Gli assassini della NATO sono a corto di armi da inviare al governo dell’Ucraina?

Riprendiamo dalla pagina Facebook del compagno Peppe D’Alesio un breve, tagliente commento alle notizie di fonte New York Times e Wall Street Journal secondo cui le forniture di armi della NATO a Kiev (finora 40 miliardi di dollari dichiarati!) non potrebbero più procedere con lo stesso forsennato ritmo degli ultimi mesi perché comincerebbero a mancare soprattutto i proiettili per l’artiglieria ucraina.

Nelle stesse ore, a Bucarest, il segretario generale della NATO, Stoltenberg, svelava al mondo il segreto di Pulcinella, ovvero che «il sostegno di alcuni Paesi che fanno parte dell’organizzazione [NATO] a Kiev non è iniziato con l’invasione russa dello scorso febbraio, ma nel 2014 nel centro di addestramento di Yavoriv». «Ho visto militari canadesi, britannici e statunitensi addestrare militari ucraini», ha aggiunto Stoltenberg [e chi sa quante altre cose interessanti ha “visto”, e non intende rendere pubbliche]. Ed è per questo, ha continuato, che, quando la Russia ha lanciato l’invasione, «le truppe ucraine erano molto meglio addestrate, in grado di contrattaccare». E c’è ancora qualche sciagurato che osa negare che in Ucraina si stia combattendo una guerra tra la NATO al gran completo (che l’ha da lungo tempo preparata) e la Russia sulla pelle e con il sangue dei proletari ucraini e russi.

Ecco perché domani, nella manifestazione di Roma, sarà importante gridare NATO, NATO ASSASSINI! – senza però dimenticare per un solo istante che l’Italia democratica “nata dalla Resistenza”, l’Italia della Costituzione “più bella del mondo” è uno dei soci fondatori di questa associazione per delinquere che funesta da 73 anni la vita di centinaia di milioni di esseri umani. E che la lotta contro la NATO, per fare a pezzi la più brutale macchina di morte della storia dell’umanità, acquista il suo vero significato liberatorio solo in una prospettiva rivoluzionaria di abbattimento del capitalismo – mentre è nauseante che dei politicanti “sovranisti” da strapazzo la riducano ad un comma del loro programma elettorale per riuscire ad accedere finalmente ai tanto agognati scranni di Montecitorio, e da lì proporre politiche più profittevoli per gli interessi dell’Italia, cioè del capitalismo italiano. (Red.)

FANNO IL DESERTO E LO CHIAMANO PACE

Secondo il New York Times un giorno di guerra in Ucraina costa come 30 giorni di guerra in Afghanistan, e per questo gli sforzi militari della NATO sono ai limiti.

Considerando che il conflitto in Afghanistan è durato 20 anni, a conti fatti la guerra in Ucraina sarebbe dovuta terminare già da un mese.

Da parte sua, il Wall Street Journal del 27 novembre evidenzia come “la fornitura di armi all’Ucraina complica il tentativo degli USA di assistere militarmente Taiwan in chiave anticinese”.

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A proposito dei lamenti su Italia-colonia, di Peppe D’Alesio

Riprendiamo dalla pagina Facebook di Peppe D’Alesio un suo caustico commento sul maxi-incremento delle spese belliche italiane, sull’Italia grossa esportatrice di armi nel mondo e sui primati di Leonardo S.p.A., e lo dedichiamo ai piagnoni professionali sull’Italia colonia (o semi-colonia). (Red.)

Nella prima foto [vedi qui sotto] la classifica degli stati per dimensioni delle spese militari. Nella seconda la classifica dei maggiori esportatori di armi nel mondo. Nell’ultima, l’articolo di stamane sul Fatto Quotidiano sul boom dei finanziamenti europei a Leonardo S.p.A., ovvero la prima impresa nel settore difesa in UE per fatturato e la tredicesima nel mondo, la quale ha terminato i primi tre trimestri del 2022 con ricavi per 9,92 miliardi di euro (in aumento del 3,7% rispetto ai 9,56 miliardi ottenuti nello stesso periodo dell’esercizio precedente) e un utile netto di 662 milioni di euro, praticamente triplicato rispetto ai 228 milioni contabilizzati nei primi nove mesi del 2021…

Quando sento parlare di “sostegno alla resistenza ucraina” mi viene il voltastomaco.

