La manifestazione del 5 novembre, chiamata a Napoli dal Movimento per il lavoro 7 novembre, è decisamente riuscita, forse al di là delle migliori aspettative. Sono perciò più che giustificati l’orgoglio e la soddisfazione degli organizzatori, tanto più dopo la bella, calda, centripeta assemblea di domenica 6 a villa Medusa, con tanti interventi essenziali e propositivi. Lasciamo volentieri, perciò, ai due ultimi comunicati del Movimento 7 novembre di parlarne.
Da parte nostra osserviamo che questa manifestazione ha obbligato diverse strutture, collettivi e singoli a scegliere tra la piazza accesamente bellicista di Roma (anche se densa di pacifisti finiti in pessima compagnia), ed una piazza che, invece, si è espressa con nettezza, specie negli speakeraggi, contro la guerra – la discriminante politica fondamentale del momento.
La manifestazione del 5 è stata anche un buon passo avanti (o due?) rispetto a quella di Bologna del 22 ottobre, sul piano numerico e ancor più su quello politico. A Bologna è sfilato un corteo con una netta connotazione “disobbediente”, caratterizzato, almeno nella sua prima parte, dal non esaltante mix musica&birre (non esaltante nelle piazze, intendiamoci) più che da contenuti e parole d’ordine combattivi, in quel settore praticamente inesistenti – questo, nonostante l’apprezzabile sforzo di alcuni collettivi ‘tematici’ di mettere del pepe nella pietanza.
A Napoli, invece, la connotazione di classe e anti-capitalistica è stata decisamente più marcata, dalla testa alla coda del corteo, con le ovvie differenze di orientamenti politici delle varie componenti sociali, sindacali, di organizzazioni politiche e di livelli di coscienza tra i tanti proletari/e partecipanti al corteo. Rispetto a Bologna-22 ottobre, era tutto più energico, organizzato, solido – anche se siamo ancora lontani da cortei che si esprimano in modo consapevole fino in fondo contro la guerra in Ucraina, contro tutte le guerre del capitale e contro il governo Meloni. Ma, come dicono i testi che pubblichiamo, non è tanto la mobilitazione di Napoli in sé, quanto “il processo in atto ad essere importante”. E il processo in atto è quello che deve portare, come prossimi traguardi unitari, con un accresciuto protagonismo dei settori di proletari e proletarie coinvolti, allo sciopero del 2 dicembre e alla manifestazione nazionale a Roma contro guerra, governo, repressione e carovita del 3 dicembre – e poi oltre, molto oltre.
Due soli rilievi ai comunicati del 7 Novembre, e una sottolineatura.
1) Eravamo parecchie migliaia, senza dubbio, e il sostegno alla causa della lotta dei disoccupati organizzati è stato molto, molto significativo da diverse città, da diversi settori di classe, a cominciare, ancora una volta, dai facchini della logistica del SI Cobas, da una pluralità di organismi e organizzazioni politiche. Eravamo il triplo, forse il quadruplo di un anno fa, e con una presenza di realtà assai più ricca (tre soli esempi: i gruppi di disoccupati e collettivi da varie città del Sud, le ragazze e i ragazzi di Fridays for Future, i collettivi di solidarietà con le masse palestinesi). Ma il numero 20.000 ci pare, francamente, esagerato. Facciamo questa osservazione non per smorzare il giustificato entusiasmo, ma per evitare di illuderci, anche involontariamente, che essi possano bastare, o quasi. Dobbiamo puntare in alto, alla massa degli sfruttati e delle sfruttate, oggi passivi, impauriti, disorientati, ma che possono anche d’improvviso cambiare stato d’animo e spezzare questa ammorbante pace sociale, tornando alla lotta. Il tempo che ci separa dal 2-3 dicembre va utilizzato per rivolgerci in modo organizzato a questa massa che ancora non sta con noi (e neppure con sé stessa).
2) Troviamo alquanto sommari i riferimenti alla questione femminile e alle tendenze che la interpretano. Non solo nel Movimento 7 novembre, sia chiaro, in tutti i movimenti ci sembrano necessari una migliore comprensione delle specifiche oppressioni che colpiscono le donne proletarie e senza privilegi, e l’appoggio molto più deciso di quanto accada oggi, a quei settori del movimento delle donne che si battono contro il capitalismo in una prospettiva unitaria e di classe.
La sottolineatura riguarda la necessità dell’organizzazione politica “indipendente e rivoluzionaria”, contenuta nel secondo dei testi del 7 novembre, perché la marea delle lotte che prima o poi, per ragioni deterministiche, si formerà, possa esprimere tutte le proprie potenzialità senza lasciarsi snervare dalla logica, presente anche nel corteo di Napoli, del “movimento per il movimento“.
(Red.)
A NAPOLI UN GRANDE SEGNALE!
Siamo ancora impegnati insieme a tanti e tante realtà che hanno pernottato a Napoli per l’assemblea di questa mattina. E non bastano poche righe per riportare la forza e l’importanza di quanto avvenuto in questi mesi e settimane fino alla manifestazione di ieri.
Non possiamo che partire da un grande ringraziamento a tutte e tutti coloro che hanno sostenuto facendo chilometri la piazza di Napoli.
Innanzitutto non è la mobilitazione ma il processo in atto ad essere importante.
Napoli ha visto una giornata di lotta determinata, forte. Gli stessi giornali scrivono partecipata da 20.000 persone, proletari: lavoratori e lavoratrici, disoccupati e disoccupate, studenti e studentesse, comitati di lotta ambientali, movimenti per il diritto all’abitare, i lavoratori delle campagne, reti sociali.
Una piazza vera con azioni di lotta reali ed autodifese contro alcune catene della grande distribuzioni, fuori la sede dell’Enel Energia e del Banco di Napoli, all’ingresso del Porto di Napoli fino all’ingresso del Comune di Napoli.
Una piazza chiara nei contenuti costruite attorno alla necessità di rafforzare la nostra lotta per il salario, per campare, per un lavoro socialmente necessario oggi sotto attacco dai rinvii istituzionali e dalla repressione.
Una piazza che, partendo da questa lotta, è diventata una piazza generale e generalizzata.
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