Contre la guerre OTAN-Russie en Ukraine et la guerre d’Israël contre les Palestiniens: Venise, samedi 25 février

La guerre entre l’OTAN et la Russie en Ukraine est de plus en plus un effroyable massacre de chair humaine, de prolétaires ukrainiens et russes, de soldats et de civils. Et cela s’intensifie dramatiquement avec des conséquences incalculables. Le risque réel est de déclencher un conflit mondial, avec des destructions encore plus apocalyptiques que celles en cours en Ukraine et dans de nombreuses régions du monde – à commencer par la guerre coloniale que l’État d’Israël mène depuis des décennies contre les masses opprimées de la Palestine, et les guerres en cours au Yémen, dans de nombreuses régions d’Afrique, etc., qui, conjointement, accélèrent le chemin vers la catastrophe écologique.

Le gouvernement Meloni, l’État italien, les États et gouvernements capitalistes les plus puissants du monde, au premier rang de l’UE et de l’OTAN, avec la course aux armements et l’énorme augmentation des dépenses militaires, nous entraînent dans une spirale sans fin de guerres.

Continua a leggere Contre la guerre OTAN-Russie en Ukraine et la guerre d’Israël contre les Palestiniens: Venise, samedi 25 février
Pubblicità

Di base in base, la fitta rete militare Usa-Nato in Italia, di Antonio Mazzeo

Riprendiamo volentieri dal blog antimilitarista di Antonio Mazzeo questo aggiornamento, come al solito molto dettagliato e preciso, della “fitta rete militare USA-NATO in Italia”, contenente le ultimissime sull’arrivo di nuove bombe nucleari USA in Europa e in Italia, ad Aviano e a Ghedi. Altri passi importanti nella mobilitazione di guerra, da denunciare nei prossimi mesi sulla più larga scala possibile.

Una sola precisazione, per noi fondamentale.

In sacrosante denunce di questo tipo, che sono interamente nostre, non sempre è messo in chiaro con la dovuta forza (non ci riferiamo qui in prima istanza a Mazzeo) che l’Italia è parte integrante, organica, di punta, di questa macchina di morte e di questa industria di morte che proteggono gli interessi della sua classe dominante, di questo Occidente che va alla guerra. Rispetto agli indiscussi capibanda del Pentagono e di Wall Street, l’Italia, lo stato italiano, il capitalismo imperialista italiano, non svolge il ruolo di infimo picciotto: è un’azionista di minoranza dell’impresa, certo, ma un’azionista a tutti gli effetti, intento a lucrare, con ogni mezzo e a costo di qualsiasi massacro, la sua quota di profitti del capitale globale. Ribattere questo chiodo non sarà mai superfluo davanti alle sirene “sovraniste” che vorrebbero un’Italia resasi indipendente dagli USA e dalla NATO diventare d’incanto “forza di pace e di giustizia” nel mondo, specie nel “giardino di casa” mediterraneo dove continua a seminare, in proprio, da sovrana nello spargimento del sangue “di colore”, la morte tra gli emigranti.

Contro i suonatori di queste sirene che vanno piagnucolando sull’Italia-colonia, ricordiamo che l’Italia liberale/monarchica, da sovrana predatrice intenzionata a recuperare i suoi storici ritardi, si appropriò della costa somala (1889-1891), dell’Eritrea (1890), di una concessione a Tientsin in Cina (fu il premio di consolazione per aver contribuito a macellare i rivoltosi Boxers con i suoi ‘eroici’ 83 ufficiali, 1882 soldati e 178 quadrupedi), della Libia e delle isole del Dodecaneso (i “Possedimenti italiani dell’Egeo”) con la guerra all’impero ottomano iniziata nel 1911, e – dopo aver cambiato alleanza dalla Germania/Austria alla Francia/Gran Bretagna – mise le sue grinfie sull’Albania meridionale (tanto per cominciare, non riuscendo ad appropriarsi della Dalmazia). Mentre l’Italia fascista/monarchica, più che mai sovrana artefice del proprio destino di presunta erede di Roma imperiale, portata a termine la “civilizzazione” sterminista in Libia sulla scia dei liberali, mosse guerra all’Abissinia (Etiopia) nel 1935-36, incorporò a sé l’Albania (1939) e durante la guerra mondiale, occupò insieme alle armate naziste parti della Jugoslavia, della Russia, della Grecia, della Tunisia e dell’Egitto.

