Le elezioni del 4 marzo. Arsenico, vecchi merletti e nuove questioni

In un contesto internazionale, europeo e medio-orientale carico di tensioni e di incognite, effetto di una grande crisi irrisolta, l’Italia va verso l’ennesima giostra elettorale. Il “popolo sovrano” è stato convocato alle urne: ha facoltà di scegliere tra la bellezza di 75 simboli. Le elezioni democratiche non hanno mai detto bene ai lavoratori anche quando, rarissimamente, i loro partiti le hanno vinte, o non le hanno perse. Restano, tuttavia, un indicatore degli umori e degli orientamenti dei diversi strati e classi sociali, e della capacità delle forze politiche di determinarli, indirizzarli, interpretarli. Perciò è il caso di chiedersi se in vista del 4 marzo c’è qualcosa di nuovo sotto il sole. Dal nostro osservatorio tre sembrano le cose interessanti, anche se non sono nuove, o del tutto nuove. Una sola sarebbe sorprendente davvero, ma è al semplice stato di ipotesi …

Un forte astensionismo

La prima è un forte astensionismo, destinato forse a allargarsi. I sondaggi lo danno oltre il 30%, con punte del 45% (almeno) tra i 18-24enni. Non è però un semplice fatto generazionale. La tendenza a non votare è particolarmente accentuata tra gli operai (vedi l’inchiesta di Griseri a Mirafiori) e negli strati sociali più precari ed emarginati, come accade da decenni negli Stati Uniti e in tempi recenti in molti paesi europei. In un’intervista al quotidiano on line Popoff (8 novembre 2017), un operaio della Marcegaglia di Milano ha descritto in modo lucido come stanno le cose tra gli operai di fabbrica:

«C’è un abisso enorme tra la percezione dei lavoratori e delle lavoratrici e la politica in generale. Intanto spesso identificano la sinistra, o addirittura il comunismo, nel Partito democratico, ma fondamentalmente covano una rabbia che non riesce a trovare sbocco e prospettiva in nessuna proposta in campo. Molta di questa rabbia nell’urna trova sbocco nel ‘voto di protesta’ al movimento di Grillo, altrettanto spesso la croce finisce per supportare la xenofobia leghista o peggio. Almeno il 50% non vota più perché non crede più a nessuno. A causa delle politiche sindacali degli ultimi anni, della frammentazione profonda dei sindacati di base, è diventata una rarità tra gli operai la consapevolezza della lotta quale strumento di emancipazione sociale, e nonostante ciò sono decine, centinaia e forse migliaia le vertenze che scoppiano in aziende di tutta Italia. Vertenze che non hanno né eco né rappresentanza né organizzazione. Tutto questo produce rabbia e senso di frustrazione che spinge verso una radicalità che la cosiddetta “sinistra” né paventa né organizza, ma anzi spesso rifugge [trattandosi di un compagno di Rifondazione, sa quello che dice – n.n.]. È in questo modo che il razzismo e il fascismo riattecchiscono nel tessuto proletario del nostro paeseContinua a leggere Le elezioni del 4 marzo. Arsenico, vecchi merletti e nuove questioni

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Cremaschi domanda, il “Cuneo rosso” risponde

A seguito del nostro testo di una settimana fa “Cremaschi, i suoi 1.000 orologi e la truffa ‘sovranista’ di Eurostop”, abbiamo ricevuto da lui la seguente e-mail:

Cari compagni comunisti internazioalisti,

vi ringrazio per la cortesia di avermi inviato la vostra critica alle mie posizioni e a quelle di Eurostop, critica che mi era già stata fatta pervenire da alcuni compagni a cui giro questa mail. Alcune delle vostre considerazioni meriterebbero una risposta approfondita, però per procedere ad essa avrei bisogno di un chiarimento, onde non correre il rischio di travisare la vostra posizione. In sintesi, voi su Euro, UE, NATO siete per il SI, per il NO, o per astenervi dall’esprimere una scelta che considerate irrilevante? Siccome dal vostro testo questo non si capisce gradirei una risposta. Intanto vi ringrazio per l’interlocuzione e vi saluto.

