Kazakistan: scioperi di massa dei lavoratori dell’industria petrolifera, solidarietà dei disoccupati, repressione di stato (English)

Su segnalazione del compagno Fabrizio riprendiamo dal sito In Defence of Communism una cronaca dettagliata e lucida di una forte lotta operaia scoppiata nella prima metà del mese di aprile nella regione occidentale del Kazakistan a seguito dell’arresto avvenuto nella capitale Astana (ora ridenominata Nur-Sultan) di una delegazione di operai dell’industria petrolifera licenziati che protestavano, con un semplice sit-in, contro il proprio licenziamento e, più in generale, contro il processo di privatizzazione della industria petrolifera nazionale.

L’articolo, istruttivo, mostra la continuità sostanziale tra la “era Nazarbayev” (32 anni di “riforme liberalizzatrici”) e l’attuale governo capitanato da Toqaev nel segno delle politiche “neo-liberiste” che hanno spalancato la strada agli investitori stranieri, sia quelli occidentali (su cui insiste l’articolo), sia quelli russi e cinesi – investitori richiamati da condizioni favorevolissime stabilite nel corso dei decenni dal precedente governo-regime (esenzione di dieci anni dall’imposta societaria, di 8 anni dall’imposta sugli immobili, e il congelamento per 10 anni sulla maggior parte delle altre imposte, e perfino un “difensore civico” per i diritti e gli interessi degli investitori…) con la creazione di dieci zone economiche speciali, ognuna con una sua particolarità quanto ai “settori prioritari di sviluppo”.

Questo accadeva e accade nella sfera di influenza russa, e – in questo caso – russa-cinese, nella quale, inutile dire, date queste regole fiscali così sfacciatamente favorevoli al capitale, si sono precipitati anche i capitali multinazionali con base negli Stati Uniti e in Europa. Ecco un altro paese all’interno del quale infuria lo scontro tra pescecani dei due campi imperialisti a confronto e scontro in Ucraina. Il processo di privatizzazione, creazione di appalti e sub-appalti, decurtazione brutale del numero dei dipendenti, ha assestato colpi su colpi ad una classe operaia chiamata sempre più a fronteggiare anche un’inflazione rampante – queste le precondizioni di forti lotte operaie. Che sono da far conoscere, e con cui solidarizzare, spazzando via la pidocchiosa riserva mentale secondo cui gli operai, i proletari, gli sfruttati dell’area di influenza russo-cinese si muovano a comando dell’Occidente.

Il testo è in inglese, una scrittura lineare e chiara. Meglio sarebbe stato tradurlo in italiano, ma per realizzare in modo sistematico questo lavoro, servono nuovi aiuti, non bastando gli attuali traduttori. Compagne, compagni, fatevi avanti! Inviate la vostra disponibilità a com.internazionalista@gmail.com (Red.)

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Friday, April 14, 2023

Kazakhstan: Mass strikes in Zhanaozen and Mangistau following the arrest of oil workers in Astana

Kazakhstan is again shaken by events related to mass rallies and strikes, which also began in the oil-producing western region of the country. 

The reason for the protests was the mass arrest on Tuesday of a delegation of dismissed oil workers who went to Astana (now Nur-Sultan) to seek the truth from officials of the Ministry of Energy.

It all started with the fact that in early April, several hundred workers of the BeraliMangistau Company contractor staged a round-the-clock sit-in protest in the city of Zhanaozen, Mangistau region, at the office of the state company Ozenmunaigas, which is part of the national corporation KazMunaiGas (an analogue of Gazprom). The fact is that they all lost their jobs at once after their private service company lost the tender for carrying out the necessary work.

In this regard, the dismissed workers demanded to include them all in the composition of the state company Ozenmunaigas, repeating the previous statements of the striking oil workers in 2021 and 2022 about the need to cancel the results of production optimization and privatization of auxiliary enterprises with the return of their teams back.

