Pubblichiamo qui delle note sui movimenti di lotta in corso in Libano e in Algeria, sostanzialmente oscurati dai mass media e purtroppo trascurati dalla quasi totalità dei compagni e degli attivisti dei movimenti, che già rimasero largamente indifferenti alle grandi sollevazioni popolari del 2011-2012. Mentre tutta l’attenzione è catalizzata sulla bruciante sconfitta subita dai curdi del Rojava per mano dell’asse Washington-Mosca-Istanbul-Damasco e con la piena complicità attiva di Italia e UE, ci permettiamo di richiamare, controcorrente rispetto all’arabofobìa dominante, l’importanza degli avvenimenti libanesi, algerini, etc., sia per la ripresa del movimento proletario in Europa e in Occidente, che per lo stesso sviluppo futuro della lotta dei curdi e delle minoranze non arabe presenti nel mondo arabo. Per ricordare, a chi fosse interessata/o, la nostra analisi e la nostra posizione sulla grande Intifada araba del 2011-2012 rinviamo ad un testo di alcuni anni fa, L’Intifada araba e noi – Il cuneo rosso (2012), in cui rispondevamo alle critiche ricevute sul n. 1 del Cuneo rosso, intitolato “L’intifada araba e il capitalismo globale”. Ne abbiamo fatta in questi giorni una limitata ristampa. E’ possibile richiederla a com.internazionalista@gmail.com.
Il Libano
Da una settimana le strade di Beirut, Tripoli, Tiro, Sidone, Sayda, Nabatiyeh sono teatro di grandi manifestazioni di massa che hanno riportato in campo con forza gli slogan politici delle sollevazioni del 2011-2012: “il popolo vuole la caduta del regime” (Ash’ab iurid isquat al-nizam), “rivoluzione” (thaura). La grande novità è che in queste manifestazioni di molte decine di migliaia di giovani non c’è traccia di divisioni per gruppi e simboli confessionali. La protesta dilaga in tutto il paese, e vede insieme, mescolati tra loro, sunniti, sciiti e cristiani. Il suo bersaglio è il governo Hariri di cui si chiede perentoriamente le dimissioni. E con il governo di unità nazionale, c’è nel mirino l’intera classe dirigente e le istituzioni finanziarie, a iniziare dalla Banca centrale del paese – davanti alla quale proprio ieri si è svolto un raduno di protesta.
La stampa italiana ha raccontato che la scintilla è stata l’introduzione di una tassa sul servizio di messaggistica di whatsapp (finora quasi gratuito). In realtà il clima era già saturo di sostanze esplosive: il timore di una forte svalutazione della lira e l’incremento del prezzo del pane, la rabbia per i continui disservizi nell’erogazione di acqua e luce, l’indignazione per gli scandali delle cricche dei favoriti di stato. Il Libano è da qualche anno sull’orlo del default. Ha un debito pubblico al 150% del pil (terzo al mondo, dietro solo a Giappone e Grecia), una disoccupazione dilagante (il tasso ufficiale è al 35%), livelli di polarizzazione della ricchezza, di clientelismo e di corruzione insostenibili. Sofferenze materiali e odiose umiliazioni quotidiane, carenza di servizi elementari a fronte di uno sfacciato accaparramento privato delle risorse statali: questo l’amaro impasto che la massa della popolazione si rifiuta di ingurgitare ancora. Ecco perché non c’è più riguardo per nessuno. Continua a leggere Il Libano ribolle, al di là delle divisioni confessionali! Ma guardate anche le piazze dell’Algeria… e tutto il resto.