Marghera, sabato 18 marzo: Guerra, economia di guerra, governo Meloni. Con Sandro Moiso

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Studiare le radici delle guerre, per tagliarle, di Sandro Moiso

Varsavia

Riprendiamo da Carmillaonline la recensione che Sandro Moiso ha fatto al libro di Ernest Mandel, Il significato della II guerra mondiale, edito nel dicembre 2021 da Punto critico.

Concordiamo con lui: quest’opera di Mandel “supera di gran lunga tante analisi precedentemente condotte sullo stesso argomento”, per il suo metodo di indagine e perché si sforza di dare conto del carattere realmente mondiale, non solo europeo, di questa guerra, considerando “gli eventi in Asia altrettanto importanti di quelli europei” – è stato in Asia, molti lo dimenticano, che il super-imperialismo yankee ha conosciuto tra il 1945 e il 1953 le sue prime sconfitte in Cina e in Corea, ben più importanti di quella di Pearl Harbour, quando i suoi consiglieri e le sue manovre diplomatiche non riuscirono ad impedire la vittoria della rivoluzione cinese con la cacciata del prediletto Kuomintang dalla Cina continentale; e quando il suo esercito, guidato dal generale Mac Arthur, non riuscì a piegare l’alleanza tra la Corea di Kim Il Sung e la Cina di Mao, il quale definì l’esito della guerra di 33 mesi contro gli Stati Uniti “una vittoria di enorme significato” (come dargli torto?). Si aggiunsero poi, nei decenni seguenti, le disfatte in Vietnam e nell’intera Indocina, e da ultimo l’Afghanistan – impero del dollaro o non impero del dollaro, diventato per certi ricercatori e attivisti “anti-imperialisti” un invincibile feticcio.

Concordiamo anche con l’apprezzamento da un lato, e le critiche dall’altro, che Pietro Acquilino tributa a Mandel nella sua utilissima introduzione. Senz’altro accettabile è lo schema di Mandel che identifica nella seconda guerra mondiale cinque diversi conflitti di differente natura (p. 63), ma a condizione di considerare “la guerra inter-imperialista per l’egemonia mondiale” l’asse strategico rispetto al quale gli altri conflitti sono semplici articolazioni. E però c’è più di qualcosa da dire sul modo in cui Mandel inquadra queste articolazioni. Nessun dubbio sul fatto che la massa dei proletari e dei contadini poveri russi sentì la guerra anti-nazista come “una guerra giusta di autodifesa dell’Unione sovietica contro il tentativo imperialista di colonizzare il paese e distruggere le conquiste della rivoluzione del 1917” (parole di Mandel). Ma il patto Molotov-von Ribbentrop, la spartizione della Polonia con il regime nazista, le conferenze di Teheran, Yalta e Potsdam con le democrazie imperialiste per definire le rispettive sfere di influenza, fanno forse parte di una strategia per la continuazione su scala mondiale della rivoluzione del 1917, o rientrano in una strategia di segno di classe opposto che sta nel quadro della “spartizione imperialistica del mondo [come] filo conduttore di tutto il conflitto” (parole di Acquilino)?

Ancora: è perfettamente vero, come afferma Mandel, che dal seno della guerra mondiale sono fuoriuscite la “guerra giusta del popolo cinese contro l’imperialismo” e “la guerra giusta dei popoli coloniali dell’Asia contro le diverse potenze militari per la liberazione nazionale e l’indipendenza”. Ma le sue generose gratifiche di socialiste a queste rivoluzioni, come a quelle in Jugoslavia e in Albania, portano fuori strada (anche se ognuna di esse ha le sue particolarità, e in ognuna di esse è stata presente una proiezione ideale minoritaria ad andare verso il socialismo).

A nostro parere Mandel sopravvaluta la forza dei movimenti partigiani in Italia e in Francia, e l’autonomia della loro prospettiva politica. Tuttavia in questo caso Mandel critica “l’ambiguità politica della formula secondo cui le forze attive durante quel conflitto si dividevano in ‘fascisti’ e ‘antifascisti'”, una formula che cancellava un ‘particolare’ di enorme peso – che le potenze occidentali “antifasciste” erano, e sono tutt’oggi, le massime potenze imperialiste del mondo. E che la politica di “alleanza antifascista” portò alla “sistematica collaborazione di classe” con le borghesie europee [leggi: subordinazione della classe proletaria alle classi borghesi dominanti], oltre che al “tradimento sistematico delle lotte antimperialiste dei popoli coloniali, per non parlare della controrivoluzione in Grecia” (Mandel) – tutti temi su cui torneremo, così come sulla teoria dello “stato operaio degenerato” e del suo corollario del “sostegno militare, ma non politico, all’URSS”, che non possono essere considerati dei semplici errori di analisi e di posizionamento.

