Industria chimica e PFAS. Il J’accuse della Rete ambientalista

Effects of per- and polyfluoroalkyl substances on human health.

Rosignano. Il disastro ambientale al vaglio del Parlamento Europeo. Il nostro ministro della ‘finzione ecologica’ si era affrettato a rinnovare l’Autorizzazione integrata ambientale alla Solvay, consentendole di continuare a sversare i residui della propria produzione chimica in mare per altri 12 anni.

Riprendiamo qui tre contributi dal sito Rete ambientalista gestito dal Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro. Da angolature diverse, e con un’attenzione alla dimensione internazionale, ed in particolare agli Stati Uniti, questi articoli denunciano lo scempio che l’industria – l’industria chimica, in tutte le sue articolazioni, da Miteni ad Eni, passando per le concerie venete – sta facendo pressoché ovunque dell’ambiente e della salute umana, dei lavoratori e della popolazione in genere, causando tumori, malformazioni, alterazioni sessuali, etc. Si parla, ovviamente, dei famigerati PFAS.

In queste denunce – a cui non si dovrà mai fare il callo – viene messo in luce il cinismo inumano del management delle aziende in questione, con il loro corredo di professionisti, ben compresi i medici, affaccendati a negare l’evidenza cristallina dei risultati di ricerche pluridecennali, che dimostrano a iosa l’elevato, inaccettabile livello di rischio ambientale e sanitario di queste produzioni industriali.

Né viene dimenticata l’attiva complicità dello Stato in tutte le sue articolazioni, resa soltanto più schifosa dalla maschera ecologista che ha indossato da qualche tempocomplicità che non cessa quando qualcuna delle istanze di controllo create per i casi più scandalosi di inquinamento ambientale osa affermare, anche solo in parte, la verità dei fatti, perché – di regola – queste affermazioni restano atti senza conseguenze. Ecco perché la via maestra è sempre e solo quella della lotta, e mai quella della delega alle istituzioni.

Ringraziamo il Movimento di lotta per la salute Giulio Maccacaro per la ricchezza della documentazione che rende disponibile. Riprenderemo più sistematicamente queste denunce, di cui condividiamo appieno lo spirito di lotta, e la messa a nudo delle responsabilità del “capitalismo dei disastri”, mortalmente pericoloso per la specie umana e gli esseri viventi in genere. (Red.)

Le accuse in tribunale al medico PFAS di Miteni e Solvay

Il sottoscritto Lino Balza può testimoniare al processo, documenti alla mano, le responsabilità del professor Giovanni Costa, confermando la testimonianza fiume del maresciallo maggiore del Noe di Treviso Manuel Tagliaferri, avvenuta durante il processo Pfas in corso presso la Corte d’Assise del Tribunale di Vicenza, che vede imputati 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Tagliaferri ha ricostruito il ruolo di Costa quale medico responsabile della Miteni e garante delle problematiche di rischio sanitario e ambientale collegato ai Pfas, e delle correlate azioni di prevenzione e limitazione del loro uso. Costa rappresentava l’azienda anche nei meeting internazionali che si occupavano di queste problematiche. Dalla ricostruzione di Tagliaferri, è emerso come il medico relazionasse sistematicamente i vertici della società sulle novità scientifiche relative al rischio Pfas e sulle sue interazioni con la fisiologia umana. Quindi Costa intratteneva rapporti diretti con Du Pont e i più grandi produttori mondiali, consentendo a Miteni di avere una conoscenza aggiornata e tempestiva su tutte le novità emerse dalla comunità scientifica sui gravissimi rischi connessi ai Pfas. Dunque questo circolo di produttori da decenni conosceva le tecnologie necessarie per rilevare e analizzare la presenza ambientale e biologica dei Pfas. E nasconderla!

Non può emergere nulla di diverso nelle carte sequestrate dai carabinieri nell’abitazione e nell’ufficio del professor Giovanni Costa.

L’accusa a Miteni è valida anche per la Solvay di Spinetta Marengo perché Giovanni Costa era nel contempo responsabile sanitario per lo stabilimento di Alessandria.

