “Una sola classe, una sola lotta!”.

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Per un 1 Maggio di lotta, e oltre. Appello di SI Cobas e Adl Cobas

APPELLO A TUTTE LE REALTA’ SOCIALI E DI MOVIMENTO PER COSTRUIRE UN PATTO DI AZIONE COMUNE ARTICOLATO IN DUE GIORNATE DI MOBILITAZIONE PER ROMPERE LA GABBIA DEI DIVIETI

30 APRILE GIORNATA DI MOBILITAZIONE E LOTTA NAZIONALE CON FORME E MODALITA’ DA DECIDERE TERRITORIO PER TERRITORIO

IL 1° MAGGIO È LA GIORNATA INTERNAZIONALE DI LOTTA DEI LAVORATORI: QUINDI NON SI LAVORA!

A distanza ormai di quasi due mesi dall’inizio della pandemia di “coronavirus”, ormai estesa in tutto il mondo, emerge con sempre maggiore chiarezza che l’origine di questa catastrofe planetaria va ricercata interamente in un modo di produzione predatorio che, in nome del profitto, ha manipolato la natura al punto tale che la scienza, asservita interamente agli interessi capitalistici, pur sostenendo che vi saranno un seguito di epidemie, non è più in grado ne’ di prevenire ne’ di tamponare gli effetti catastrofici di ciò che può produrre sulla specie umana la devastazione degli equilibri naturali ad opera delle forze capitalistiche.

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Stati Uniti: i lavoratori Amazon, Whole Foods, Target e Instacart verso lo sciopero generale, il 1 maggio

Nelle ultime settimane, i lavoratori negli Stati Uniti hanno dato vita ad un movimento di scioperi spontanei a difesa delle propria salute contro il nuovo coronavirus. Amazon, Whole Foods e altri colossi sono stati investiti dall’ondata di scioperi, spesso vittoriosi; diverse lotte locali sono probabilmente rimaste fuori dai radar. Sono state nel contempo organizzate dal basso reti di mutuo soccorso a difesa di quanti, un numero incalcolabile, nell’ordine di molti milioni, negli Stati Uniti soffrono le conseguenze devastanti della crisi sociale e necessitano di tutela della salute, cibo, casa. La crisi sanitaria ed economica ha inasprito la situazione di oppressione sociale, razziale e di genere che caratterizza gli Stati Uniti – Europa e Cina seguono più o meno da presso, a seconda dei paesi, mentre il Sud del mondo affonda nel vortice e ribolle.

Con la produzione del profitto come unico criterio, e il conseguente cinismo verso chi manda avanti tutta la baracca, di finanza, corporations, imprese e autorita’, anzitutto quelle federali – con in testa Trump -, contro questo disumano caos sociale negli Stati Uniti si e’ strutturata una piattaforma di lotta, partita dai lavoratori di Amazon, Whole Foos, Target e Instacart. Ne trovate il testo qui sotto. Si punta allo sciopero generale il 1 maggio. L’organizzazione che lancia la piattaforma si rivolge a chi appartiene alla working class – operai, salariati, pensionati, senza-tetto, poveri, disabili, e chiunque sia deprivato e manchi di ogni controllo sul proprio destino – allo scopo di supportarli indirizzandoli verso organizzazioni di auto-tutela e di lotta. I promotori della piattaforma esprimono infatti, mettendole in contatto, un numero verosimilmente consistente di associazioni “working class” sul territorio nazionale. Gli obiettivi, da imporre ad autorita’, multinazionali, ceti affluenti e compagnia cantante, sono:

  • tutela sanitaria ed economica per lavoratori e disoccupati;
  • diritto all’assistenza sanitaria;
  • cancellazione dei debiti e sospensione degli affitti;
  • amnistia per immigrati privi di permesso e detenuti in attesa di giudizio o condannati per reati che non siano contro la persona;
  • cessazione delle azioni di aggressione militare statunitense.

Sono, in modo implicito ma immediato, obiettivi di rottura. L’espansione e l’intreccio di contatti con gruppi di mutuo-soccorso e di lotta deve servire a costruire una base forte, sui fronti dell’auto-tutela e sindacale, per coordinare l’azione contro “the wealthy and the powerful”: chi concentra ricchezza e potere.

Questa iniziativa – il retroterra di lotta e la capacita’ e volonta’ di organizzazione di classe che esprime – e’ di un’importanza straordinaria. Il 1 maggio sara’ solo un suo primo banco di prova. Questa iniziativa equivale ad un invito, che raccogliamo e rivolgiamo a chi legge, a fare altrettanto, mettersi in contatto e fare anzitutto circolare la notizia.