Giorgio Cremaschi

***

Ecco la nostra replica.

Caro compagno Cremaschi,

non essendo tu alle prime armi, comprenderai facilmente che la tua domanda suona provocatoria alle nostre orecchie. In particolare è scontato che non abbiamo nulla da dire sul sì, il no o l’astensione sulla NATO: stavi scherzando, vero? O forse un problema c’è, ed è da porre non a noi, ma a voi di Eurostop: programmate per caso di uscire dalla NATO per via elettorale? In ogni caso, ti rispondiamo nel merito della vera questione su cui si è incentrata l’assemblea di Eurostop: l’uscita volontaria dall’UE e dall’euro come via obbligata per recuperare sovranità nazionale e ritornare alle politiche keynesiane e alla Costituzione.

Come saprai, non siete i primi in Europa a formulare questa proposta e indicare questa prospettiva da sinistra – per quel che riguarda la destra, invece, non se ne parla neppure perché, sebbene con differenti obiettivi, è proprio a destra che questa proposta è nata, ed è stata la destra di Farage e dei conservatori britannici a portarla per prima alla vittoria. Alle forze di sinistra che si sono mosse per prime e con più nettezza in questa direzione (pensiamo a settori di Izquierda Unida) abbiamo risposto nel n. 2 della rivista con un testo  che contiene un ragionamento più ampio di queste rapide note di risposta.

L’UE è, per noi, il punto di arrivo di un lungo e ampio processo commerciale, industriale, istituzionale, culturale e anche, per certi versi, popolare, iniziato negli anni ’50 del secolo scorso che ha avuto, e ha, per oggetto e scopo la costruzione di un polo imperialista autonomo, concorrenziale da un lato con gli Stati Uniti, dall’altro con i ‘giovani capitalismi’ emergenti. L’euro è la sua moneta. E ha dovuto essere partorita, ad un certo punto di questo processo ‘unitario’, per porsi all’altezza delle sfide del capitalismo globalizzato, e limitare lo strapotere del dollaro nelle transazioni internazionali, rafforzando nel contempo l’Europa anche nel Sud del mondo (contro gli sfruttati del Sud del mondo). La sua funzione, quindi, è triplice: anti-americana, anti-Sud del mondo, anti-proletaria. Continua a leggere Cremaschi domanda, il “Cuneo rosso” risponde

Cremaschi, i suoi 1.000 orologi e la truffa “sovranista” di Eurostop

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L’assemblea di Eurostop tenutasi a Roma il 28 gennaio scorso merita due note di commento. Nulla che passerà alla storia, intendiamoci. È solo cronaca. Cronaca di una delle tante forme, in Europa, di accodamento delle sinistre alla tematica, imposta dalle destre iper-nazionaliste, dell’uscita dall’euro e dall’UE come (falsa) via maestra per risolvere i gravi problemi sociali creati dalla crisi del sistema capitalistico. Le tesi presentate a Casalbruciato erano già state presentate nelle precedenti iniziative di Eurostop. Però un paio di cose almeno in parte nuove, ci sono state. Anzitutto l’estrema nettezza con cui è emerso il messaggio politico effettivo di Eurostop, soprattutto grazie all’ospite d’onore del consesso, il magistrato Paolo Maddalena. E poi la violenza verbale, il sarcasmo con cui il mite Cremaschi si è ritenuto in dovere di attaccare ogni prospettiva di lotta che sia fondata su basi di classe, quindi internazionaliste, anziché, com’è l’Ital-exit, su basi democratiche e popolari, e quindi nazionali e nazionaliste.