Essendo più recenti, le formidabili imprese civilizzatrici compiute dalla NATO, sempre con l’attiva complicità di Roma predona, dell’Italia imperialista divenuta insostituibile portaerei dell’Alleanza atlantica nel Sud dell’Europa a guardia del Medio Oriente e dell’Africa, dovrebbero essere le più note. Tra esse, mai dimenticare la distruzione dell’ex-Jugoslavia, e il ruolo che vi ebbero i centro-sinistri Mattarella e D’Alema, e al loro seguito i komunisti alla Marco Rizzo e certi collitorti dell’area “green”!!

Da ciò deriva che spezzare il vincolo della NATO e dell’industria di morte fiorentissima in Italia (Leonardo, Fincantieri, Telespazio, etc. vi dicono qualcosa?) se non è una presa in giro per raccattare qualche voto in più da anime belle e ingenue, equivale ad una dichiarazione di guerra al capitalismo italiano e occidentale, ad un punto del programma comunista rivoluzionario. Come è detto nella risoluzione seguita al Convegno del 16 ottobre contro la guerra in Ucraina: “lottiamo per la chiusura di tutte le basi USA e NATO, per l’uscita dell’Italia dalla NATO e da ogni alleanza imperialista transnazionale, che intendiamo come parte integrante e irrinunciabile della lotta rivoluzionaria per una società socialista e il potere dei lavoratori, e non come riposizionamento e riorientamento della politica estera dell’Italia capitalistica.” (Red.)

***

Alea iacta est. Il dado è tratto. Le nuove bombe nucleari USA a caduta libera saranno dislocate in Europa entro la fine del 2022 con tre mesi di anticipo sul cronogramma fissato da Washington con i partner NATO. Si tratta di una prova di forza che alimenterà pericolosamente le già forti tensioni con la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Saranno un centinaio circa le armi che verranno ospitate nei bunker di cinque paesi: Belgio (base aerea di Kleine Brogel), Germania (Buchel), Paesi Bassi (Volkel), Turchia (Incirlik) e Italia (gli scali di Aviano-Pordenone e Ghedi-Brescia). Le nuove bombe saranno le B61-12, variante ammodernata delle più antiche B61. Esse avranno una potenza distruttiva regolabile, con quattro opzioni selezionabili a seconda dell’obiettivo da colpire. “L’impiego operativo, quindi, può essere calibrato a seconda dell’effetto desiderato e dell’importanza dell’obiettivo”, scrive Difesaonline. Rispetto alla bomba “madre”, le B61-12 saranno guidate da un sistema satellitare e potranno penetrare nel sottosuolo per esplodere in profondità.

La National Nuclear Security Administration, l’ente del Dipartimento dell’Energia USA che si occupa delle scorte di armi nucleari, ha reso noti nel novembre 2021 i cacciabombardieri che saranno impiegati per sganciare le nuove armi atomiche: i Panavia PA-200 “Tornado”, gli F-15 “Eagle”, gli F-16 C/D “Fighting Falcon”, i B-2 “Spirit”, i B-21 “Raider” e i nuovi F-35A “Lighting II” acquistati pure dall’Aeronautica militare italiana e schierati nella base di Amendola (Foggia).

A Ghedi ed Aviano dovrebbero essere ospitate complessivamente dalle 30 alle 50 bombe B61-12 e nei due scali NATO sono in via di completamento i lavori di “rafforzamento” dei bunker atomici. Ghedi è sede del 6° Stormo dell’Aeronautica italiana con i “Tornado” nucleari, ma si sta addestrando da tempo all’impiego dei cacciabombardieri F-35 di quinta generazione. Ad Aviano le nuove bombe saranno impiegate dai cacciabombardieri F-16 dell’US Air Force. Nella base friulana sono state ampliate le piste e realizzati nuovi hangar e centri di manutenzione velivoli. Aviano è utilizzata pure dai grandi aerei cargo che trasportano i parà della 173^ Brigata aviotrasportata di US Army verso i maggiori scacchieri di guerra internazionali (recentemente in Iraq e Afghanistan, oggi in Europa orientale e in Africa).

Continua a leggere Di base in base, la fitta rete militare Usa-Nato in Italia, di Antonio Mazzeo

L’ultimo tradimento fatto ai curdi, di p. c.

