Mentre decine di grandi città degli Stati Uniti sono piene di giovani neri, ma non solo neri, in rivolta; mentre la loro incontenibile furia costringe il duro Trump a rintanarsi come un coniglietto qualsiasi nel bunker della Casa Bianca; mentre la loro minacciosa forza costringe un certo numero di poliziotti a onorare in ginocchio George Floyd; vale la pena riprendere il nostro cortometraggio sul crack della società statunitense proprio dal sistema dell’istruzione, per poi occuparci della inaudita polarizzazione sociale e chiudere le nostre riprese sui punti di forza dell’Amerika, e sui nessi con i suoi punti deboli – sempre, si capisce, con l’aiuto di Massimo Gaggi, giornalista del Corriere della sera. Dopo lo lasciamo libero … (foto e descrizioni tratte da: Joakim Eskildsen, Photo Essay: Deep Poverty in America)
Il crack dell’Amerika (I)
La nostra America, l’altra America, l’America dei proletari e delle proletarie di tutti i colori, è in rivolta. Mentre in 25 città degli Stati Uniti è stato necessario dichiarare il coprifuoco per cercare di stroncare le proteste di massa contro l’omicidio di George Floyd ad opera della locale polizia; mentre Trump è costretto a mobilitare l’esercito, non bastando a mantenere l’ordine la guardia nazionale; è sotto gli occhi del mondo intero che in Amerika il razzismo di stato e la violenza di stato contro gli afro-americani sono tutt’ora una realtà permanente. La pentola a pressione statunitense rischia di scoppiare, scrivono sconcertati e intimoriti gli osservatori del palazzo.
Ma non si tratta solo della “questione razziale”. Gli Stati Uniti che hanno tuttora la pretesa di dettare legge in tutto il globo e, tramite Musk, perfino su Marte, sono oggi il paese che ha il massimo numero di morti da Covid-19 (più di 100.000) e il tasso di disoccupazione più alto in Occidente per effetto della crisi con 40 milioni di disoccupati. Sebbene qualche attardato continui a dipingerli alla stregua degli dei onnipotenti (addirittura capaci di far muovere a comando i movimenti di massa, specie se medio-orientali), gli Stati Uniti non hanno mai avuto nel mondo un indice di gradimento così basso, un’incapacità così profonda di essere quella “guida delle nazioni” (capitalistiche) che sono stati per quasi un secolo. E non è una banale questione di singoli: di Trump tanto per capirci. Trump è stato ed è il nome individuale di una crisi profonda degli Stati Uniti, del capitalismo statunitense, di una spaccatura profonda della sua società, un effetto e non certo la causa di tutto, come nella stucchevole narrazione degli Obama-boys.
Su questa crisi, che è un segno primario di una crisi per davvero storica del capitalismo globale, e apre (o spalanca?) le porte alla crescita dell’influenza del capitalismo cinese nel mondo, come anche ad una storica resa dei conti universale con il sistema capitalistico, avremo modo di venire con una riflessione di ordine assai più ampio. Qui ci limitiamo a dare uno sguardo alla situazione economico-sociale che sottosta all’ebollizione di questi giorni e di queste ore, servendoci di un aiuto inaspettato, il libro da poco uscito di un giornalista del Corriere della sera.