Pubblichiamo qui di seguito la seconda parte dello scritto in cui Alain Bihr condensa e commenta [sul sito http://www.alencontre.org – L’écologie de Marx à la lumière de la MEGA 2 (II)] il libro di K. Saito, La nature contre le capital. L’écologie de Marx dans sa critique inachevée du capital (La natura contro il capitale. L’ecologia di Marx nella sua critica incompiuta del capitale) teso a ricostruire il pensiero di Marx in materia di ecologia anche attraverso i nuovi quaderni di appunti e di note via via in corso di pubblicazione nell’ambito del progetto Mega-2 (sarebbe utile leggerla in sequenza rispetto alla prima parte). Come si vedrà, da questo studio specifico Bihr trae un’acuta considerazione di metodo, di carattere generale, circa il modo più appropriato di intendere l’opera di Marx, le mille miglia lontano sia dalla mortuaria canonizzazione di Marx (ridotto a poche formule, spesso usate fuori contesto), sia dalla banale frottola accademica di un Marx giovane (idealista rivoluzionario) opposto ad un Marx “maturo” (scienziato convertito al determinismo positivista).
Un solo rilievo ci viene da fare all’uso, da parte di Bihr, in relazione al comunismo, dell’espressione “proprietà collettiva del suolo”. In questo caso ci sembra più adeguata la sottolineatura di Bordiga che, scartando polemicamente il termine “proprietà”, dà forza al concetto di usufrutto, nel suo commento (contenuto in Testi sul comunismo, a cura di J. Camatte) a questo celebre passo del cap. 46 del Libro III del Capitale:
«Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche un’intera società, una nazione, e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di migliorarla, come boni patres familias alle generazioni successive».
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Per quanto decisivi fossero, per Marx, i contributi di Liebig, egli non ne fu pienamente soddisfatto. Il brano appena citato del capitolo XIII del Libro I del Capitale si conclude perciò con una nota in cui Marx rende omaggio a Liebig mantenendo tuttavia una certa distanza critica da lui:
“L’illustrazione del lato negativo della moderna agricoltura, dal punto di vista delle scienze naturali, è uno dei meriti imperituri di Liebig. Anche i suoi scorci di storia dell’agricoltura contengono, sebbene non privi di errori grossolani, alcuni sprazzi di luce. Resta da lamentare che egli si avventuri in affermazioni come la seguente: “Una polverizzazione spinta più innanzi, ed una frequente aratura, favoriscono il cambiamento d’aria entro le parti porose del suolo, e aumentano e rinnovano la superficie di quelle sulle quali l’aria stessa deve agire; ma è facile intuire che il maggior rendimento del terreno non può essere proporzionale al lavoro applicato, ma sale in proporzione molto minore”.” [16]
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