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Our Platform

OUR PLATFORM defines our movement, and it exists to support, protect, and strengthen the working class. It consists of:

La propaganda anti-cinese sulla crisi COVID-19: la risposta di Pechino e la nostra

The Putin Paradigm | The New York Review of Books | Daily

Stati Uniti ed in coda l’Europa stanno puntando l’indice contro la Cina rispetto alla pandemia da coronavirus. Riceviamo dal Coordinamento nazionale per la Jugoslavia la segnalazione di una risposta cinese pubblicata sul Global Times (16 aprile).

La risposta ha la firma dell’Istituto Chongyang per gli studi finanziari della Remnin University of China, ma ha tutto l’aspetto di una risposta ufficiale, di stato. Il testo intende demolire l’accusa secondo cui la Cina ha comunicato con ritardo lo scoppio della epidemia, prendendo di mira in particolare l’atteggiamento ondivago e le provocazioni di Trump. La data di riferimento indicata è il 1° gennaio 2020, il giorno in cui l’Organizzazione mondiale per la sanità (OMS), su informativa cinese, si mette in stato di allerta per affrontare l’epidemia. L’altra data-chiave è il 3 gennaio 2020, il giorno in cui si apre un fitto scambio di informazioni con gli Stati Uniti d’America. Non vi è ragione di mettere in discussione queste date. Del resto è accertato che in Italia l’allarme per l’arrivo del virus è ufficiale già il 22 gennaio quando (v. Corriere della sera, 22 aprile) avviene la prima riunione di una “task force” ministeriale. Nello stesso arco di giorni l’allarme scatta anche in altri paesi europei, come nota The Guardian per la Gran Bretagna (vd. anche Coronavirus: 38 days when Britain sleepwalked into disaster, The Sunday Times, 19 aprile 2020).

E allora? Evviva la Cina “socialista” e veritiera contro l’Occidente colonialista e mentitore? No. Basta ricordare la vicenda del dottor Li Wenliang, che lancio’ l’allarme in dicembre e venne costretto dalla polizia a ritirarlo, con un tentativo di insabbiamento delle autorità locali, nonche’ il silenzio sul reale numero di decessi a Wuhan. Cio’ ovviamente non toglie, che negli Stati Uniti e in Europa stia montando una campagna di propaganda anti-cinese; questo è certo. Ma nella messa a punto del Global Times manca la benché minima considerazione sulle cause di questa nuova epidemia e delle altre analoghe epidemie scoppiate in Cina. E non a caso. Infatti, l’indagine sulle cause – su cui abbiamo richiamato l’analisi di Chuang, voce dell’altra Cina – conduce all’aggressione capitalistica alla natura che è alla base di questo sciame virale. E dunque alla corresponsabilità di Cina e Occidente.

La contesa in atto non riguarda infatti la rimozione dei fattori all’origine delle epidemie a catena di questo torbido inizio di ventunesimo secolo. E’ su come profittare meglio, ai danni del concorrente, del disastro insieme sanitario ed economico di cui l’intero capitale globale è colpevole.

C’è un’altra mancanza in questo testo cinese, e riguarda il richiamo al passato coloniale. La richiesta di risarcimenti alla Cina per i danni prodotti dal coronavirus ricorda, si afferma, “il risarcimento di Gengzi”, preteso dalle potenze imperialiste che aggredirono la Cina nel 1900 e schiacciarono la rivolta dei Boxer – tra queste l’immancabile Italia, 83 ufficiali, 1882 soldati, 178 quadrupedi, che parteciparono alla sanguinaria carneficina e al saccheggio sistematico con cui furono punite le città di Tianjin e Pechino. L’indennizzo imposto alla Cina fu di 450 milioni di haikvan taels d’argento (più di 1 miliardo e 650 milioni di lire dell’epoca); all’Italia andarono 26.617.000 taels come premio per la partecipazione al crimine. Non sognate che possa ripetersi una cosa del genere oggi, la Cina è una grande potenza – ammonisce il Global Times. Giusto. Una grande potenza integralmente capitalistica – aggiungiamo noi, contro chi e’ ancora intento ad investigarne la presunta “natura sociale” per cercare di giustificare, da “comunisti”, il proprio campismo.

Il Global Times ricorda dunque i soprusi inflitti al popolo cinese nel 1901 da parte dell’imperialismo occidentale, ma, guarda caso, dimentica che la Cina ufficiale di allora, nella persona dell’imperatrice Tzuhsi, si appellò agli invasori perche’ reprimessero gli insorti. Di questo evento i professori della Remnin University of China ricordano solo la parte contabile, quella che più sta a cuore alla Cina ufficiale di oggi: cuore-portafoglio.

