Stati Uniti. Gli scioperi del 2021 analizzati nel loro contesto. Le loro cause profonde, di Kim Moody

A differenza di quanti vedono negli Stati Uniti solo il mostruoso conglomerato di poteri che lega Wall Street al Pentagono attraverso la Casa Bianca, nemico n. 1 dell’umanità lavoratrice del globo, noi scrutiamo da sempre con estrema attenzione l’“altra America”, l’enorme massa multinazionale dei proletari e dei semi-proletari, che l’inesorabile declino storico dell’imperialismo yankee sta risvegliando alla lotta attraverso una serie di sussulti e movimenti del più vario genere (da ultimo il Black Lives Matter) dall’impatto internazionale.

In questo testo ricco di elementi di analisi rigorosamente documentati, Kim Moody riflette sull’esperienza degli scioperi del secondo anno di pandemia, e mostra come alla repentina ripresa dell’accumulazione dei profitti corrisponda un’accumulazione di malcontento, lagnanze, collera di svariati settori del lavoro salariato, con un crescente coinvolgimento del “settore privato”, e delle più grandi imprese come Amazon, McDonald’s, J. Deere, Instacart – quel “settore privato” in cui da tanti anni il tasso di sindacalizzazione è precipitato stabilmente sotto il 10%.

Bisogna essere degli ottusi provincialotti (o delle anime morte, o entrambe le cose, perché no?) per non accorgersi di quanti materiali infiammabili si stiano formando tra gli sfruttati e gli oppressi statunitensi, e di come il “considerevole attivismo sociale” ed il crescente “militantismo” che si manifesta oltre Oceano ci riguarda e ci interpella.

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Avete sicuramente già letto articoli sugli scioperi del 2021 [Il riferimento è agli articoli pubblicati il 20, 22, 25 ottobre e 12 novembre su A l’Encontre]. Da un lato sono più numerosi, alcuni in settori dove da tempo non si vedono molti scioperi, come il commercio al dettaglio, l’intrattenimento o le grandi aziende manifatturiere; altri hanno attecchito in settori che negli ultimi anni sono diventati più inclini a scioperare, come la sanità e l’istruzione. I lavoratori di questi settori sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia di Covid-19. Per i commentatori più cauti, si tratta di una “impennata” di scioperi, mentre l’ex Segretario di Stato per il Lavoro Robert Reich ha suggerito fantasiosamente che si trattasse, “alla sua maniera disorganizzata”, di uno sciopero generale (in The Guardian, 13 ottobre 2021). La maggior parte dei resoconti di questa visibile ondata di scioperi li collocano nel contesto della recente contingenza economica.

Le condizioni immediate che incoraggiano lo sciopero coincidono in gran parte con le cause delle significative “carenze” di manodopera. Ad eccezione di coloro che hanno contratto il virus, infatti, molti lavoratori hanno lasciato volontariamente il proprio posto di lavoro, per andare in cerca di un migliore salario e condizioni di lavoro migliori. Il Bureau of Labor Statistics (BLS) le definisce “uscite” e ne ha registrato un numero senza precedenti: 4,3 milioni nell’agosto di quest’anno. I soli settori del commercio, dei trasporti e dei servizi pubblici, nonché i settori del tempo libero e dell’ospitalità, hanno rappresentato quasi la metà di queste “fuoriuscite”[1]. Inoltre, i licenziamenti nel settore privato sono diminuiti rispetto all’anno precedente ed i posti vacanti sono aumentati di oltre due terzi a 9,6 milioni, mentre le assunzioni sono rimaste pressoché invariate [2]. I padroni hanno bisogno di più lavoratori, e i lavoratori sono diventati più selettivi e assertivi.

Mentre alcuni parlano di “grande rassegnazione” a causa di tutte le “dimissioni”, altri parlano di “grande insoddisfazione” a causa della rabbia di fondo che porta all’azione, sia essa rassegnazione o sciopero. Da un lato, il tasso di dimissioni è aumentato più o meno costantemente dai primi segnali di ripresa dopo la grande recessione del 2008-2010. D’altra parte, un sondaggio Gallup condotto nel marzo 2021 ha rilevato che il 48% della “forza lavoro statunitense è attivamente alla ricerca di un lavoro o è alla ricerca di un’opportunità”, una percentuale ben superiore al 2,9% che si dimette effettivamente [3]. Quindi, l’insoddisfazione lavorativa ha regnato per qualche tempo nella forza lavoro prima di raggiungere il massimo storico nell’agosto 2021. Per questo motivo, credo sia più utile pensare al tasso di “abbandono” come ad un sintomo dell’insoddisfazione sul lavoro, da un lato; ad una propensione a riporre maggiore fiducia nel partecipare a un’azione, dall’altro, piuttosto che ad una causa diretta degli scioperi.

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