L’Intifada araba è ripartita. Sostegno incondizionato alle piazze in rivolta!

Non sono le pallottole ad uccidere, è il silenzio.”

(Muhammad Taha)

Pochissimi se ne sono accorti, specie alla sinistra radicale indaffarata a rincorrere le chiappe del duo Salvini-Meloni frignando sul Mes e a prepararsi a nuovi flop elettorali, ma sulla sponda sud del Mediterraneo e in Medio Oriente è ripartita l’Intifada araba, e alla grande. Nell’ultimo biennio le piazze di alcune capitali e di molte città arabe si sono riempite, a seconda dei casi, di decine, centinaia di migliaia, milioni di dimostranti intenzionati/e a battersi contro i rispettivi regimi. A farlo, nonostante lo spettro della tragedia siriana agitato minacciosamente davanti ai loro occhi da generali e despoti che sognano di emulare le gesta del mitico Assad.

Questa nostra presa di posizione, come Tendenza internazionalista rivoluzionaria, è un invito ai militanti di classe e ai proletari più coscienti a rompere il silenzio su questi grandi avvenimenti, che fanno il paio con quelli in corso nelle Americhe (Cile, Haiti, Colombia, Ecuador, Bolivia). E a far sentire in tutti i modi possibili la nostra solidarietà attiva, il nostro sostegno incondizionato, alle piazze arabe in rivolta. Specie ora che si moltiplicano i segni di manovre dei poteri costituiti, locali e globali, per cercare di avviare una devastante deriva di tipo siriano e innescare nuove guerre.

Le sollevazioni del 2011-2012 e l’offensiva controrivoluzionaria

Per inquadrare in modo adeguato gli avvenimenti in corso in Algeria, Sudan, Iraq, Libano, paesi arabi di cruciale importanza politica, e le loro ricadute in Iran, sarebbe necessario un ampio e molto dettagliato sguardo all’indietro. E sarebbe necessario, naturalmente, fare il punto sull’evoluzione sempre più caotica e centrifuga della situazione economica e politica mondiale. Ma lo scopo di questo nostro testo è solo quello di gettare un sasso nello stagno. Lasciamo quindi sullo sfondo il contesto internazionale, e ci limitiamo a fare alcune considerazioni sugli immediati antecedenti dei grandi scontri di classe del 2018-2019: la lotta anti-coloniale degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e le forti sollevazioni popolari e proletarie che andarono a comporre l’Intifada degli anni 2011-2012 – il sommovimento che ha dato avvio al secondo tempo della rivoluzione democratica e anti-imperialista nel mondo arabo con la parola d’ordine Ash’ab iurid isquat al-nizam, “il popolo vuole abbattere il regime!”.

Perché parliamo di “secondo tempo”? Continua a leggere L’Intifada araba è ripartita. Sostegno incondizionato alle piazze in rivolta!

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Il Libano ribolle, al di là delle divisioni confessionali! Ma guardate anche le piazze dell’Algeria… e tutto il resto.

Pubblichiamo qui delle note sui movimenti di lotta in corso in Libano e in Algeria, sostanzialmente oscurati dai mass media e purtroppo trascurati dalla quasi totalità dei compagni e degli attivisti dei movimenti, che già rimasero largamente indifferenti alle grandi sollevazioni popolari del 2011-2012. Mentre tutta l’attenzione è catalizzata sulla bruciante sconfitta subita dai curdi del Rojava per mano dell’asse Washington-Mosca-Istanbul-Damasco e con la piena complicità attiva di Italia e UE, ci permettiamo di richiamare, controcorrente rispetto all’arabofobìa dominante, l’importanza degli avvenimenti libanesi, algerini, etc., sia per la ripresa del movimento proletario in Europa e in Occidente, che per lo stesso sviluppo futuro della lotta dei curdi e delle minoranze non arabe presenti nel mondo arabo. Per ricordare, a chi fosse interessata/o, la nostra analisi e la nostra posizione sulla grande Intifada araba del 2011-2012 rinviamo ad un testo di alcuni anni fa, L’Intifada araba e noi – Il cuneo rosso (2012), in cui rispondevamo alle critiche ricevute sul n. 1 del Cuneo rosso, intitolato “L’intifada araba e il capitalismo globale”. Ne abbiamo fatta in questi giorni una limitata ristampa. E’ possibile richiederla a com.internazionalista@gmail.com.

Il Libano

Da una settimana le strade di Beirut, Tripoli, Tiro, Sidone, Sayda, Nabatiyeh sono teatro di grandi manifestazioni di massa che hanno riportato in campo con forza gli slogan politici delle sollevazioni del 2011-2012: “il popolo vuole la caduta del regime” (Ash’ab iurid isquat al-nizam),rivoluzione” (thaura). La grande novità è che in queste manifestazioni di molte decine di migliaia di giovani non c’è traccia di divisioni per gruppi e simboli confessionali. La protesta dilaga in tutto il paese, e vede insieme, mescolati tra loro, sunniti, sciiti e cristiani. Il suo bersaglio è il governo Hariri di cui si chiede perentoriamente le dimissioni. E con il governo di unità nazionale, c’è nel mirino l’intera classe dirigente e le istituzioni finanziarie, a iniziare dalla Banca centrale del paese – davanti alla quale proprio ieri si è svolto un raduno di protesta.

