
Il governo Meloni – piaccia o non piaccia – manovra per accrescere la propria popolarità con il taglio del cuneo fiscale, che sotto la ingannevole apparenza di un regalo dello stato ai lavoratori, è in realtà una “partita di giro”, anzi una partita a perdere. Il beneficio materiale e politico è tutto per i padroni, e per il governo che in questo modo legittima ulteriormente la sua ricetta fiscale rigorosamente anti-operaia: il cammino verso la flat tax. Un cammino avviato con il reaganismo e proceduto in avanti di tantissimo, sia nell'”Occidente collettivo” che nella Russia putiniana, che l’ha fissata al 13% per padroni e operai (dal 2001 al 2020 – salvo un piccolo ritocco al 15% dal 2021 per i redditi superiori ai 75.000 dollari).
Su questo tema pubblichiamo una nota di redazione e l’efficace volantino del SI Cobas di Genova. (Red.)
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Il taglio del cuneo fiscale: una partita di giro. Anzi, una partita a perdere.
Nella contabilità la partita di giro è mettere in bilancio una certa somma in entrata e contemporaneamente in uscita. La manovra del governo ha esattamente lo stesso effetto perché detassa una parte dei contributi a carico dei lavoratori e finanzia la minore entrata fiscale con uno stanziamento che verrà pagato dalla tassazione generale.
Il governo Draghi aveva già tagliato del 2% quei contributi portando in busta paga un aumento quasi invisibile. Il governo Meloni, manovrando abilmente per accrescere consensi, ha incrementato il taglio di altri 4 punti. La stampa è piena di dettagli, ma tace sulla questione essenziale: gli aumenti in busta paga non saranno quelli indicati dalla propaganda governativa. I mesi di fruizione del “beneficio” sono cinque, la tredicesima è esclusa, l’incremento dell’entrata che i lavoratori riceveranno avrà come conseguenza una maggior tassazione e questo produrrà un’erosione del “beneficio”. Ma soprattutto, come detto: 1) la spesa per compensare le minori entrate del fisco verrà coperta dalla tassazione generale, quindi tornerà ad essere pagata dai lavoratori; 2) la riduzione del gettito fiscale comporterà una simmetrica riduzione di servizi sociali parzialmente gratuiti indispensabili per chi non ha entrate e strumenti per ricorrere alla sanità privata e a tutti i servizi e sistemi pubblici che si avviano alla privatizzazione e commercializzazione sempre più spinta, che potrà essere sopportata solo da quegli strati sociali che riescono, per ora, ad avere dei margini di reddito con i quali assicurarsi una risposta individuale ai propri bisogni (polizze assicurative per malattia, integrazione della propria pensione, vigilanza privata, scuola privata). 3) la spesa di cui si parla è finanziata in deficit, il che vuol dire che bisognerà tener conto degli “interessi” dell’indebitamento che è sempre stato pagato, per l’essenziale, dagli operai e dai lavoratori salariati.
Sicché, a ben vedere, sebbene nessuno possa dare ora numeri precisi, è largamente prevedibile che il saldo finale di questa operazione spacciata per favorevole ai lavoratori apporterà, invece, un danno materiale alla gran parte dei proletari. Ancor più tangibile, da subito, è il danno politico: in quanto un governo spietatamente anti-operaio trova il modo di presentarsi pronto a rispondere all’urgenza di un recupero salariale davanti all’inflazione galoppante, mentre nella realtà viene incontro alla richiesta padronale di tagliare il cuneo fiscale per disinnescare la richiesta di forti aumenti salariali.
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