Il sottoscritto può testimoniare di aver denunciato pubblicamente le responsabilità del Costa già dal 2009 con l’accusa “di occultare la gravità della condizione sanitaria dei lavoratori e dei cittadini ingannando l’ignavia dell’Arpa [sic.]. Costa, pur conoscendo tutti gli studi (quarantennali) e i divieti e risarcimenti internazionali nonchè i livelli ematici di avvelenamento riscontrati fra i lavoratori, invece di chiedere per primo il bando della sostanza inesistente in natura, vende la sua autorità per reiterare rassicurazioni – mentendo anche in scandalose assemblee con i lavoratori – che essa non provoca malattie, tumori, malformazioni, alterazioni sessuali … ma sarebbe pressoché innocua o benefica all’uomo. L’abbiamo invano sfidato ad un confronto pubblico tramite un fondamentale documento (depositato in Procura) articolato in 24 dettagliatissimi punti, capi di imputazione quanto meno morali”.

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Appello dei sindacati palestinesi ai sindacati internazionali per il sostegno alla lotta per la liberta’ e la giustizia del popolo palestinese

Riprendiamo dalla pagina FB del Si-Cobas e divulghiamo a nostra volta un appello lanciato dai sindacati palestinesi che chiamano sindacati e organizzazioni dei lavoratori nel mondo ad un’azione di sostegno attivo alla lotta del popolo palestinese – invitiamo compagni e simpatizzanti a far circolare il piu’ possibile quest’appello.

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ll SI Cobas fa proprio l’appello all’azione dei sindacati palestinesi, protagonisti la scorsa settimana del più grande sciopero generale degli ultimi decenni nei territori occupati.

In continuità con le iniziative e delle manifestazioni di sostegno a cui in questi giorni abbiamo preso parte con convinzione, e con la presa di posizione dei portuali SI Cobas di Napoli contro il transito delle armi da guerra israeliane sui porti italiani, esprimiamo il massimo sostegno all’iniziativa dei nostri fratelli di classe palestinesi, e invitiamo tutti i lavoratori a promuovere e/o partecipare alle iniziative che si terranno in questi giorni contro le aggressioni militari, i massacri a Gaza e la repressione operata da Israele con la complicità dell’imperialismo occidentale su tutto il territorio della Palestina storica.

Viva la lotta internazionalista in difesa del popolo e dei lavoratori palestinesi!

SI Cobas nazionale

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L’appello dei sindacati palestinesi

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U.S.A. La rivolta afro-americana, e non solo, scuote i lavoratori sindacalizzati

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Pubblichiamo tre materiali tratti da Labor Notes e Jacobin, che danno utili informazioni sulle forme di solidarietà con il grande movimento di protesta afro-americano e multicolore nato dopo l’uccisione di George Floyd, che si sono date nelle scorse settimane negli Stati Uniti da parte di lavoratrici e lavoratori iscritti ai sindacati.

In uno di questi testi si parla di un “sea change”, un radicale cambio di rotta avvenuto nella pubblica opinione (su Repubblica di oggi, 13 giugno, Jascha Mounk considera “strabiliante” che l’89% degli statunitensi ritenga giusto che il poliziotto che ha ucciso George Floyd sia accusato di omicidio – e strabiliante lo è davvero). Questo radicale cambio di rotta ha qualcosa a che vedere anche con l’attività anti-razzista svolta da singoli gruppi di lavoratori e di attivisti di base (“rank and file”), e da un piccolo numero di strutture sindacali locali, appartenenti quasi sempre ai settori dei trasporti e della scuola. Si tratta, ancora, di piccole minoranze attive che stanno tuttavia costringendo un certo numero di organismi sindacali di base, cittadini, a spingere i propri membri a prendere parte alle manifestazioni, mentre la struttura dirigente dell’AFL-CIO si guarda bene dal prendere una netta posizione a favore del movimento, al più limitandosi a qualche blanda dichiarazione verbale sulla necessità di “giustizia”. Del resto, non è un caso che le prime dimostrazioni abbiano preso di mira a Washington anche la sede del sindacato, incendiandola – può anche essere, come suggerisce Heideman su Jacobin, che i dimostranti non sapessero che era la sede del sindacato (noi ne dubitiamo); ma se anche l’avessero incendiata semplicemente perché era un palazzo lussuoso tra gli altri, la circostanza la direbbe lunga su come, perfino nelle sue sedi, l’AFL-CIO non appaia differente dalle sedi del mondo degli affari. Continua a leggere U.S.A. La rivolta afro-americana, e non solo, scuote i lavoratori sindacalizzati