Stoccolma ed Helsinki hanno sacrificato gli interessi dei curdi assecondando abbastanza rapidamente le richieste di Erdogan. La profonda, immorale, radicata distanza tra il dire ed il fare non è mai apparsa con tanta sfacciata evidenza.

Ora cosa dirà Marlin Stivani Nivarlain, la sedicenne svedese salvata nei pressi di Mosul dalle milizie curde in lotta contro l’Isis? Cosa diranno i socialdemocratici svedesi, vanto ed esempio di tutti i riformisti dell’Occidente per la loro liberalità, per il loro welfare, per la loro accoglienza?

Pur di entrare nella Nato, la Svezia apre al diktat di Erdogan e abbandona senza ritegno i curdi a cui dava (in certa misura) asilo politico e sostegno. E’ un altro colpo alla causa del popolo curdo, ma è anche un’altra conferma del ruolo delle socialdemocrazie, che quando vengono chiamate ad essere conseguenti in una qualche forma di sostegno a popolazioni oppresse di cui si atteggiano ad amiche, mostrano sistematicamente le radici putride del riformismo borghese.

Continua a leggere L’ultimo tradimento fatto ai curdi, di p. c.

Portare Taiwan nella NATO, o la NATO a Taiwan?, di Eve Ottenberg

Alla fine di aprile, la Gran Bretagna, la cagnolina di lusso degli Stati Uniti, rappresentata dalla dimenticabile Liz Truss, ha urlato che la NATO dovrebbe essere più coinvolta nell’Estremo Oriente. Che dio ci aiuti! La NATO ha già creato abbastanza guai in Ucraina per un’intera generazione. Forse ne ha creati così tanti che porrà fine a tutte le generazioni future.

Un compagno ci ha segnalato questo vibrante scritto di Eve Ottenberg comparso due giorni fa sul sito statunitense Counterpunch, accompagnandolo con questo pungente commento: “Eccoci! Prossima mossa: Taiwan entra nella NATO!”. Ci siamo permessi, perciò, di modificare il titolo originario del testo, che trovate qui sotto, sicuri di non tradirne il senso d’insieme. Non ci sfugge che la brava polemista non sembra afferrare la radice profonda, materialmente determinata, di questa furiosa, cieca voglia di distruzione e di guerra che possiede le alte sfere del Congresso, delle amministrazioni statunitensi, delle grandi corporations e degli enti finanziari che li hanno in pugno – anche se nelle batture finali Ottenberg parla degli Stati Uniti come di un “potere egemone insicuro”. Ma non pretendiamo troppo. Del resto, sono temi fissi del nostro blog tanto il lungo declino del super-imperialismo statunitense quanto la crisi sempre più profonda dell’intero sistema sociale capitalistico, e la combinazione esplosiva, incontrollabile tra questi due processi. Invece di farle le pulci, prendiamo sul serio le notizie che ci dà e l’allarme che lancia. (Red.)

Freschi di Russia, gli Stati Uniti non riescono a smettere di provocare la Cina

In un atto di ipocrisia cieco e vertiginoso, gli Stati Uniti hanno recentemente dichiarato che invaderanno le Isole Salomone, se il nuovo patto che quel paese ha concluso con Pechino comporterà la costruzione lì di una base militare cinese. Questo, dopo mesi in cui i nostri politici hanno urlato come pazzi deliranti sul male apparentemente impareggiabile e mai visto prima della Russia che invade l’Ucraina, con un pieno di paragoni tra Putin e Hitler. Ebbene: se Biden invade le Isole Salomone, è Hitler? Del resto, che dire di George Bush, che ha invaso l’Iraq e l’Afghanistan? È Hitler? E il britannico Tony Blair: è Hitler?

Inoltre, le centinaia se non migliaia di governanti nella storia umana che hanno invaso paesi stranieri sono tutti Hitler? Immagino che abbiamo già dimenticato la parte in cui Hitler sterminò sei milioni di ebrei insieme a milioni di slavi, rom, comunisti e altri cosiddetti indesiderabili. Questo sterminio, a quanto pare, non è più considerato una caratteristica distintiva del male unico costituito da Hitler. In quale altro modo spiegarci, se no, che le accuse di essere Hitler sono una dozzina in questi giorni? Tale retorica a buon mercato non serve a niente per aiutare gli ucraini comuni che stanno soffrendo. Ma sicuramente aiuta i dirigenti d’impresa guerrafondai a diventare più ricchi. Questo è il punto.