La stampa italiana ha raccontato che la scintilla è stata l’introduzione di una tassa sul servizio di messaggistica di whatsapp (finora quasi gratuito). In realtà il clima era già saturo di sostanze esplosive: il timore di una forte svalutazione della lira e l’incremento del prezzo del pane, la rabbia per i continui disservizi nell’erogazione di acqua e luce, l’indignazione per gli scandali delle cricche dei favoriti di stato. Il Libano è da qualche anno sull’orlo del default. Ha un debito pubblico al 150% del pil (terzo al mondo, dietro solo a Giappone e Grecia), una disoccupazione dilagante (il tasso ufficiale è al 35%), livelli di polarizzazione della ricchezza, di clientelismo e di corruzione insostenibili. Sofferenze materiali e odiose umiliazioni quotidiane, carenza di servizi elementari a fronte di uno sfacciato accaparramento privato delle risorse statali: questo l’amaro impasto che la massa della popolazione si rifiuta di ingurgitare ancora. Ecco perché non c’è più riguardo per nessuno. Continua a leggere Il Libano ribolle, al di là delle divisioni confessionali! Ma guardate anche le piazze dell’Algeria… e tutto il resto.

Parigi, Bruxelles, Dacca e la guerra infinita

Trovate qui un’intervista fatta alla redazione del Cuneo rosso da un redattore de “Il pane e le rose” a seguito del documento “Parigi, Bruxelles e la guerra infinita“, riguardo all’islam politico e alla guerra infinita dichiarata dalle potenze occidentali alle masse arabo-islamiche.

1) Cominciamo dall’ISIS. In un vostro scritto del mese di aprile, intitolato “Parigi, Bruxelles e la guerra infinita” – pur sottolineandone l’ideologia reazionaria – esprimete l’esigenza di distinguere tra una critica di classe e una borghese a questa componente dell’islam politico…

Risposta – Sì, per noi è fondamentale la più rigorosa separazione dalla campagna di stato contro l’ISIS. Follìa, fanatismo, barbarie, odio per la democrazia, e altre balle del genere sono i temi ripetuti fino alla nausea dai mass media per arruolarci nella guerra che, a dire loro, l’ISIS ci avrebbe dichiarato. Questa propaganda di stato, rilanciata alla grande dagli ultimi attentati a Orlando in Florida e a Dacca, rovescia il rapporto causa-effetto, e nasconde il reale contenuto della lotta dell’ISIS e del jihadismo.

Punto primo: non sono stati né l’ISIS, né il jihadismo ad avere aperto la guerra in corso. Continua a leggere Parigi, Bruxelles, Dacca e la guerra infinita

Parigi, Bruxelles e la guerra infinita

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Dobbiamo fare di tutto per sottolineare l’aspetto della ‘guerra santa’
(D. Eisenhower sulla lotta al nazionalismo arabo)

Svolgiamo qui alcune considerazioni sugli attentati jihadisti di Parigi e Bruxelles e il loro retroterra medio-orientale, che forse saranno poco popolari data l’infezione arabofobica e islamofobica da cui è affetta la sinistra, inclusa buona parte di quella che si vuole antagonista, comunista, e perfino internazionalista. Ma la sola cosa che ci preme è contribuire a inquadrare gli avvenimenti in corso da un punto di vista di classe, denunciare e contrastare le nuove aggressioni in atto ai lavoratori e ai popoli di Libia, Iraq e Siria da parte del governo Renzi e degli altri governi europei, e lavorare ad avvicinare, a unire i proletari autoctoni e i proletari provenienti dai paesi arabi e islamici (e i loro figli) che i potentati dell’imperialismo, approfittando dei suddetti attentati, vogliono allontanare e scagliare gli uni contro gli altri. Tutto il resto, per noi, non conta.

È guerra? Certo, ma da 200 anni (almeno).
E l’ha scatenata l’Europa colonialista e imperialista.

Gli editoriali bellicisti delle scorse settimane e degli scorsi mesi hanno sostenuto pressoché unanimi la tesi: “dobbiamo rispondere con la guerra alla guerra che ci è stata dichiarata dai bastardi islamici” invertendo così il rapporto qualitativo e quantitativo tra cause ed effetti. Noi partiamo, invece, dalle cause, quindi dall’azione dell’imperialismo europeo e occidentale. Non da Parigi 13 novembre 2015 o da Bruxelles 22 marzo 2016, ma dall’Iraq 1991 e dall’Afghanistan 2001. E lo facciamo servendoci dell’articolo di Nafeez Ahmed, Unworthy victims: Western wars have killed four million Muslims since 1990 pubblicato su www.middleeasteye  l’8 aprile 2015, che sulla base di studi statunitensi, britannici, australiani, dà conto dei risultati delle guerre condotte dalle armate occidentali contro le popolazioni di Iraq e Afghanistan dal 1990. Andate a leggerlo e fatelo conoscere!

Lo sintetizziamo qui egualmente per i più pigri. Almeno 200.000 morti iracheni nella prima ‘guerra del Golfo’ (1991). 1.700.000 uccisi, sempre in Iraq, dall’embargo ONU degli anni seguenti, di cui la metà bambini. I dati sono di fonte ONU, e se lo dice l’assassino, c’è da credergli. Il prof. Nagi della Washington University ha scovato un documento segreto della DIA (Defense Intelligence Agency) statunitense che espone un piano dettagliato per “degradare completamente il sistema di trattamento delle acque dell’intera nazione per un decennio”. Per Nagi le sanzioni ONU sono state un mezzo per “liquidare una significativa parte della popolazione dell’Iraq” attraverso la diffusione su larga scala, per lungo tempo, di malattie ed epidemie – sanzioni, ricordiamolo, approvate dai miserabili governi italiani dell’epoca (Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema). Non bastando un tale trattamento umanitario, è sopraggiunta la seconda ‘guerra del Golfo’ nel 2003 con l’occupazione dell’Iraq da parte delle ‘nostre’ armate e la susseguente ‘pacificazione’ del paese con il massacro di 1 milione di iracheni.

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