In fact, in practice, this means the demand for nationalization, since as a result of the “reforms” carried out over the past ten years by the Western management of quasi-state-owned companies, tens of thousands of workers ended up in numerous private LLP, losing in the social package and earnings.

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Milano, 11 giugno. Assemblea per rilanciare l’iniziativa di classe internazionalista contro la guerra imperialista in Ucraina – Fc, Fgc, Iskra, Tir

La guerra in atto tra il blocco USA-NATO-UE e Federazione Russa nel territorio ucraino conosce una continua escalation dagli esiti imprevedibili. Sul campo, centinaia di migliaia di soldati combattono un conflitto sanguinosissimo, con una terribile distruzione di vite umane e ambientale, dando così l’idea di quale apocalittica catastrofe potrebbe essere, per l’umanità e la natura, una nuova guerra mondiale in pieno ventunesimo secolo.

I governi del blocco imperialista euro-atlantico spingono furiosamente perché il massacro prosegua e si allarghi “fino all’ultimo ucraino”, inviando ingenti quantità di aiuti militari in ogni forma – fino alla fornitura di proiettili all’uranio e alla riaffermazione della dottrina dello “strike first” rispetto all’impiego dell’arsenale atomico statunitense. La propaganda di guerra di Putin e del governo russo non sono da meno, ed esprimono la chiara volontà di proseguire la guerra fino al raggiungimento dei propri obiettivi, alla base della decisione strategicamente ponderata di garantire in questo modo gli interessi della propria borghesia.

Lo scontro bellico in atto in Ucraina appare sempre più come un momento di svolta epocale, in cui la competizione inter-imperialista per il controllo di risorse, infrastrutture e tratte commerciali, mercati e territori strategici scende sul piano militare su una scala enorme, con il confronto a tutto campo tra il tentativo degli USA di mantenere la propria posizione apicale e la volontà da parte di un nuovo blocco in formazione attorno a Cina e Russia di affermare un nuovo assetto internazionale.

È, al tempo stesso, una guerra con pesanti ricadute anche sui lavoratori dei paesi che, per ora, non hanno proprie truppe massicciamente sul campo. È partita una frenetica corsa mondiale al riarmo con giganteschi piani di spese militari, con cui tutti i paesi cercano di farsi trovare più pronti possibile ad ogni evenienza in un contesto di rapida dislocazione di forze tra i blocchi imperialisti e dentro di essi.

Il passaggio ad un nuovo ordine mondiale “multipolare” non sarà in alcun modo pacifico ed indolore. Chi lo sostiene, esprime una posizione opposta agli interessi del proletariato e delle masse oppresse di tutto il globo: un mondo “multipolare”, costituito strutturalmente da campi imperialisti in accesa e costante competizione tra loro, produrrà una tendenza alla guerra sempre più acuta, e un peggioramento globale delle condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice.

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Foibe slave, lager italiani e… La Russa a Basovizza

Nel giorno in cui il tam tam della menzogna di stato italiana sulle foibe slave approda al festival di Sanremo (!) per ordine del governo Meloni e del suo sovrastante al Quirinale, pubblichiamo un testo che smonta pezzo a pezzo questa menzogna scritto parecchi anni fa da Paolo Turco, un valente compagno internazionalista che ci è stato e ci è caro – al di là di ogni possibile divergenza, relativa anche a qualche singolo passaggio di questo testo, il cui impianto è, peraltro, inattaccabile.

Storia passata? Nient’affatto. L’articolo è dell’aprile 1997 quando il Pds, progenitore dell’attuale Pd, cominciò a fare propria la campagna falsificatrice sulla reale vicenda delle foibe, che in precedenza era stata un monopolio assoluto delle destre più aggressivamente revansciste. E guarda caso, appena due anni dopo, partì dall’Italia – con il governo D’Alema, il capo del Pds – l’attacco criminale di Italia e NATO alla “piccola Jugoslavia” per disgregarla e fare del Kosovo “liberato” quello che è adesso: il 51° stato degli Stati Uniti, un narco-stato occupato dalla più grande base militare statunitense del mondo, Camp Bondsteel (un finto stato dal quale è fuggito il 60% circa dei giovani).