“Ma, ma”, balbettano i residenti di Washington ubriachi di potere, mentre le azioni delle compagnie del settore militare salgono alle stelle (oltre il 60 percento dall’invasione della Russia): “l’ordine dev’essere basato sulle regole!”. Questa è la bugia con cui l’impero statunitense elude il diritto internazionale con l’affermare che le sue “regole” si applicano a tutti tranne che a Washington. Fatto sta che ultimamente, il mondo civilizzato, soprattutto il Sud del mondo, non si beve queste sciocchezze. Se si esclude l’Europa, il trucco non funziona da nessuna parte.

La Cina è il nemico numero uno di Washington. Anche se non lo si direbbe, dato il feroce clamore che sta facendo sulla Russia, deliberatamente provocata (dall’Occidente), e sulla terribile invasione dell’Ucraina. Alla fine di aprile, la Gran Bretagna, la cagnolina di lusso degli Stati Uniti, rappresentata dalla dimenticabile Liz Truss, ha urlato che la NATO dovrebbe essere più coinvolta nell’Estremo Oriente. Che dio ci aiuti! La NATO ha già creato abbastanza guai in Ucraina per un’intera generazione. Forse ne ha creati così tanti che porrà fine a tutte le generazioni future. Lo scopriremo. Ma i guerrafondai di Washington sono d’accordo con Truss [noi spieghiamo in un altro testo postato oggi che è piuttosto Truss ad essere portavoce dei guerrafondai di Washington – red.]. In effetti, costoro propongono persino – ed è una proposta da incubo – di armare il Giappone con armi nucleari, sentendosi frustrati per non poter circondare la Cina di missili come hanno fatto con la Russia. Quell’accerchiamento ha provocato la guerra in Ucraina, che, secondo tutte le indicazioni, Washington considera uno strepitoso successo propagandistico.

Nel frattempo, nei media occidentali è stato sottostimato l’avvertimento lanciato dalla Cina agli Stati Uniti il 29 aprile contro l’invio di armi a Taiwan. La Cina ha annunciato che risponderà all’intervento straniero. Questa rabbiosa risposta a Washington è arrivata in un contesto difficile: il 26 aprile, per minacciare la Cina e mostrare i propri muscoli, il cacciatorpediniere USS Sampson è transitato nello Stretto di Taiwan, cosa che a detta della Settima Flotta “dimostra l’impegno degli Stati Uniti per un Indo-Pacifico libero e aperto”. Oh, oh. Ciò che dimostra è l’impegno degli Stati Uniti, in particolare di Biden, ad entrare in guerra se la Cina dovesse fare ciò che ha detto per decenni che farà e che gli Stati Uniti hanno tacitamente accettato, vale a dire, lentamente, osmoticamente, assorbire Taiwan nella terraferma. Ma la Cina ha ora ricevuto il messaggio bellicoso della marina americana. Il 6 maggio, 18 jet dell’aviazione dell’Esercito di Liberazione del Popolo hanno ronzato sopra Taiwan.

Circa una volta al mese una nave della marina statunitense transita nello Stretto di Taiwan. È successo di nuovo solo la scorsa settimana. Il 10 maggio la USS Port Royal ha manovrato in queste acque agitate, dimostrando che, indipendentemente dal numero di jet dell’aviazione cinese con cui contrasta, gli Stati Uniti continueranno a inviare le loro navi in luoghi che non gli appartengono. Gli Stati Uniti hanno un talento per creare situazioni disgustose e poi, come ha detto lo storico John Mearsheimer della catastrofe che è stata provocata tra Russia e Ucraina, Washington si rifiuta di riconsiderare la propria orribile politica, ed anzi raddoppia. Abbiamo visto dove ci ha portato il raddoppio in Iraq e in Afghanistan, ma sta’ sicuro, non abbiamo certo appreso la lezione.

