La condanna di Mimmo Lucano: giustizia di classe, razzismo di stato

Mimmo Lucano ci è sempre stato simpatico, per la sua inventiva e il suo coraggio nell’aggirare e violare le leggi e i regolamenti, italiani ed europei, pur di creare a Riace un contesto di solidarietà con i richiedenti asilo, gli immigrati e le immigrate etiopi, rumeni, afghani e di altre nazionalità.

A maggior ragione lo è ora che il tribunale di Locri gli ha scagliato addosso una condanna di 13 anni per associazione a delinquere, proprio mentre altri magistrati assolvevano la quasi totalità della dirigenza bancarottiera di Banca Etruria, e a pochissimi giorni di distanza dall’assoluzione di alcuni protagonisti di medio rango degli intrecci stato-mafia (i più grossi erano già stati messi al riparo). Due facce della stessa macchina della giustizia di classe.

Nessuna simpatia politica, invece, abbiamo mai avuto per il circo dei suoi sostenitori, che ha cercato di spacciare questa positiva esperienza di cooperazione tra autoctoni e immigrati come la soluzione miracolosa (il “modello Riace”) del fenomeno ben altrimenti strutturale e coriaceo dell’oppressione, super-sfruttamento, discriminazione istituzionale di rifugiati e immigrati “comuni” – che non può certo essere stroncato attraverso la nascita di tante Riace, per la semplice ragione, ora solare anche ai ciechi per scelta, che lo stato (e il capitale) non possono consentirla.

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