Nonostante queste rilevanti riserve, questo libro di Ernest Mandel è da leggere. E molto bene hanno fatto i compagni di Punto critico a portarlo all’attenzione dei lettori di lingua italiana perché in ogni caso esso “supera di gran lunga tante analisi precedentemente condotte sullo stesso argomento”. (Red.)

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Ernest Mandel, Il significato della seconda guerra mondiale, Associazione Punto Critico, Sacrofano (RM) dicembre 2021, pp. 316, euro 15,00

Il saggio sul secondo conflitto mondiale, le sue origini, i suoi sviluppi e conseguenze, appena pubblicato in Italia da Punto Critico era uscito in lingua originale già nel 1986; eppure, visto il momento storico che il mondo sta attraversando, si rivela ancora di estrema attualità. Ciò è dovuto al fatto che lo studio di Ernest Mandel, condotto sulla base delle categorie marxiste e di una militanza rivoluzionaria e anti-stalinista, supera di gran lunga tante analisi precedentemente condotte sullo stesso argomento, anche se «raccolti tutti insieme, i libri dedicati alla Seconda guerra mondiale occuperebbero centinaia di metri sugli scaffali di una biblioteca».

L’autore evita infatti di dipingere il quadro in bianco e nero, semplice e rassicurante, ma allo stesso tempo reticente e falso, con cui quel conflitto è stato troppo spesso ridotto, a fini propagandistici, a una titanica lotta tra il “bene” e il “male” ovvero tra la democrazia e la barbarie e il totalitarismo nazifascista. Modello storiografico cui si è, invece, abituati fin dalle frequentazioni scolastiche, utile a rappresentare l’attuale come il solo e il “migliore” dei mondi possibili, da difender “ad ogni costo” contro qualsiasi minaccia o attacco proveniente dall’esterno (o dall’interno).

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Uno sguardo altro sulla Cina contemporanea e le sue contraddizioni di classe, di Sandro Moiso

Riprendiamo con piacere da Carmilla on line la recensione che Sandro Moiso ha fatto di un testo del collettivo Chuăng sulla “costruzione della Cina contemporanea” appena uscito in lingua italiana. Al momento dello scoppio della pandemia, siamo stati i primi a tradurre e postare un documento assai interessante dei compagni di Chuăng, poi ripreso da altri blog e siti.

Concordiamo sia con l’apprezzamento che S. Moiso fa del lavoro di questo collettivo (all’interno del quale si trovano anche richiami alla Sinistra comunista), sia con le osservazioni critiche alla pretesa di questi compagni di vedere nella fase maoista della rivoluzione nazional-popolare cinese un timbro “sviluppista socialista” totalmente distinto dall’esperienza vissuta in Russia con la “costruzione del socialismo in un solo paese”. Sono temi di fondo del passato più o meno lontano su cui sarà inevitabile ritornare, senza tuttavia restare prigionieri del passato. (Red.)

[Fonte: Carmilla On-line]

Chuăng, Il sorgo e l’acciaio. Il regime sviluppista socialista e la costruzione della Cina contemporanea, Porfido Edizioni, Torino 2022, pp. 200, euro 12,00

La prima cosa che salta all’occhio, fin dalla lettura delle prime pagine, nel testo prezioso appena pubblicato dalle Edizioni Porfido è che a differenza dell’Italietta, in cui la sinistra antagonista troppo spesso continua a portarsi appresso le incrostazioni del gramscismo e di un certo operaismo ancora influenzato da brandelli di maoismo, in altre e ben più significative aree del mondo, in questo caso Cina e Stati Uniti, il riferimento ai linguaggi e alle esperienze teoriche della Sinistra Internazionalista costituisce una solida base per l’analisi dei più importanti fenomeni sociali, politici ed economici e delle inevitabili contraddizioni di classe che hanno contraddistinto la Repubblica Popolare Cinese dalle sue origini fino a oggi.