Anche i senatori Bob Menendez e Lindsay Graham, falchi anti-cinesi, si sono dedicati a peggiorare la situazione, andando a Taiwan a metà aprile per incoraggiare l’isola a opporsi alla Cina. Anche il viaggio programmato, e poi annullato, dalla leader della Camera Nancy Pelosi non ha aiutato: tutti questi faccendieri del Congresso stanno spingendo Taiwan a un’imprudenza catastrofica. Perché in ogni caso, questo è un invito al suicidio di massa. È solo una questione di quanto grande sarà la massa. Due sono i casi: o i travet politici statunitensi spingono Taiwan a dichiararsi una nazione indipendente, provocando così l’invasione militare cinese, e poi, come spesso accade, gli sbruffoni statunitensi infrangono le loro promesse e non fanno nulla, lasciando Taiwan nella tempesta o, quel che è peggio, mantengono le loro solenni promesse, e abbiamo un’esplosione del conflitto tra Pechino dotata di armi nucleari e Washington dotata di armi nucleari, un orrore tale che anche un bambino di quarta elementare ne può comprendere la portata. In effetti, un bambino di nove anni vede, in media, molto più avanti di molti membri del congresso, che stanno percorrendo un sentiero di incitamento all’Armageddon atomico. Anche gli idioti della Casa Bianca percorrono quella strada. Credo questa sia una primavera odorosa.

Come ha pontificato al Congresso il segretario di Stato Antony Blinken: “Quando si tratta della stessa Taiwan, siamo determinati ad assicurarci che disponga di tutti i mezzi necessari per difendersi da qualsiasi potenziale aggressione, compresa l’azione unilaterale della Cina per interrompere lo status quo che è in vigore da molti decenni”. Oh, oh, ancora! Come ha twittato il commentatore Arnaud Bertrand: “L’ironia è che armare Taiwan fino ai denti È una grave interruzione dello ‘status quo in vigore da molti decenni'”. Tale status quo è la politica One China, una sola Cina, che postula che Taiwan faccia parte della Cina. Dagli anni di Nixon, che furono un periodo di relativa sanità mentale rispetto a Pechino, gli Stati Uniti lo hanno accettato. Blinken avvolge la storia in un pretzel per giustificare il nuovo incitamento, l’aggressione degli Stati Uniti e, in modo molto redditizio per gli Stati Uniti, l’affondamento dell’isola sotto una mastodontica montagna di armi.

Nel frattempo, l’amministrazione Biden fa di tutto per offendere la Cina. Il 28 aprile, Washington ha invitato un funzionario taiwanese a un evento di 60 nazioni sul futuro di Internet; quindi ora gli Stati Uniti riconoscono ufficialmente Taiwan come paese indipendente? Washington ha abbandonato il riconoscimento formale di Taiwan nel 1979; dobbiamo concludere che Biden sta cambiando questa politica? In questa conferenza le 60 nazioni hanno fatto varie promesse sulla tecnologia digitale e Internet. Taiwan doveva davvero partecipare? Ciò fa seguito a un disegno di legge approvato dalla Camera dei rappresentanti il ​​27 aprile, che ordina al dipartimento di stato di muoversi per promuovere lo status di osservatore per Taiwan presso l’Organizzazione mondiale della sanità. A dicembre, Taiwan è stata invitata al vertice sulla democrazia organizzato dall’amministrazione Biden.

Poi, a coronamento di tutte queste balle di promozione di Taiwan, che Pechino sicuramente considera con amarezza altrettante provocazioni, l’8 maggio il dipartimento di Stato ha riscritto la parte del proprio sito web che si occupa del territorio. E in questa occasione ha posto termine al riconoscimento dell’isola come parte della Cina continentale. È scomparso anche l’affermazione che gli Stati Uniti non supportano l’indipendenza di Taiwan. Vedete in che direzione si sta andando? Ad incoraggiare e acclimatare il mondo a trattare Taiwan come una nazione indipendente, per meglio radunare una coalizione di volonterosi quando Taiwan commetterà l’errore fatale di dichiararsi tale, e la Cina reagirà a ciò che senza dubbio considera come aperta ribellione da parte di un territorio che da tempo ha definito una provincia rinnegata.

Non sarebbe meglio che gli Stati Uniti tentassero l’approccio a cui hanno arrogantemente storto il naso con la Russia, vale a dire il negoziato? O schierassero dei diplomatici, membri di una specie in via di estinzione, attualmente quasi estinta per quello che riguarda Washington e Mosca? Invece di lanciare contro la Cina minacce e insulti, i governanti statunitensi potrebbero prendere in considerazione l’idea di sedersi con le loro controparti a Pechino e cercare di escogitare benefici e protezioni per Taiwan, mentre si avvicina alla reintegrazione con la terraferma. Ma ciò presuppone che i governanti di Washington siano persone rispettabili, un’illusione da cui il loro comportamento nei confronti dell’Ucraina e della Russia avrebbe dovuto disingannare per sempre tutti gli osservatori.