Noi invece ricordiamo bene di quell’evento l’aspetto sociale e politico: la formidabile sollevazione di contadini senza terra, braccianti, carrettieri, artigiani andati in rovina, maestri, ex-soldati, che anticipò e avviò l’epopea della rivoluzione nazionale e popolare che ha consentito alla Cina di risollevarsi dall’abisso. La Cina-grande-potenza-capitalistica di oggi, che non può essere piegata né dagli Stati Uniti né dall’Occidente intero come invece lo fu la Cina decadente di Tzuhsi, si erge su quella grande sollevazione rivoluzionaria durata mezzo secolo. Ma non ne è l’erede, ne è solo la capitalizzatrice in banca. Nessuna retorica anti-coloniale riuscirà a mascherarlo. Contro il nostro capitalismo predatore, ieri, oggi, sempre. Contro l’offensiva propagandistica anti-cinese – percio’ pubblichiamo il testo. Ma i nostri interlocutori sono le operaie, gli operai, le masse sfruttate della Cina, non i nuovi mandarini “rossi” esperti in studi finanziari e in abile diplomazia neo-coloniale.

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Smentite le falsità dell’Occidente sulla pandemia

Da Global Times, , traduzione di Andrea Catone pubblicata su Marx 21

Nel bel mezzo della pandemia globale COVID-19, la Cina ha lavorato duramente per superare il picco dell’epidemia e la gente ha iniziato a tornare al lavoro e a riprendere la produzione. In tutto il mondo le persone, che sono ancora nella fase più difficile della loro guerra contro il virus, sperano di ricevere assistenza contro l’epidemia.Eppure si sono levate alcune accuse bizzarre contro la Cina. Si suggerisce che “la Cina ha nascosto l’estensione dell’epidemia di coronavirus” e che “la Cina vede l’opportunità di espandere l’influenza globale in mezzo a una pandemia”. Sono state anche rivolte alla Cina ridicole richieste di risarcimento. Questo tentativo di dare la colpa alla Cina è stato progettato per distogliere l’attenzione dall’incapacità dei propri Paesi di rispondere adeguatamente al COVID-19. Dobbiamo riconoscerle come offuscamenti che minano purtroppo gli sforzi dell’umanità per porre fine alla pandemia. L’Istituto Chongyang per gli studi finanziari della Renmin University of China respinge i sei tipi di commenti tipici della situazione attuale.

Accusare la Cina di nascondere il coronavirus è rovesciare la realtà

Alcuni media e politici occidentali hanno sostenuto che la Cina ha deliberatamente nascosto il numero di infezioni e di morti causati dall’epidemia COVID-19 in Cina. Essi sostengono addirittura che la Cina ha condiviso la disinformazione che ha portato a sottovalutare la portata dell’epidemia e quindi a ritardare la loro risposta al virus.Tale retorica è dilagante in Occidente, ma in sostanza è un tentativo di giustificare l’incapacità dell’Occidente di combattere la pandemia. In risposta a queste dichiarazioni denigratorie la Cina ha pubblicato il 6 aprile un rapporto sulla tempistica della condivisione delle informazioni sul virus da parte del Paese [2].

Il rapporto mostra in dettaglio come la Cina abbia regolarmente condiviso le informazioni e le sue misure di prevenzione e controllo con gli Stati Uniti dal 3 gennaio. Compresi 30 scambi in un mese.Negli ultimi tre mesi, esperti americani sono stati invitati in Cina per comprendere meglio la situazione. Ci sono state anche intense comunicazioni, come i colloqui al vertice, la comunicazione tra i migliori diplomatici e tra le autorità sanitarie pubbliche dei due Paesi. Durante questo periodo, anche il presidente americano Donald Trump ha ripetutamente elogiato gli sforzi della Cina ed ha espresso la sua gratitudine a questo Paese. Continua a leggere La propaganda anti-cinese sulla crisi COVID-19: la risposta di Pechino e la nostra

Crisi sanitaria. 20 domande per lor signori

Avevano promesso di riqualificare i grandi ospedali ad alti livelli d’intensità di cura e spostare sul territorio tutte le attività a medio-bassa intensità. Il modello lombardo ha fatto da apripista. Ma il patto miliardario pubblico-privato ha partorito frutti amarissimi e mortiferi! La rete sanitaria territoriale è più arida del deserto dei tartari!

  1. perché sono stati tagliati alla sanità pubblica 37 miliardi e 100.000 posti di lavoro?
  2. perché la rete territoriale d’assistenza è rimasta solo sulla carta?
  3. perché hanno privatizzato le aree sanitarie più profittevoli, e hanno tagliato i reparti d’emergenza?
  4. perché non sono state chiuse immediatamente le aree più a rischio?
  5. perché i reparti d’emergenza non hanno retto all’epidemia del covid-19?
  6. perché i pochi reparti d’emergenza hanno di fatto chiuso a nuovi ricoveri?
  7. perché si continua a contabilizzare solo i morti dei pazienti ospedalizzati?
  8. perché viene sottostimato o nascosto il numero dei decessi domiciliari e delle RSA? Continua a leggere Crisi sanitaria. 20 domande per lor signori