Il rilancio in grande stile di questa fetente campagna ultra-nazionalista dalla tribuna più “nazional-popolare” d’Italia avviene, non per caso, a poche settimane dalla dichiarata intenzione del governo Meloni (per conto del grande capitale italiano) di rivendicare un ruolo più attivo dell’Italia anzitutto, e della UE in seconda battuta, nei Balcani. Più Italia nei Balcani, entrino in UE“, così un dispaccio Ansa del 25 gennaio sintetizza la Conferenza (di guerra) da poco tenuta a Trieste su iniziativa del governo italiano. Conferenza di guerra perché ripete il copione ucraino. Bisogna affrettare, ha sostenuto Meloni, il percorso di adesione all’UE di Serbia, Albania, Macedonia del Nord, Bosnia, Montenegro e Kosovo: “ce lo chiedono tutti gli amici della regione”. Un puro atto di disinteressata amicizia… Un brandello di verità è però scappato dalla bocca del ministro degli esteri Tajani: “Vogliamo essere più presenti perché in politica quando si lasciano degli spazi vuoti, poi vengono occupati da altri“, citando come esempio la Serbia, “che rischia di guardare a oriente più che all’Europa”: un evidente riferimento alla Russia e alla Cina. Ancora Tajani: la prospettiva di Balcani “ancorati alla UE” è molto utile, in chiave italiana, “anche per la crescita economica in termini di presenza delle nostre imprese”. Da parte sua Meloni ha ricordato e lodato la missione a Pristina (capitale del Kosovo) di Crosetto, ministro della “Difesa”, decisa “per facilitare il dialogo tra questi due paesi”. Chiaro il contenuto del “dialogo”? Dalle canzonette di Amadeus e Morandi alla tragica musica di bombe a volontà (come nei 78 giorni di bombardamenti all’uranio impoverito che hanno sfigurato la Jugoslavia nel 1999). Occhio! Anche la marcia di avvicinamento all’attuale guerra in Ucraina è partita da lontano con i “più stretti rapporti” tra Ucraina e Unione europea, voluto naturalmente dai “nostri amici”…

Ma oltre che denunciare l’escalation di questa nuova campagna anti-slava e anti-comunista, vogliamo rivolgere un invito ai nostri lettori a studiare a fondo il passato della dominazione italiana nei Balcani. Potremmo cominciare, e dovremmo cominciare, da lontano, dal colonialismo di Venezia che tra il 1420 e il 1797 distrusse l’industria locale, impose il monopolio del sale per soffocare l’industria dalmata della conservazione del pesce, abbatté ulivi e gelsi per strangolare le locali industrie dell’olio e della seta, scoraggiò l’istruzione popolare per secoli, etc. Ma ci limitiamo qui a fare una sola segnalazione sui tempi più recenti, di un libro rigoroso e documentatissimo della storica Alessandra Kersevan sui campi di concentramento italiani (fascisti) di Gonars, Arbe, Treviso, Padova, Renicci, Colfiorito, Cairo Montenotte, Fiume, Visco, Fiaschette di Alatri, Melada, Mamula, Zlarin, Antivari, nei quali furono rinchiusi tra 100 e 150.000 deportati dai territori jugoslavi occupati dall’Italia, migliaia dei quali morirono per fame e malattie. Kampi di cui oggi nulla resta (salvo qualcosa per quelli di Gonars e di Rab, la dizione croata per Arbe) perché i governi Badoglio e poi la repubblica democratica “nata dalla resistenza” provvidero opportunamente a cancellare le loro tracce.