Indagare sulle origini e le ragioni dell’attuale salda integrazione della Cina nella “comunità materiale del capitale” è il compito che si sono posti i membri del collettivo comunista internazionalista Chuaˇng, gruppo anonimo i cui membri si distribuiscono appunto fra la Cina e gli Stati Uniti. Il carattere Chuaˇng, da cui il collettivo prende il nome, in cinese è riassumibile nell’immagine di un cavallo che sfonda un cancello e riveste il significato simbolico di liberarsi, attaccare, caricare, sfondare, forzare l’entrata o l’uscita: agire con impeto.

Da alcuni anni le pubblicazioni sull’omonima rivista e la serie di articoli traduzioni e interviste ospitate sul blog chuangen.org, rappresentano una delle fonti di informazione e analisi più attente e pertinenti sulle dinamiche e le traiettorie delle trasformazioni sociali e del conflitto di classe nella Cina attuale. Il libro, appena tradotto in Italia ma già apparso nel 2016 sul primo numero della rivista, rappresenta la prima parte di un progetto in corso di pubblicazione sulla storia economica della Cina che, con taglio dichiaratamente “materialista”, vuole smarcarsi tanto da una letteratura “di sinistra” da anni sostanzialmente monopolizzata e caratterizzata dalle varie correnti ideologiche di origine “maoista” che, occorre qui ricordarlo, hanno spesso poco a che vedere con il marxismo inteso in senso stretto, quanto dallo specialismo di chiara marca accademica.
Come hanno sottolineato gli autori:

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L’internazionalismo e la guerra in Ucraina, di Sandro Moiso

Riprendiamo dal sito di Carmilla on line la bella recensione che Sandro Moiso ha scritto nei giorni scorsi sul libro della TIR, La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario.

Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria, La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario, Milano 2022, pp. 210, euro 10,00

Dal 24 febbraio ad oggi intorno al conflitto sviluppatosi in Ucraina non solo è cresciuto il numero delle vittime e dei caduti su entrambi i fronti, aumentata a dismisura la cifra dei danni e delle distruzioni e il prezzo delle materie prime (soprattutto grano e gas) toccate dall’andamento della guerra (oltre che dall’intramontabile speculazione commerciale e finanziaria), ma anche la quantità di menzogne narrate dalla propaganda delle parti coinvolte, dai governi, dai presunti esperti e dai vertici militari e diplomatici europei e statunitensi.

La “nebbia” di guerra, diffusa da bufale evidenti e narrazioni ben altrimenti architettate, però, non ha solo cercato di confondere l’opinione pubblica, che a dir del vero non sempre si è prestata così facilmente al discorso della guerra giusta oppure difensiva, ma è anche servita a creare spaccature non lievi all’interno di un pensiero e di una pratica antagonista che, dopo aver ignorato per decenni il discorso sulla guerra, non ha mancato di scoprire l’esigenza di schierarsi, troppo spesso, con l’uno o l’altro degli schieramenti in lotta.

Ben venga dunque il testo appena pubblicato dai compagni facenti riferimento alla Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria che, senza mancare di fornire abbondanza di dati sulle cause politiche, militari, economiche ricollegabili allo sfruttamento dei territori compresi nei grandi spazi che si estendono tra i confini orientali dell’Unione Europea e la Federazione degli Stati russi e alla loro importanza geopolitica, si sforzano nel tentativo di fornire una lettura internazionalista non soltanto degli avvenimenti inerenti al conflitto, ma anche ai compiti che l’antagonismo di classe dovrebbe darsi in un simile, drammatico e dirimente frangente.

Così, cominciando proprio là dove il libro si conclude con le sue appendici, appare utile ancora oggi la ripubblicazione dei due manifesti delle conferenze di Zimmerwald (settembre 1915) e di Kiental (1° maggio 1916) che posero le basi per l’opposizione internazionalista al primo grande macello imperialista. Il primo originariamente redatto da Lev Trotsky e successivamente emendato, che venne adottato dalla Conferenza Socialista Internazionale svoltasi a Zimmerwald, in Svizzera, a conclusione dei suoi lavori, l’8 settembre 1915. La sua approvazione fu preceduta da lunghe e vivaci discussioni, dovute soprattutto alle posizioni rivoluzionarie delle tendenze di estrema sinistra – capeggiate da V.I. Lenin e dai bolscevichi russi – che si opponevano all’atteggiamento pacifista della maggioranza dei delegati1.