Quindi no. Biden e i suoi simili hanno un pubblico domestico da abbindolare, il che significa irritarsi usando la guerra per distrarre dai prezzi alle stelle, e poter così sognare di vincere le elezioni; e come hanno dimostrato questi politici nei confronti della Russia, pur di restare in piedi tenendosi stretto il loro bottino qui a casa, sono disposti a sfidare ogni volta il buon senso, anche se questo significa flirtare con l’annientamento atomico. Anche se questo significa bruciare le opportunità per scongiurare o porre fine a una guerra. Anche a costo di prolungare attivamente e perfidamente una guerra. Quindi l’impero statunitense continua nella sua folle ricerca di lanciare Taiwan come una nazione indipendente in erba all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, gettando così le basi per il tipo di blitz di propaganda che attualmente bombarda la Russia, fornito dai nostri media compiacenti e completamente isterici. Chi ripensa ora alle richieste scritte di garanzie di sicurezza di Mosca, nel frastuono di terribili accuse di crimini di guerra e davanti al vero orrore della guerra? Allo stesso modo, l’obiettivo attuale è rimuovere dalla mente del pubblico il fatto che per la maggior parte del mondo Taiwan non è una nazione indipendente.

Solo 13 paesi, per la maggior parte piccole isole caraibiche o nazioni centroamericane storicamente di destra, riconoscono Taiwan come paese sovrano. L’ONU considera l’isola un territorio, non un paese. Ciò presenta difficoltà per i guerrafondai al Congresso degli Stati Uniti e alla Casa Bianca, o almeno così era una volta. Ora, a quanto pare, l’atmosfera è: “Oh, e piantala! Armiamo Taiwan e andiamo in guerra se la Cina fa una mossa”. Questa follia flirta con l’inverno nucleare, ma a quanto pare i nostri depravati idioti del Congresso pensano che far morire di fame miliardi di persone non sia un prezzo troppo alto da far pagare per resistere al nemico asiatico numero uno, che solo fino a poco tempo fa era un amico e un rispettato partner commerciale degli Stati Uniti, ed ora è demonizzato come una minaccia comunista per fare il lavaggio del cervello agli americani timorati di Dio.

Nonostante il vergognosamente viscido, pernicioso e stolto “pivot to Asia” di Obama, le vendite di armi degli Stati Uniti a Taiwan non sono cresciute davvero fino a quando Trump non ha preso la palla al balzo per lanciare il suo “provochiamo la Cina”. Quindi, negli ultimi anni, Washington ha venduto a Taiwan miliardi di dollari di armi. All’inizio di aprile, gli Stati Uniti hanno approvato un accordo missilistico Patriot del valore di 95 milioni di dollari. La Cina ha protestato. Sorpresa! Le sue lamentele sono cadute nel vuoto.

Sempre desideroso di preparare qualsiasi confezione politica capace di seminare morte, il pezzo grosso della squadra di Trump Mike Pompeo ha chiesto, a marzo, il riconoscimento diplomatico di Taiwan come paese sovrano. Dopo aver armato i taiwanesi in modo indiscriminato, quella sarebbe la ciliegina sulla torta avvelenata. Ma non pensiate certo che Washington si limiti a Taiwan nel suo confronto con la Cina. Oh, no. Come mostra la rissa sulle Isole Salomone, gli Stati Uniti hanno progetti grandi, molto grandi: intendono contrastare la Cina a livello globale.

“La sfacciata minaccia alle Isole Salomone da parte degli Stati Uniti ne mette in mostra l’egemonia e il bullismo”, titolava un articolo del Global Times il 24 aprile. Ecco come Pechino considera Washington. E la saggezza comune dice che non c’è niente di peggio di un potere egemone insicuro. Infatti, ovunque l’occhio imperiale volge il suo sguardo arrogante e meticoloso, vede pericoli, trappole, umiliazioni. La Cina ha conquistato avamposti economici in tutto il mondo, come parte della sua Belt and Road Initiative. Washington intende attaccare Pechino per tutto questo? Staremo a vedere, perché anche se sarebbe una battaglia persa per gli Stati Uniti, come abbiamo visto troppo spesso negli ultimi decenni dal Vietnam all’Afghanistan all’Iraq, ciò non significa che questo non sia nei piani di Washington.

