“Noi non siamo anti-sistema. È il sistema che
è venuto giù da solo. Noi gli abbiamo dato
soltanto una piccola spinta.” (Beppe Grillo)
In molti hanno definito il 4 marzo un passaggio d’epoca. È un’esagerazione. Le epoche storiche non cominciano né finiscono a mezzo schede elettorali. Ma un fatto è certo: le recenti elezioni segnano la meritatissima fine della seconda repubblica. Meno ovvie sono le cause di questo terremoto politico-elettorale, e soprattutto le sue conseguenze.
Le cause interne
La causa principale dei risultati del voto, e del non voto, del 4 marzo sta nel vasto e acuto malessere sociale che si è espresso omogeneamente da nord a sud contro Pd e FI, le forze politiche prime responsabili dei duri sacrifici imposti negli ultimi 25 anni sia ai proletari che a parte dei ceti medi.
Partiamo dal non voto, che è stato in genere oscurato. Va invece rimarcato che l’astensione è, nel complesso, cresciuta di altre centinaia di migliaia di unità, raggiungendo il 27% (poco meno di 14 milioni). La Lega e il M5S hanno riportato ai seggi, con la loro propaganda, milioni di astenuti. La Lega deve quasi il 30% del suo voto a questo richiamo, il M5S il 19,5% – a conferma del carattere mobile di parte almeno delle astensioni. Tuttavia il totale degli astenuti è ulteriormente aumentato, soprattutto per il passaggio al non voto degli elettori del Pd, anzitutto operai. Non ci sono ricerche attendibili, ma si può supporre che, come in Francia, il “primo partito” tra gli operai è ormai quello dell’astensione. Molto forte, superiore al 35%, è stata anche l’astensione dei giovani chiamati al loro primo voto. La distanza tra gli operai e i più giovani e le istituzioni non si è ridotta. E se il costituendo asse Lega-M5S dovesse dare magri risultati rispetto alle attese, si accentuerà. Non male, dal nostro punto di vista.
Quanto al voto, esso ha espresso l’aspettativa di massa che almeno qualcosa del maltolto venga restituito, vista anche la strombazzata (in realtà modestissima) ripresa. La Lega ha sfondato con l’impegno di abolire la legge Fornero e introdurre la flat tax al 15%; il M5S con il reddito di cittadinanza e l’aumento delle pensioni minime, specie al sud. Alla base del plebiscito nel sud al M5S c’è una situazione senza sbocchi, che negli ultimi 15 anni ha costretto 1,7 milioni di meridionali ad emigrare al nord e all’estero, con intere regioni in cui la disoccupazione giovanile supera il 50%, l’abbandono scolastico si allarga e ci sono zone di povertà assoluta. Per contro, il Pd ha subìto un tracollo tra gli operai e nelle aree con maggiore emarginazione; ha tenuto bene solo nei centro città, inclusa Milano, tra i borghesi e le figure professionali rampanti (a pochi giorni dal voto tra gli studenti della Bocconi Renzi era al 33%, la Bonino al 23%…). A sua volta, FI ha perduto rispetto al 2013 oltre due milioni e mezzo di voti a vantaggio della Lega negli strati sociali meno abbienti, perché la sua piattaforma è parsa la copia sbiadita di quella leghista, come in effetti era.
Non è tutto. Continua a leggere Dopo il 4 marzo: in cammino verso l’ignoto. Purché a destra.