La morte improvvisa di Michele Michelino ha sollevato sincero cordoglio nei più diversi ambienti della sinistra anticapitalista.
Perché questo sentimento quasi unanime? Ha esso un significato politico che va al di là della figura del militante scomparso?
Certo Michele era uomo dal carisma fuori del comune, un combattente straordinariamente intelligente, generoso e tenace, che sapeva organizzare, che sapeva pensare in grande. Un vero capo proletario, di quelli che un giorno dovranno fare la storia. Ed esprimeva movimenti concreti, reali.
Ma questo non basta a spiegare perché compagni delle più diverse tendenze politiche, compagni che spesso crudamente polemizzano tra di loro, si ritrovino insieme a commemorarlo.
Michele era – come altri hanno già detto – uno che sapeva unire, mettere davanti a tutto non l’interesse di una parrocchietta politica o sindacale, bensì quello della classe nel suo insieme.
Venuto dalla tradizione stalinista di Sesto San Giovanni, egli aveva intrapreso la strada che porta a superarla nella lotta. Alieno da quel pernicioso settarismo che ancora imperversa tra le cosiddette avanguardie rivoluzionarie, ripiegate ognuna sul proprio orticello e sul proprio passato, seppe essere il miglior compagno di strada di chiunque – internazionalista o libertario che fosse – si schierasse fattivamente e non a chiacchiere per la difesa e l’emancipazione della classe proletaria.
Ma nemmeno queste caratteristiche straordinarie del militante possono da sole spiegare il prestigio di cui Michelino godeva nel litigioso ambito della sinistra estrema. Che cosa allora?
Continua a leggere In memoria di Michele Michelino, lo “stalinista” che piaceva agli anti-stalinisti, di A. Mantovani e L. Thibault