Il nuovo disordine mondiale / Vittorie perdute*- Sandro Moiso

US Secretary of Defense Lloyd J. Austin III (2-L) speaks in the presence of Ukrainian Defense Minister Oleksii Reznikov (R) and US Chairman of the Joint Chiefs of Staff, general Mark Milley (L) during a meeting of Ministers of Defense at the US Air Base in Ramstein, Germany, 26 April 2022. [EPA-EFE/RONALD WITTEK]

Davvero USA, NATO, UE sono in grado di vincere questa guerra? Con quali costi e con quali divisioni, che già oggi appaiono? E se l’eventuale vittoria fosse peggiore di quella di Pirro?

Riprendiamo da Carmilla on line la puntata n. 12 della serie di articoli che Sandro Moiso ha dedicato al “nuovo disordine mondiale”.

Moiso, con la cui descrizione della natura e della fase del conflitto siamo in largo accordo, in questo passaggio della sua analisi ragiona sui possibili sviluppi della guerra in corso tra NATO e Russia in un modo che potrebbe essere giudicato temerario per l’ipotesi che ne emerge. A noi sembra, invece, che il suo ragionamento, che non si lascia irretire dal feticcio della potenza bellica presa a sé stante, abbia un suo solido retroterra: la constatazione del declino storico dell’imperialismo occidentale e dell’ascesa storica delle grandi potenze orientali, Cina e India (un retroterra tratteggiato con maestria, dal lato cinese, dai lavori di Qiao Liang).

Le guerre moderne sono certo più “progettabili” di quelle passate, nelle quali un semplice evento atmosferico era in grado, talvolta, di capovolgere gli esiti più favorevoli. Ma ciò non toglie che i piani di “vittoria” messi a punto nel consesso di guerra a Ramstein lo scorso 26 aprile, possano infrangersi contro la durezza dei fattori avversi per difetto di un’adeguata visione strategica.

Non ci può essere alcun dubbio sul fatto che USA e comandi NATO abbiano impostato la guerra contro la Russia in Ucraina con l’obiettivo di far impantanare e indebolire la Russia (“metterla in ginocchio”, copyright di tale Gigi Di Maio), coinvolgere forzosamente i recalcitranti alleati europei (almeno in parte) contro i propri stessi interessi, e infine assestare qualche colpo di avvertimento alla Cina, l’avversario ultimo della contesa globale.

Ma davvero USA, NATO, UE sono in grado di vincere questa guerra? Con quali costi e con quali divisioni, che già oggi appaiono? E se l’eventuale vittoria fosse peggiore di quella di Pirro? Naturalmente, non sono domande che ci facciamo dall’esterno dello scontro bellico, da spettatori, ma avendo ben presenti i compiti di lotta disfattisti (per la sconfitta del “nostro” imperialismo) che spettano a degli internazionalisti militantie a quanti intendano impegnarsi davvero contro questa guerra. (Red.)

“Siamo in guerra. Ma per quale vittoria? E se non lo sappiamo, come potremo stabilire se avremo vinto o perso, quando mai finirà?” (Lucio Caracciolo).

“Questo è il futuro, sorellina…” (La canzone del tempo – Ian R. MacLeod).

Ci siamo. Dopo più di sessanta giorni dal suo inizio, la guerra nei fatti è dichiarata. Non quella della Russia con l’Ucraina, ma quella che fino ad ora si è manifestata, nemmeno troppo, sottotraccia: Biden contro Putin, Nato contro Russia e contro gli alleati recalcitranti, Occidente “democratico” contro resto del mondo “autoritario”.

Ma guai a parlare di imperialismo, se non è quello russo-putiniano; guai a parlare di pace se non è quella dettata dai cannoni e dall’invio di armi; guai a ragionare; guai ad uscire dal coro; guai a smontare la propaganda bellica di entrambi le parti in conflitto. Guai, guai, guai…

Basti invece cantare come i sette nani disneyani: Andiam, andiam, andiam a guerreggiar… (i nanetti di allora cantavano lavorar, ma che importa ormai ai nano-burocrati rappresentanti del capitale internazionale?). Oppure “Bella Ciao”, contro qualsiasi commemorazione della Resistenza che non si limiti ad esaltare l’unità nazionale e interclassista con i fascisti di un tempo e con quelli di oggi.

Continua a leggere Il nuovo disordine mondiale / Vittorie perdute*- Sandro Moiso