Pubblichiamo tre materiali tratti da Labor Notes e Jacobin, che danno utili informazioni sulle forme di solidarietà con il grande movimento di protesta afro-americano e multicolore nato dopo l’uccisione di George Floyd, che si sono date nelle scorse settimane negli Stati Uniti da parte di lavoratrici e lavoratori iscritti ai sindacati.
In uno di questi testi si parla di un “sea change”, un radicale cambio di rotta avvenuto nella pubblica opinione (su Repubblica di oggi, 13 giugno, Jascha Mounk considera “strabiliante” che l’89% degli statunitensi ritenga giusto che il poliziotto che ha ucciso George Floyd sia accusato di omicidio – e strabiliante lo è davvero). Questo radicale cambio di rotta ha qualcosa a che vedere anche con l’attività anti-razzista svolta da singoli gruppi di lavoratori e di attivisti di base (“rank and file”), e da un piccolo numero di strutture sindacali locali, appartenenti quasi sempre ai settori dei trasporti e della scuola. Si tratta, ancora, di piccole minoranze attive che stanno tuttavia costringendo un certo numero di organismi sindacali di base, cittadini, a spingere i propri membri a prendere parte alle manifestazioni, mentre la struttura dirigente dell’AFL-CIO si guarda bene dal prendere una netta posizione a favore del movimento, al più limitandosi a qualche blanda dichiarazione verbale sulla necessità di “giustizia”. Del resto, non è un caso che le prime dimostrazioni abbiano preso di mira a Washington anche la sede del sindacato, incendiandola – può anche essere, come suggerisce Heideman su Jacobin, che i dimostranti non sapessero che era la sede del sindacato (noi ne dubitiamo); ma se anche l’avessero incendiata semplicemente perché era un palazzo lussuoso tra gli altri, la circostanza la direbbe lunga su come, perfino nelle sue sedi, l’AFL-CIO non appaia differente dalle sedi del mondo degli affari. Continua a leggere U.S.A. La rivolta afro-americana, e non solo, scuote i lavoratori sindacalizzati