Contro la pratica crudele e neo-colonialista dell’utero in affitto, e contro l’oscena demagogia delle destre a riguardo

In questi giorni si è fatto un baccano osceno, da entrambi i lati del mondo parlamentare, le destre e le cosiddette sinistre, intorno all'”utero in affitto”. Per noi, ferma restando la necessità di tutelare l’esistenza e i diritti dei figli di coppie omogenitoriali; ferma restando l’opposizione alle discriminazioni che una certa destra vorrebbe introdurre ai loro danni (simili a quelle che un tempo colpivano i “figli naturali”, nati fuori dal matrimonio) – un’opposizione che per noi ha un carattere di principio; fermo restando tutto ciò, resta altrettanto fermo che la pratica dell’utero in affitto è una pratica da criticare e respingere senza se e senza ma in quanto, oltre ad esprimere una visione distorta della genitorialità, ha un carattere mercantile e colonialista.

Lo spiegano bene le pagine che qui riproduciamo (24-27) dell’opuscolo “La posta in gioco” (a cura di Paola Tonello), che inquadrano questo fenomeno in espansione nella più vasta casistica delle diverse forme di messa sul mercato e di “appropriazione sociale del corpo delle donne” in fatto di riproduzione, forme che di sociale non hanno nulla, e nel contesto della crisi della riproduzione della vita che caratterizza un po’ tutti i paesi europei, l’Italia tra i primi. Pagine che mettono nel loro mirino anche, doverosamente, la “scienza medica” e Big Pharma.

La nostra impostazione in materia è agli antipodi di quella delle destre al governo, che usano questo tema per riaffermare la loro concezione di sacralità e unicità della famiglia gerarchica, patriarcale e il più possibile bianco-ariana, accompagnandola con l’ipocrita motivazione del “bene dei figli”, mentre qualunque studio un minimo serio della situazione attuale deve registrare la esistenza di una molteplicità di forme di famiglia e di convivenza, e laddove nulla c’è da rimpiangere della vecchia famiglia gerarchica e patriarcale. Chi per caso avesse dei dubbi sull’antiteticità tra la nostra posizione e quella delle destre solo per via dell’apparente assonanza sul no all’utero in affitto, legga queste pagine; se non le condivide, ci spieghi perché a com.internazionalista@gmail.com. A questo stesso indirizzo può essere anche richiesto l’opuscolo.

L’appropriazione sociale del corpo delle donne

Lo sviluppo del capitale e le lotte delle donne hanno mutato almeno in parte la condizione della famiglia in Occidente: essa non è più solo il luogo di riproduzione degli esseri umani, incoraggiata a parole (per fronteggiare l’invasione degli alieni extracomunitari), e resa improba nei fatti, dati i continui tagli al welfare e alle strutture sociali di sostegno, ma anche un luogo di mancata riproduzione della vita. Le devastazioni ambientali, l’inquinamento del contesto generale in cui si vive, l’assenza di sicurezza del futuro, la mancanza di una rete solidale, lo stress di una vita convulsa hanno da un lato scoraggiato o procrastinato la maternità, dall’altro aumentato esponenzialmente l’infertilità delle coppie, proprio quando l’atrofia della vita sociale spinge molte donne e molte coppie a vedere come scopo fondamentale della propria vita la nascita di un figlio.

Ci battiamo per un movimento che abbia a cuore il desiderio di procreare e denunci come esso sia reso vano dalle difficoltà sociali e ambientali che ne impediscono la realizzazione o sia soddisfatto a prezzo di molte rinunce in un contesto di solitudine e di fatica per le donne. Di fronte a milioni di bambini abbandonati nel mondo, l’adozione è resa sempre più difficile e costosa e al tempo stesso si esaspera il valore della genitorialità biologica, a spese del senso di maternità e genitorialità sociale secondo la quale gli adulti si dovrebbero far carico della cura dei piccoli indipendentemente dai geni che questi portano in corpo. La dimensione individuale o di coppia nella genitorialità deve accompagnarsi ad un senso di responsabilità sociale rispetto ai piccoli, cosa che è scoraggiata e ostacolata.

Il capitalismo ha fiutato da tempo l’affare e gli ampi spazi di guadagno offerti dal soddisfacimento del desiderio di avere dei figli da poter considerare “propri”.

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Per un femminismo rivoluzionario, di Paola Tonello

Per l’8 marzo di due anni fa Il Cuneo rosso pubblicò un opuscolo, La posta in gioco. Riflessioni e proposte per un femminismo rivoluzionario, a cura di Paola Tonello, che faceva in modo sintetico, ma nettissimo, la critica del “femminismo” neo-liberista e imperialista in genere, senza nulla concedere – perché nulla va concesso – alla “tendenza oggi diffusa nel movimento delle donne, influenzata dalle filosofie post-moderne, che mette l’accento sulla condizione identitaria di ciascuna donna, frantumando la possibilità dell’azione collettiva in una pletora di microidentità del tutto funzionale ai rapporti di potere che si illude di scalzare”. Una posizione senza dubbio minoritaria, ma ferma nel sottolineare la centralità, per la loro liberazione, della lotta collettiva delle donne sfruttate ed oppresse, e del collegamento di questa lotta con “la lotta globale al sistema capitalistico”.

Ne ripubblichiamo qui la premessa e l’indice. Chi è interessato, può richiedere l’opuscolo (pp. 120, 5 euro, scrivendo a com.internazionalista@gmail.com)

Premessa

In due secoli di esperienze di lotta e di ricerca il movimento femminista ha affrontato da punti di vista diversi il problema della emancipazione e della liberazione delle donne, in una dialettica costante con l’esperienza di lotta del movimento operaio, delle lotte anticoloniali e di tutte le classi oppresse.

Una dialettica caratterizzata quasi sempre da parte del movimento operaio dalla indifferenza e ostilità nei confronti delle rivendicazioni femminili, dalla loro riduzione economicistica, dalla teoria della contraddizione principale/secondaria, dalla negazione di fatto del patriarcalismo e del suo ruolo nel mantenimento dell’ordine sociale borghese. D’altra parte, la trasversalità dell’oppressione delle donne ha offuscato, nelle varie espressioni del movimento femminista, la necessità di un inquadramento della condizione femminile all’interno di un sistema generale di oppressione e sfruttamento e la necessità di una autonoma convergenza con le lotte sociali delle classi oppresse e sfruttate.

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Il programma delle destre: guerra alle donne, ai poveri, agli immigrati – Comitato 23 settembre

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo dell’intervento tenuto dalla compagna Paola Tonello all’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi indetta domenica scorsa 18 settembre a Bologna, a nome del Comitato 23 settembre. (Red.)

Compagne e compagni, cosa ci dobbiamo aspettare dalla prevista vittoria delle destre?

Il programma di Fratelli d’Italia non rappresenta un cambiamento di rotta rispetto al passato (certamente non a favore delle lavoratrici e dei lavoratori), ma un attacco più duro e deciso legato alla guerra e alle crisi che si stanno accumulando.

Questo attacco avverrà su vari piani: sul piano economico, di cui hanno già parlato altri compagni. Su questo sappiamo che porterà ad un aumento della povertà e della miseria, e quindi riguarderà doppiamente le donne: perché sono la parte più povera della popolazione e perché sono loro che gestiscono il bilancio familiare. Allo stesso modo riguarderà le donne perché ci sarà un’evidente stretta sui servizi, anche a causa del fatto che le spese andranno in altre direzioni.

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