Italia: la crisi del 1943 e la classe operaia, di Graziano Giusti

Nel giorno dell’ottantesimo anniversario dello sciopero operaio alla Fiat Mirafiori, che segna il ritorno in campo della classe operaia contro il fascismo e contro la guerra, riprendiamo dal sito Combat-Coc uno scritto di Graziano Giusti che colloca questo sciopero e quelli che seguirono nel contesto della gravissima crisi della borghesia italiana e dello stato borghese, prodotta dalla evoluzione a sfavore dell’Asse dello scontro inter-imperialista nella seconda guerra mondiale.

Il testo valorizza giustamente il contributo operaio e proletario-popolare (vedi le quattro giornate di Napoli) alla caduta del fascismo. Ma forse esagera nel vedere esistenti le condizioni, anche solo alcune condizioni, della rivoluzione comunista in Italia e paesi viciniori nel ’43-’48. Ci sarebbe da ragionare, infatti, sui limiti quantitativi e qualitativi dell’iniziativa operaia, e sul cosiddetto fattore soggettivo organizzato, cioè sul fatto che il PCI di Togliatti (e di Stalin) remò sistematicamente, e senza tentennamenti, contro lo sviluppo in senso anti-capitalista di quella iniziativa, mentre, come nota anche il compagno Giusti, l’ipotetico fattore soggettivo alternativo, composto da piccoli gruppi di trotskisti, bordighisti e stalinisti di sinistra, non fu in grado di stabilire solidi legami con la spontaneità operaia, anche perché il fascismo aveva provveduto a disperdere già negli anni ’20 tutta lossatura organizzativa del vecchio PcdI. Pur tenendo presente la durissima repressione dei badogliani e la sottomissione dei comandi della Resistenza alle forze Alleate, in quella congiuntura era possibile condurre una politica classista rivoluzionaria (come del resto è provato dalle vicende dell'”altra Resistenza” e dello stesso, non insignificante, Partito comunista internazionalista); ma ritenere presenti le precondizioni di una rottura rivoluzionaria in direzione del socialismo è altra cosa.

Su queste vicende abbiamo postato di recente due interventi sui “comunisti dissidenti” di Bandiera rossa – (Red.)

LA CRISI DEL ’43 E LA CLASSE OPERAIA

Ottanta anni fa, lo sfasciamento dello Stato italiano durante la guerra imperialista apre un periodo di profonda crisi e prelude alla lotta di Resistenza. Che tipo di Resistenza? Diretta da chi? Indirizzata verso cosa?

La Resistenza in Italia è un fenomeno che va inquadrato nel più complessivo volgersi degli eventi legati agli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale, iniziata nel settembre del 1939.

Non possiamo neppure sommariamente richiamare ciò che accade nei primi tre anni del conflitto. Ricordiamo solo che con l’inverno 1942-’43 le sorti della guerra sembrano ormai segnate: le potenze dell’Asse (Germania, Italia e Giappone nel Pacifico) perdono vistosamente terreno e si delinea per loro la sconfitta di fronte alla coalizione degli Alleati (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, alle quali si è aggiunta l’URSS dopo l’invasione tedesca del giugno 1941).

Come si sa, l’Italia è entrata in guerra nel giugno del 1940, credendo di condurre, sull’onda degli iniziali successi tedeschi, una “guerra parallela” in grado di strappare il bottino maggiore pagandolo al prezzo minore. In fondo, la storia dell’imperialismo italiano potrebbe (anche oggi) essere condensata proprio in questa preposizione. Ma le cose vanno diversamente. Il Mediterraneo ed i Balcani, invece di essere le roccaforti dell’Asse nel fronte Sud del conflitto, diventano un incubo per il governo fascista. La Germania nazista deve intervenire in Africa Settentrionale e sul fronte greco per impedire che l’alleato venga travolto e che si apra per essa una minaccia sud-orientale.

La “svolta” decisiva, in Europa, è l’arresto dell’offensiva tedesca in Russia ed il contrattacco dell’Armata Rossa, iniziato con la vittoriosa battaglia di Stalingrado (dicembre 1942).

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Avvento al potere del nazismo e sconfitta operaia. Riunione e dibattito on line organizzata dalla TIR sabato 12/2

Per ragioni tecniche-organizzative la riunione-dibattito di sabato 12 febbraio (ore 16-19) sull’avvento del nazismo e le lezioni che ci consegna anche oggi per lo scontro di classe, si terrà su zoom al seguente link; password (091651).

Chi non riesce ad entrare dal link deve:

APRIRE ZOOM, Id: 6154963185. Poi aggiungere la password 091651

Perché studiare la vicenda storica che portò al nazismo?

La “doppia” crisi globale, economica e sanitaria, che ha investito il sistema capitalistico pone a tutta la sinistra rivoluzionaria una serie di interrogativi in gran parte inediti. Anche perché si intreccia con la fine definitiva dell’ordine internazionale scaturito dagli accordi di Yalta e con una crisi ecologica dai risvolti sempre più acuti, per configurare, nel suo insieme, la più grande crisi della storia del capitalismo.

D’altro canto, per ciò che ci compete, crisi, disoccupazione, precarietà, razzismo, guerre, rafforzamento degli apparati di controllo e di dominio borghese… ci obbligano oggi a riprendere alcune esperienze che hanno segnato, spesso tragicamente, il percorso della nostra classe nel XX° secolo. E’ un passaggio inderogabile per chi intende contrastare le politiche borghesi in una prospettiva rivoluzionaria, con l’obiettivo del superamento, via rivoluzione sociale, del modo di produzione capitalistico.

Il ricorso storico più vicino alla situazione che stiamo vivendo sul piano sanitario ci riporta alla pandemia influenzale cosiddetta della “Spagnola” di un secolo fa; la quale, frutto della guerra capitalistica per la spartizione del pianeta, provocò più vittime della guerra stessa, colpendo anche allora frontalmente le metropoli dell’imperialismo, e in modo ancora più drammatico parti delle loro colonie.

Appena un decennio dopo, ecco esplodere la “Grande Crisi” del 1929, che mise repentinamente all’ordine del giorno la “risoluzione” dei contenziosi imperialisti rimasti in sospeso ed affogati in un mare di disoccupazione di massa: soprattutto negli USA, in Gran Bretagna e nel cuore dell’Europa, la Germania. E proprio la Germania, uscita a pezzi dalla guerra e con una rivoluzione proletaria sconfitta, costituirà il “laboratorio” borghese da cui alla fine uscirà il nazismo.

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