L’uccisione di Soleimani: un colpo all’Iran e un monito terroristico rivolto alle masse iraniane, arabe e medio-orientali.

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Torniamo in piazza contro le nuove guerre in gestazione, contro il governo Conte che è complice di questi preparativi, per il ritiro immediato di tutte le truppe italiane all’estero! Sostegno incondizionato alle piazze arabe e iraniane in ebollizione contro l’imperialismo e contro i propri regimi oppressivi!

L’uccisione del gen. Soleimani da parte del Pentagono non è rivolta solo contro un uomo e un regime politico che negli ultimi anni avevano saputo abilmente erodere spazi, in Iraq, Siria, in Yemen, agli Stati Uniti di Obama e di Trump e ai loro alleati. È un monito terroristico rivolto alle masse del mondo arabo e dell’intera area medio-orientale in ebollizione in Sudan, in Algeria, in Libano, in Iraq e altrove affinché abbiano ben presente chi comanda in quella regione, e tengano bene a mente che gli interessi statunitensi sono intoccabili. Questo monito va insieme al tentativo di rilanciare la falsa divisione tra “sunniti” e “sciiti” che tanto ha giovato agli interessi delle classi dominanti, globali e locali.

Non a caso Trump si è immediatamente precipitato a chiarire due cose:

  1. ”non vogliamo un regime change in Iran, non vogliamo buttare giù il regime islamico” – l’obiettivo è di limitare la sua sfera di influenza e renderlo più malleabile al tavolo dei negoziati;
  2. se ci sarà una risposta iraniana forte, la contro-risposta statunitense sarà “sproporzionata”. Il terrorismo imperialista degli Stati Uniti e della NATO – dello stesso genere di quello che Israele attua contro le masse palestinesi – mira oltre che a dare un avviso ai governanti di Teheran e delle altre capitali dell’area amiche della Russia, a generare paura tra i rivoltosi che da due anni riempiono le piazze di questa area per cambiare radicalmente la propria condizione attraverso l’abbattimento dei rispettivi regimi. Perché questo cambiamento radicale si può realizzare solo tagliando le unghie, le ali e infine la testa alla dominazione imperialista sull’area.

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Tutta la nostra solidarietà alle piazze arabe in rivolta!

SI Cobas nazionale, 21 dicembre 2019

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Da molti mesi, da Algeri a Khartum, da Beirut a Baghdad, le piazze arabe sono in rivolta.

Centinaia di migliaia, milioni di dimostranti, in grande maggioranza giovani proletari e semi-proletari, con la forte presenza e l’altrettanto forte protagonismo delle donne, sono scesi in campo per farla finita con i loro regimi politico-militari-confessionali, accusati di impoverire e opprimere le classi popolari ad esclusivo beneficio di piccole élite di profittatori e dei capitalisti stranieri.

Ancora una volta con la loro “marcia del ritorno”, la nuova coraggiosa sfida a Israele,  sono stati gli irriducibili palestinesi di Gaza a dare l’avvio ad un seguito di movimenti sociali che sono in continuità con le grandi sollevazioni del 2011-2012. La terribile repressione di quelle sollevazioni avvenuta in Egitto, in Siria, in Bahrein, in Arabia saudita, etc. non è riuscita a intimidire a lungo le masse sfruttate e oppresse del mondo arabo.

Ed eccole di nuovo in campo, a ribellarsi ad una condizione di disoccupazione e di impoverimento diventata insostenibile, all’imposizione di nuove tasse volute dal FMI, al dispotismo, alla brutalità, alla corruzione dei propri governi, al saccheggio delle ricchezze dei loro paesi da parte delle multinazionali.

La grande novità di queste sollevazioni del 2018-2019 rispetto a quelle precedenti è che la sfiducia di massa verso i poteri costituiti coinvolge in pieno anche i militari e le formazioni islamiste, viste ormai quasi ovunque per quello che realmente sono: non l’alternativa, ma una componente organica degli apparati di potere che difendono gli interessi dei più ricchi, dei grandi parassiti di stato, dei pescecani dei capitali globali che imperversano in questa regione strategica del mondo. Continua a leggere Tutta la nostra solidarietà alle piazze arabe in rivolta!

L’Intifada araba è ripartita. Sostegno incondizionato alle piazze in rivolta!