E lo stesso identico effetto me lo fanno quei professorini di “antimperialismo”, il cui sport preferito è di andare a guardare quante volte viene citata la NATO su un volantino o su uno striscione, e di “illuminarci” sulle (presunte) meraviglie dei “governi popolari” nei paesi dipendenti a 10 mila km di distanza da qui (i cui processi, che abbiano una funzione progressiva o meno, ben poco possono insegnare al movimento di classe nei paesi a capitalismo avanzato) o su quanto sia bravo e dolce Putin, per poi tacere sistematicamente sul ruolo dell’imperialismo italiano e sul suo peso nella corsa al riarmo globale e a un nuovo mattatoio imperialista.

Tanto si sa, sia in un caso che nell’altro, conta solo dissertare su rivolte o “resistenze” lontane: non sia mai che si disturbi sul serio il manovratore…

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Un report sulla giornata del 17 aprile, in difesa della salute della classe lavoratrice e della vita, e sulle prossime iniziative

La giornata di sabato 17 aprile organizzata dall’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi in difesa della salute e della vita, è riuscita. Coinvolgere dai 200 ai 300 partecipanti per più di 8 intense ore di lavoro, con un migliaio di contatti sulle diverse pagine facebook, è un risultato che neppure il più vile dei nostri critici potrebbe definire negativo. È stato un contributo di analisi e di controinformazione al rilancio dell’iniziativa di classe su questo terreno.

Infatti, come è stato sottolineato nell’introduzione di Peppe D’Alesio e, tra gli altri, nell’intervento del coordinatore SI Cobas Aldo Milani e del delegato Gkn Dario Salvetti, dopo le forti risposte di lotta del marzo scorso, con l’astensione organizzata in molti magazzini della logistica e le proteste spontanee di diverse fabbriche metalmeccaniche del centro-nord, l’iniziativa dei lavoratori è rifluita. Non così il livello di contagio e di mortalità del covid, le cui cause sono strutturalmente legate al modo di produzione capitalistico e alla rovinosa (e dolosa) gestione dell’azione di contrasto alla diffusione del virus. Il riflusso dell’iniziativa proletaria si spiega sia con la repressione, accompagnata da un’opera di silenziamento istituzionale delle lotte in corso (salvo che si tratti delle proteste dei bottegai); sia con il fatto che gli stessi lavoratori più combattivi non sono riusciti a superare un livello elementare di auto-difesa, e a porre questioni di ordine generale concernenti le politiche sanitarie di stato. In questo anno è mancata anche una significativa attività sindacale di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro. La giornata del 17 si è posta quindi in netta controtendenza rispetto all’attitudine che è al momento egemone tra i proletari, e privilegia la difesa del posto di lavoro alla difesa della salute. Coerenti con l’impegno preso a Bologna il 27 settembre dell’anno scorso, le forze promotrici dell’Assemblea si sono assunte ancora una volta il compito di essere un passo avanti (forse due) rispetto allo stato di coscienza medio dei lavoratori su questioni che sono oggi cruciali, e lo resteranno per gli anni a venire.

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Determinati e uniti verso lo sciopero del 29 gennaio, e oltre! – Tendenza internazionalista rivoluzionaria

L’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi di sabato 16 gennaio (purtroppo ancora telematica) è riuscita in pieno. Ed è stata un’ottima base di lancio per lo sciopero generale del 29 gennaio e per il successivo cammino. Per il numero e la qualità dei partecipanti. Per la molteplicità e varietà degli interventi. E soprattutto perché vi si è manifestata un’unanime determinazione a impegnarsi senza remore di sorta per il massimo esito possibile dello sciopero e della giornata del 29, superando le perplessità emerse nella precedente assemblea di fine novembre circa la tempistica delle iniziative di lotta.

Un forte sentimento unitario di lotta al padronato e al governo si era già respirato nell’iniziativa del 27 settembre a Bologna. Ma passare dalle intenzioni all’azione è sempre complesso. E lo è specie in questi tempi di bassissima conflittualità. Infatti si è dovuto procedere a confronti, chiarimenti e inevitabili decisioni per raggiungere, con l’assemblea di sabato, lo slancio necessario a lavorare uniti in un’area piccola, ma non infima, del mondo del lavoro produttivo e salariato perché l’obiettivo che ci siamo dati sia raggiunto.

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