Il documento preparatorio dell’assemblea e l’intervento introduttivo di Cremaschi hanno come loro termine-chiave la rottura. Rottura con che cosa? Con l’euro e l’UE – la Nato, sebbene nominata, è rimasta molto sullo sfondo; si è parlato ben poco delle guerre Nato, e meno ancora del militarismo e dell’imperialismo italiano. Rottura con “la globalizzazione liberista”: è questo il nemico dal cui dominio affrancarsi, in un processo di “liberazione dal capitalismo liberista”. Per quale obiettivo? Riaffermare “la sovranità democratica e popolare del nostro paese“. Si tratta, perciò, quanto al nemico, di un nemico essenzialmente esterno all’Italia. Altrimenti che senso avrebbe parlare di recupero di sovranità? E, quanto al movimento politico da mettere in campo, si tratta di un movimento che punta al “cambiamento progressista”. Un progresso che è costituito curiosamente da un ritorno all’indietro. Infatti la rottura proposta da Cremaschi “è riconquista di democrazia, potere popolare, eguaglianza sociale”. Naturalmente anche il socialismo è evocato, è d’obbligo in simili discorsi; non guasta, come lo zucchero a velo sul pandoro (a chi piace). È evocato, in coda, anche il conflitto di classe, che deve portare energia al progetto “sovranista” di sinistra: costituirne cioè la manovalanza. Ciò non toglie che esso si presenti con margini di ambiguità tali da poter coinvolgere, forse, anche settori di lavoratori e di giovani disposti realmente a lottare. È questo il solo motivo per cui ce ne occupiamo. Continua a leggere Cremaschi, i suoi 1.000 orologi e la truffa “sovranista” di Eurostop

Contro il nazionalismo “operaio”

civic-nationalism

Qui sotto pubblichiamo una giusta critica di Aldo Milani all’articolo di ‘Contropiano’ Come i crimini economici della Fiat danneggiano il paese. Il giornale della Rete dei comunisti esprime in quest’articolo di Porcari posizioni purtroppo diffuse nella galassia radicale e comunista. Come abbiamo cercato di evidenziare nel n. 2 del Cuneo rosso a proposito della questione dell’uscita dall’euro, queste posizioni, di chiaro segno nazionalista, distorcono la realta’ e soprattutto prospettano ai lavoratori una via che e’ veramente suicida.

La redazione del Cuneo rosso

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Articolo in risposta a Contropiano
Ieri, sul sito del giornale della Rete dei comunisti è comparso un articolo dal seguente titolo: “Come i crimini economici della Fiat danneggiano il paese”. Inizia così: “Le scelte di Marchionne producono danni all’economia e al sistema industriale del nostro paese“. L’occasione è l’ultima visita di Renzi a Cassino con il suo degno compare Marchionne. Di cui l’articolo denuncia i crimini antinazionali: l’aver portato le sedi fiscali e legali all’estero, il trasferimento in atto della progettazione a Detroit, la chiusura dell’Irisbus e della Menarini, “patrimonio industriale del paese”, per cui l’Italia dovrà ora comprare all’estero i 23.000 nuovi autobus promessi dall’accoppiata Renzi&Del Rio. Il testo si conclude con l’ipotesi di un processo a Marchionne e ai suoi amici ministri condotto dagli operai Irisbus e, insieme con loro, da “tutto il resto del paese“.

Che Marchionne e la Fiat-FCA siano stati negli ultimi dieci anni la punta di lancia dell’aggressione padronale alla classe operaia e alla massa dei lavoratori salariati, è noto. E noi rivendichiamo con orgoglio di essere stati tra quelli che, oltre a denunciarlo, hanno cercato di contrastarne in concreto la marcia dal punto di vista degli interessi operaidi classe. Qui, però, l’imputazione è un’altra, molto differente. Qui ad accusare Marchionne è “il paese”, il “nostro paese”, l’Italia, tutte le classi unite (“tutto il resto del paese”). L’accusa è di avere leso gli interessi nazionali, dello stato nazionale. Per il redattore di Contropiano le due cose, l’accusa degli operai e l’accusa della nazione-Italia, in sostanza coincidono. Continua a leggere Contro il nazionalismo “operaio”