Non sono le pallottole ad uccidere, è il silenzio.”

(Muhammad Taha)

Pochissimi se ne sono accorti, specie alla sinistra radicale indaffarata a rincorrere le chiappe del duo Salvini-Meloni frignando sul Mes e a prepararsi a nuovi flop elettorali, ma sulla sponda sud del Mediterraneo e in Medio Oriente è ripartita l’Intifada araba, e alla grande. Nell’ultimo biennio le piazze di alcune capitali e di molte città arabe si sono riempite, a seconda dei casi, di decine, centinaia di migliaia, milioni di dimostranti intenzionati/e a battersi contro i rispettivi regimi. A farlo, nonostante lo spettro della tragedia siriana agitato minacciosamente davanti ai loro occhi da generali e despoti che sognano di emulare le gesta del mitico Assad.

Questa nostra presa di posizione, come Tendenza internazionalista rivoluzionaria, è un invito ai militanti di classe e ai proletari più coscienti a rompere il silenzio su questi grandi avvenimenti, che fanno il paio con quelli in corso nelle Americhe (Cile, Haiti, Colombia, Ecuador, Bolivia). E a far sentire in tutti i modi possibili la nostra solidarietà attiva, il nostro sostegno incondizionato, alle piazze arabe in rivolta. Specie ora che si moltiplicano i segni di manovre dei poteri costituiti, locali e globali, per cercare di avviare una devastante deriva di tipo siriano e innescare nuove guerre.

Le sollevazioni del 2011-2012 e l’offensiva controrivoluzionaria

Per inquadrare in modo adeguato gli avvenimenti in corso in Algeria, Sudan, Iraq, Libano, paesi arabi di cruciale importanza politica, e le loro ricadute in Iran, sarebbe necessario un ampio e molto dettagliato sguardo all’indietro. E sarebbe necessario, naturalmente, fare il punto sull’evoluzione sempre più caotica e centrifuga della situazione economica e politica mondiale. Ma lo scopo di questo nostro testo è solo quello di gettare un sasso nello stagno. Lasciamo quindi sullo sfondo il contesto internazionale, e ci limitiamo a fare alcune considerazioni sugli immediati antecedenti dei grandi scontri di classe del 2018-2019: la lotta anti-coloniale degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e le forti sollevazioni popolari e proletarie che andarono a comporre l’Intifada degli anni 2011-2012 – il sommovimento che ha dato avvio al secondo tempo della rivoluzione democratica e anti-imperialista nel mondo arabo con la parola d’ordine Ash’ab iurid isquat al-nizam, “il popolo vuole abbattere il regime!”.

Perché parliamo di “secondo tempo”? Continua a leggere L’Intifada araba è ripartita. Sostegno incondizionato alle piazze in rivolta!

Fermiamo la corsa alla guerra

Quando i lavoratori di una azienda tessile del Veneto hanno ricevuto l’ordine di sostituire con urgenza le etichette “Made in Turkey” ai jeans da esportare in Russia, nessuno aveva pensato all’aereo russo abbattuto pochi giorni prima nei cieli siriani dall’esercito turco, o alla tensione crescente tra gli eserciti di mezzo mondo per accaparrarsi un pezzo della Siria.

Nessuno aveva pensato alla guerra, alle quotidiane stragi meccaniche, alle bombe lanciate sulle case e sui luoghi di lavoro, alle carneficine di milioni di uomini, donne e bambini in Medio Oriente. Così come non molti hanno pensato alle decennali guerre scatenate dall’Occidente nei quattro angoli del globo quando hanno visto arrivare nelle loro città centinaia e migliaia di profughi. Alla guerra non si riesce a pensare neanche quando si sentono rombare i motori dei caccia, carichi di morte, partiti dalle basi militari dietro casa.

Alla guerra si è pensato solo quando a Parigi si è sparato nel mucchio. “Siamo in guerra”, ci hanno urlato i governanti – mandanti ed esecutori di altre decine di guerre. L’epica di Stato e la retorica degli alzabandiere vogliono coprire il sangue, lo sporco, la dinamite, le montagne di corpi smembrati, le vite spezzate, con la celebrazione delle bombe democratiche e la cancellazione della sanguinosa catena di orrori del passato, per arruolarci in nuove guerre.
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