Come ha scritto Angelo Del Boca (nei suoi anni migliori): “Anche se la presenza dell’Italia fascista nei Balcani ha superato di poco i due anni, i crimini commessi dalle truppe di occupazione sono stati sicuramente, per numero e ferocia, superiori a quelli consumati in Libia e in Etiopia. […] Nei Balcani, il lavoro sporco lo hanno fatto interamente gli italiani, seguendo le precise direttive dei più bei nomi del ogha dell’esercito: i generali Mario Roatta, Mario Robotti, Gastone Gambara, Alessandro Maccario, Vittorio Ruggero, Guido Cerruti, Carlo Ghe, Renzo Montagna, Umberto Fabbri, Gherardo Magaldi, Edoardo Quarra-Sito. Si aggiungano i governatori della Dalmazia Giuseppe Bastianini e Francesco Giunta; l’alto commissario per la provincia di Lubiana, Emilio Grazioli; il governatore del Montenegro, Alessandro Pirzio Biroli”. Provate a vedere che fine hanno fatto questi macellai dopo la fine del fascismo, grazie anche all’ineffabile ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, e avrete di che stupirvi se ancora credete alla favola della democrazia anti-fascista, anziché – ed è tutt’altra cosa – postfascista.

Oggi, vicina al suo ottantesimo anno di vita, questa repubblica capitalista ha totalmente cancellato il ricordo dei crimini fascisti contro le popolazioni slave dei Balcani, e in nome di una falsa ricostruzione della vicenda-foibe, si prepara a nuove manomissioni e nuove aggressioni ai proletari e alle popolazioni dei Balcani. Iconica la foto di La Russa, seconda carica dello stato democratico, a Basovizza: gli assassini tornano sul luogo del delitto attraverso i propri eredi legittimi. E anche in questa infamia non c’è distinzione tra maggioranza di destra e opposizione di centro-sinistra. (Red.)

Foibe, ancora tu? – di Paolo Turco

La campagna sulle foibe “slavocomuniste”, che vede accomunate destra e sinistra, non è solo un atto di mistificazione della storia passata, ma, attraverso ad essa, mira a porre dei puntelli (per ora “solo” storiografici ed ideologici) per il futuro: non contro un impossibile ritorno del “terrore slavo” (!), ma contro il possibile e necessario ritorno del terrore rivoluzionario rosso. Per costoro, da infoibare è il comunismo. E noi ci regoleremo di conseguenza.

La campagna sulle foibe “slavo-comuniste”, provvidenzialmente (per la destra) aperta dal segretario triestino del PDS in sede “storiografica”, non conosce soste. […]

In concomitanza con un forsennato battage revisionista condotto da circoli ultranazionalisti friulani e giuliani si è mosso un magistrato di Roma, Pititto, che, al termine delle sue indagini, pare abbia staccato o stia per staccare un’ottantina di avvisi di reato per “genocidio” a ex-resistenti sia slavi che italiani.

Il campo delle ricerche si è, nel frattempo, esteso dalle zone della ex-Jugoslavia allo stesso Friuli, dove, in febbraio, si è “scoperta” una fossa comune con ben sette cadaveri di fascisti, collaborazionisti e spie da mettere sul conto del “genocidio” anti-italiano. Si tratta, non a caso, della zona in cui operavano.. due resistenze, quella picista della “Garibaldi” e quella cattolica, capeggiata da un prete, dell’”Osoppo”; quest’ultima impegnata a “resistere” assieme ai repubblichini contro la “minaccia slavo-comunista” nella transizione dal vecchio regime fascista a quello, non meno antiproletario, della cosiddetta democrazia. (In questo clima maturò l’”eccidio di Porzus”, cioè la fucilazione di un pugno di componenti dell’”Osoppo” in odore di collaborazionismo da parte di un comando capeggiato dal picista “Giacca”: “eccidio” successivamente sconfessato dal PCI in nome dell’”unità nazionale” e fatto ricadere come colpa sulle spalle del solo “Giacca”, attualmente residente a Capodistria, il quale, anche di recente, se ne è assunto, rivendicandola con molta dignità, la responsabilità in nome delle ragioni belliche dell’antifascismo).