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Il nuovo disordine mondiale. 19. First Strike, di Sandro Moiso

Riprendiamo da Carmilla on line la puntata n. 19 della serie di interventi di Sandro Moiso sul nuovo disordine mondiale, dedicata al tema dell’uso dell’arma nucleare per primi (“First Strike”).

L’articolo di Moiso, il cui impianto condividiamo in pieno, intreccia l’aspetto politico e quello militare seguendo l’approccio che egli stesso annuncia nei righi introduttivi. Sembra un’ovvietà, ma è un tema spesso trascurato nelle analisi di scritti analoghi, inclusi i nostri.

Un punto che ci pare giusto sottolineare è il preparativo dell’impiego di contingenti sempre maggiori di soldati. Non è una novità tutta russa. Moiso richiama opportunamente Crosetto, e quindi l’Italia; ma il problema riguarda tutte le forze in campo, anzitutto gli Usa. E non dovrebbe sfuggire l’importanza del tema per le conseguenze che esso ha sulle disposizioni politiche dei paesi in guerra. Finché le perdite riguardano mezzi e specialisti, l’aspetto sociale del conflitto può ancora essere gestito; ma se si tratta di mobilitare la popolazione in maniera diretta e massiccia, le cose si fanno decisamente più complicate..

Abbiamo visto sia la Russia che l’Ucraina alle prese con manifestazioni contro le forme obbligatorie di reclutamento sia collettive che individuali, quali le fughe dal paese, e pensiamo che un impiego del genere, una coscrizione obbligatoria consistente, scatenerebbe anche negli Usa problemi sociali ancora più importanti. Forse proprio per questo Biden prospetta un impiego preventivo dell’atomica. Il cinismo dei capitalisti non ha limiti e, al sicuro da attacchi analoghi sul fronte orientale e quello occidentale, gli Usa metterebbero, se non la fine, almeno una pesante pietra tombale sul conflitto uscendone con poche perdite (salvo, poi, le reazioni russe…). Alla fine il capitalismo, nella produzione come nella guerra, ha bisogno di carne proletaria, e tutto sta nel vedere se le classi “subalterne”, se le popolazioni civili, se il proletariato anzitutto, sono disposti a subire un macello senza precedenti.

Moiso non fa ancora questo passaggio, ma noi deriviamo questa ipotesi anche dalla sua considerazione sugli strumenti tecnologici, dal fatto che essi non hanno fatto miracoli e sono abbastanza facilmente riproducibili anche da paesi non di primo piano, per cui il passaggio successivo, l’escalation, non può svolgersi senza mettere massicciamente gli “stivali sul terreno”. Oppure, temendo di farlo, supplire a questa mancanza con il “First Strike”. (Red.)

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Non si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se, invece, non lo sia. La vittoria non è possibile. La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai. (George Orwell)

Boom! Scoperta e ‘dichiarata’ l’acqua calda: gli Stati Uniti, nell’ultima versione della loro dottrina militare (detta, in onore dell’attuale presidente, “Biden”), potrebbero usare per primi l’arma nucleare. E questo, secondo alcuni commentatori disattenti alla storia militare e politica dell’ultimo secolo, potrebbe costituire soltanto ora il detonatore per una Terza guerra mondiale.

Ancora una volta occorre dunque sottolineare e ricordare ciò che, da più di un decennio, l’autore va affermando in testi, articoli e interventi sulla questione della guerra: elemento ineliminabile di una società fondata sullo sfruttamento di ogni risorsa ambientale e umana, sulla concorrenza più spietata sia a livello economico che sociale e sulla spartizione imperialistica del mercato mondiale e dei territori di importanza strategica (sia dal punto di vista geopolitico che economico-estrattivistico).

Tanto da spingerlo a rovesciare, come già aveva fatto con largo anticipo Michel Foucault nel corso degli anni ’70, la celebre affermazione di Karl von Clawsevitz nel suo contrario, ovvero che sarebbe proprio la politica a costituire nient’altro che la continuazione della guerra con altri mezzi1. Con buona pace di chi ancora oggi, pur proclamandosi antagonista e antimperialista, pensa che le logiche della politica istituzionale possano (o almeno dovrebbero) sfuggire alle logiche della guerra e dei suoi sfracelli.

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