Proseguiamo nel lavoro di documentazione delle posizioni dei compagni del Fronte dei lavoratori dell’Ucraina (m-l). Questo loro testo (del luglio scorso) tratta del processo di assoggettamento dell’economia ucraina alle oligarchie capitaliste dell’Occidente. I dati forniti sono interessanti, ma piuttosto limitati. Tanto per dirne una, sarebbe stato, e sarebbe, il caso di ragionare più a fondo sull’esplosione del debito pubblico estero dell’Ucraina dai 23.8 miliardi di dollari del dicembre 2003 (sotto il 20% del PIL, un livello mediamente molto basso) ai circa 125 miliardi di novembre-dicembre 2022 (intorno all’85% del PIL), con una crescita del 45% nel solo periodo febbraio-novembre 2022 per l’effetto congiunto delle spese per la guerra e dei “generosi” prestiti occidentali. Solo nel 2022 l’Ucraina ha dovuto pagare 7,3 miliardi di dollari di interessi! L’Ucraina, cioè i proletari e gli sfruttati dei campi dell’Ucraina. Si tratta di un processo di vera e propria latino-americanizzazione dell’Ucraina, caduta ormai nelle grinfie dei suoi creditori, le grandi potenze del capitale finanziario, che hanno l’impudenza di presentarsi come suoi tutori e liberatori – per la grandissima parte sono banche e hedge fund occidentali nonché le famigerate istituzioni multilaterali che rispondono ai nomi di Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca Europea per gli investimenti.
Ma la debolezza maggiore di questa analisi, e di analisi simili, non attiene tanto alla situazione attuale, quanto al passato: sta nel ritenere che con la dissoluzione dell’URSS si sia dissolto istantaneamente anche il preesistente “socialismo”, e sia venuta su d’improvviso, dal contesto di un paese socialista da ben 70 anni, una malefica genìa di profittatori privati pronti a privatizzare tutto dando prova, per giunta, di una sbalorditiva fame di arricchimento personale. Una rappresentazione delle cose ucraine (e russe) di un’estrema fragilità, che rassomiglia ad una favola per l’infanzia. I compagni del Fronte dei lavoratori dell’Ucraina non ce ne vogliano. Abbiamo apprezzato e diffuso le loro posizioni sulla guerra in corso che sono di impianto disfattista. Ma, nel quadro di un fraterno dialogo a distanza, li invitiamo a domandarsi se davvero la differenza tra capitalismo e socialismo stia tutta e solo nella proprietà privata o statale dei mezzi di produzione, se sia cioè una mera differenza di ordine giuridico, oppure se gli indicatori decisivi del trapasso dalla forma capitalista a quella socialista della produzione e riproduzione sociale siano invece altri: l’esistenza di valore, plusvalore, salario, merce, mercato, azienda con un proprio bilancio di attivo e passivo finalizzato alla redditività, cioè al profitto e all’accumulazione, come “categorie”, entità che segnano l’intero processo sociale.
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