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Le mire dell’Europa sui lavoratori dell’Ucraina

Riprendiamo dall’ultimo numero di Le Monde Diplomatique un articolo di Pierre Rimbert sui “falsi amici” dell’Ucraina. E’ una ricostruzione dell’azione di sottomissione economica del paese da parte dell’UE a partire dai primi anni 2000. Vengono analizzati alcuni trattati finalizzati a fare dell’Ucraina il terreno di gioco degli interessi industriali e finanziari europei. Ciò riguarda anzitutto il fenomeno delle delocalizzazioni in “friendshoring”, ossia la delocalizzazione in luoghi “amici” (da distinguere dalla mera delocalizzazione o “offshoring”, oggi più rischiosa), ed il controllo di un vasto esercito di riserva di manodopera spesso qualificata, che è emigrato, emigra ed emigrerà in massa – il terreno è stato principalmente arato mediante gli strumenti dell’imposizione di politiche di austerità, della deregulation e della distruzione della normativa sul lavoro.

La ricostruzione di Rimbert getta altra luce sul lungo braccio di ferro tra UE e Federazione russa, la quale per parte sua non aveva certo un atteggiamento disinteressato, e permette di capire più in concreto (cioè nei loro corposi contenuti economici) fatti come la caduta del governo filo-russo e l’episodio di Maidan. Anche se costituisce un salto di qualità nella contesa globale tra potenze capitalistiche discendenti e potenze capitalistiche ascendenti, la guerra in corso ha le sue radici nella contesa per l’Ucraina. E l’una e l’altra contesa riguardano evidentemente sotto ogni profilo la classe lavoratrice (una piccola “cosa” che tutti gli approcci geopolitici cancellano) – vedi ad esempio l’attacco frontale alla legislazione sul lavoro su cui il governo ucraino sta procedendo di gran carriera, come si evince per esempio dalla denuncia dei portuali della costa occidentale degli Stati Uniti, o, più in dettaglio, da questo articolo del Guardian. L’articolo tace il ruolo molto pesante che gli Stati Uniti hanno avuto e hanno in tutta la vicenda. Non è un gran male, perché spesso, viceversa, ci si concentra esclusivamente sugli Stati Uniti, lasciando pensare che l’UE sia passivamente al traino. Magari contro gli interessi USA, ché la vogliono debole, l’Europa ha fatto valere e cerca di far valere in Ucraina i propri interessi – interessi “coloniali” li definisce a microfoni spenti un diplomatico europeo. E se lo dice lui…

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Materiali dal presidio di Venezia del 20 maggio – Comitato permanente contro le guerre e il razzismo

Noi stiamo dalla parte delle masse lavoratrici che in Ucraina, in Palestina, nello Yemen, in Kurdistan, sono trascinate a forza nelle guerre dai grandi poteri coloniali e neo-coloniali che spadroneggiano nel mondo. Per questo non ci stancheremo di dire: non un uomo, non un soldo per le guerre dei capitalisti! Guerra alle loro guerre, dall’Ucraina alla Palestina!

Il Comitato permanente contro le guerre e il razzismo di Marghera ha contribuito allo sciopero “contro la guerra e l’economia di guerra” indetto dal sindacalismo di base venerdì 20 maggio con un’azione di propaganda e agitazione che si è articolata in tre momenti.

Il primo si è svolto sabato 14 maggio alla manifestazione pacifista-ecologista di Mestre, con la distribuzione di un testo che partiva dai temi specifici di quella manifestazione per allargare lo sguardo alle guerre in corso e alla lotta contro le guerre (è stata l’occasione per discutere con alcuni dei giovani partecipanti alla marcia – che era meno folta e tesa di anni precedenti).

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