Abbiamo già pubblicato altra corrispondenza che ci è pervenuta dall’Ucraina (dai giovani compagni del Fronte dei lavoratori dell’Ucraina), ma pubblichiamo volentieri anche questa testimonianza di differente origine e posizione, che riprendiamo dal blog Combat-C.O.C. perché il disfattismo conclamato su questo fronte di guerra, ed anche i passi fatti in direzione del disfattismo a partire da posizioni “difensiste”, sono fondamentali per l’unità dei proletari contro i propri governi, e affinché la prospettiva internazionalista possa diventare, da semplice auspicio e indirizzo di pochi, realtà, comportamento di massa.
Sul fronte ucraino, la resistenza alla guerra è ancora troppo debole, perché si possano vedere risultati rilevanti. Ed è perfettamente logico che sia così: una popolazione che vede il territorio del proprio paese invaso, ed è aggredita direttamente dalle armi di un altro stato, mette anzitutto in atto le sue difese contro il “nemico esterno”. Comprendiamo anche le gigantesche difficoltà ad ottenere risultati tangibili da parte di chi lavora per il disfattismo sotto le leggi marziali e le rappresaglie extra-legem, mentre sul fronte interno il governo fa valere, oltre le leggi di guerra, le leggi anti-sciopero e anti-sindacali varate prima ancora che il conflitto scoppiasse in tutta l’Ucraina (anche prima la guerra c’era, ma limitatamente al Donbass), leggi che sono state estese e inasprite.
La testimonianza ripresa dai compagni di Combat-C.O.C. è di un soldato ucraino di dichiarato orientamento trotskista, favorevole alla difesa della sua “patria”, il quale – però – davanti alla ferocia della guerra e alla estrema ferocia delle “battaglie frontali con un enorme numero di vittime e di perdite” per Soledar e Bakhmut; davanti all’opportunismo degli ufficiali che fanno tutto per salvarsi la pelle e spedire al massacro i soldati semplici e gli arruolati forzati dalle milizie territoriali; davanti alle “punizioni esemplari” dei soldati che si rifiutano di essere mandati a sicura morte; comincia ad aprire gli occhi e a comprendere di essere carne da cannone. La via d’uscita che egli indica è ancora, purtroppo, all’insegna del difensismo “operaio” e “democratico”, qualcosa di perfettamente impossibile – e ha davvero dell’incredibile come non si avveda che la “vittoria dell’Ucraina” altro non sarebbe che “la vittoria degli imperialismi occidentali fornitori di armi e del governo e degli oligarchi ucraini che hanno fornito loro la carne da cannone”, come scrive la redazione di Combat-COC.
Ma ciò che più interessa della sua testimonianza è l’informazione che dà: “mai prima d’ora l’esercito ucraino aveva visto così tanti renitenti” poiché siamo in presenza del rifiuto crescente, a suo dire addirittura “generale”, “di eseguire lo stupido ordine di morire”. Infatti, nonostante i sistemi d’armi più o meno moderni e sofisticati, nonostante la meccanizzazione e informatizzazione della guerra, gira e rigira si sta arrivando, alla fine, alla fanteria…
Per quanto ci è possibile, continuiamo ad osservare questa stessa dinamica di oggettiva separazione dei destini degli appartenenti alle diverse classi nel corso della guerra anche sul fronte russo – dal quale abbiamo segnalato subito una presa di posizione disfattista. Dal 24 febbraio dello scorso anno ad oggi è certo cresciuto il nazionalismo sia in Russia sia in Ucraina, ma nello stesso tempo stanno maturando le precondizioni per una presa di coscienza del carattere anti-proletario, imperialista, di questa guerra e delle guerre che prepara. Rigettiamo lo scetticismo circa la possibilità che si arrivi ad una nuova fraternizzazione fra i proletari russi e i proletari ucraini, e spendiamo le nostre modeste forze perché questo grande giorno si avvicini. (Red.)
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Ucraina, renitenza contro il massacro (19 gennaio)
La guerra in Ucraina assume sempre più i caratteri della barbarie. Costretti ad arretrare su gran parte dei fronti, da tre mesi i russi stanno concentrando le loro risorse belliche non sulla conquista di territori, ma sulla distruzione delle infrastrutture, soprattutto energetiche, dell’Ucraina. Milioni di persone senza elettricità, che nelle città significa anche senza acqua e riscaldamento nel gelo invernale. Certo enormi disagi e sofferenze, che tuttavia anziché fiaccare la compagine sociale di coloro che sono rimasti alimentano i sentimenti nazionalisti ucraini contro i russi che li causano. E in mancanza di vittorie sul campo, si sbandierano i massacri di decine e centinaia di soldati, come quelli russi acquartierati in una scuola di Makiivka (regione di Donetsk), dove un attacco missilistico ucraino ne avrebbe massacrato 89 secondo i russi, 400 secondo gli ucraini. Che il puro e semplice massacro di vite umane – in gran parte di proletari, reclute costrette alla guerra loro malgrado – costituisca motivo di vanto ed esaltazione ci dà la misura dell’efferatezza e inumanità della guerra accompagnata, nelle zone “conquistate” o “liberate” secondo chi parla, dalle torture e dai massacri di civili.
La repulsione per tutto questo rafforza la nostra opposizione senza se e senza ma a questa guerra imperialista su entrambi i fronti e il nostro sostegno ai pochi gruppi che si oppongono alla guerra, in Ucraina come in Russia, su posizioni di disfattismo rivoluzionario. In particolare per l’Ucraina ci riferiamo al Fronte dei lavoratori dell’Ucraina (m-l), di cui il Pungolo Rosso ha tradotto diverse prese di posizione, pur distinguendosi in merito alla visione del passato “sovietico”[1], e che ha inviato il suo saluto alla manifestazione di Roma contro la guerra del 3 dicembre scorso[2].
Proprio per la sua disumanità e per le contraddizioni sociali e politiche che mette a nudo, il prolungarsi della guerra crea le condizioni che possono portare un numero crescente di proletari e di persone in generale ad opporsi alla guerra e al governo della guerra. In Russia, oltre alle migliaia di persone scese in piazza a più riprese e arrestate e perseguitate, ma anche le centinaia di migliaia di giovani (perlopiù degli strati intermedi, perché ai proletari mancano i mezzi) che hanno abbandonato al paese per sfuggire alla leva, e le comunità più povere, delle etnie non russe, dalle quali l’esercito ha prelevato gran parte della “carne da cannone”, e che già si sono viste ritornare i loro figli a migliaia dentro sacchi neri. Numerose sono state le manifestazioni di malcontento e anche di diserzione tra i soldati, mandati allo sbaraglio con scarsa alimentazione, orribili alloggiamenti, inadeguato armamento.
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