I grandi trafficanti di schiavi

Riceviamo e volentieri giriamo questa forte denuncia contro i grandi mercanti di schiavi di ieri e di oggi, le cui (finte) lacrime sono già asciutte e le cui energie sono concentrate nel rafforzamento dell’operazione Triton, un’operazione di polizia che ha fatto e farà ulteriormente aumentare i rischi di chi tenta di sfuggire da fame, guerra e spoliazione economica.

Se la denuncia delle vere prime responsabilità di questa catena di massacri è il nostro compito fondamentale, dobbiamo anche chiederci cosa rende necessario e possibile tanto accanimento.

Lo rende necessario, oltre il bisogno di avere sempre a disposizione braccia a costo zero, l’insorgenza delle masse arabe che si è propagata negli ultimi anni in Tunisia, in Egitto, in Bahrein, nello Yemen, in Siria e negli altri paesi arabi: ormai non sono più solo i palestinesi a lottare e a resistere ai diktat del nuovo ordine mondiale. Lo rende possibile la repressione feroce di questa insorgenza fatta ad opera dei governi di quei paesi, con ogni mezzo: dalle carcerazioni di massa alla distruzione sistematica di intere città, all’esodo forzato di milioni di profughi, come in Siria. Chi arriva in Europa deve perdere, ai suoi confini, la vita, o almeno la dignità, deve arrivare da schiavo. E’ anche questo l’obiettivo della guerra di classe e del terrorismo di stato scatenati, con ogni tipo di pretesto, dai poteri forti europei contro i popoli dell’Africa, del Medio oriente e dell’intero mondo “islamico”.

L’Europa, quella di destra e quella di “sinistra”, applaude a chi fa il lavoro sporco e leva le castagne dal fuoco e presenta l’affondamento di qualche barcone sulle coste libiche come la “soluzione finale” del problema – proprio mentre predispone il più grande respingimento di massa della storia recente.

Ma questa vergognosa ipocrisia si fa strada anche perché noi, lavoratori e lavoratrici italiani (ed europei), siamo tutt’ora convinti di non essere affatto sulla stessa barca degli immigrati e dei profughi. Perché accettiamo con passività e indifferenza quella potente arma di classe nelle mani dei padroni che è il razzismo. Perché siamo convinti, tutt’ora, che la grandinata di attacchi e l’impoverimento che ci lambisce siano cose temporanee; noi che fino a ieri eravamo sgraditi nei locali svizzeri assieme ai cani, siamo arciconvinti che “a noi” non capiterà più.

E’ da qui che dobbiamo risalire la china per mettere in campo l’unica decisiva forza che può mettere fine alle stragi quotidiane: la lotta della classe degli sfruttati di tutte le “razze” e di tutti i colori al capitale globale. Vedere, riconoscere che pur nella diversità delle condizioni, noi proletari siamo accomunati da un unico destino, da un’unica prospettiva di liberazione. Rifiutare la complicità con il governo Renzi e le istituzioni europee. Essere consapevoli della nostra immensa forza potenziale e trasformarla in forza reale: quella forza di cui le istituzioni europee hanno paura. Unirci e imporre con la lotta la fine delle guerre, delle stragi di chi tenta di sfuggirvi, del supersfruttamento e dell’oppressione degli immigrati e nostro. Altro che settant’anni di pace!

23 Aprile 2015
La redazione de “il cuneo rosso”
com.internazionalista@gmail.com

Sono immonde, veramente immonde, le lacrime di Renzi, Merkel e altri loro compari europei per le migliaia di annegati nel Mediterraneo, come se non fossero impegnati quotidianamente nel fare a pezzi l’Africa, succhiando come dei vampiri tutto ciò che scorre nelle sue vene; come se non fossero loro i principali mandanti ed esecutori delle guerre in corso in ogni angolo del globo; come se non fossero loro ad aver ordinato, negli anni della “permanente guerra al terrore”, l’assassinio di quasi due milioni di innocenti tra Iraq, Afghanistan, Medio Oriente e Nord Africa, alternando bombe da aereo e eccidi da droni. In Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia non sono stati gli italiani a stuprare e fare razzie per quasi un secolo? Siad Barre, Ben Ali e Mubarak, ieri, e i militari egiziani ed etiopi, oggi, non sono nostri soci in affari? La Nigeria non è messa in ginocchio dalle grandi multinazionali del petrolio? Non sono italiane, inglesi, francesi e statunitensi le bombe (con e senza uranio impoverito) sganciate negli ultimi quattro anni in Libia? Congo, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana, Sierra Leone, Sudan e altri paesi non sono ridotti alla fame dai “piani strutturali di aggiustamento” e dai “memorandum” del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Banca centrale europea e dei governi occidentali, per non parlare di chi ruba il loro oro, argento, rame, cobalto e coltan?

Le loro lacrime sono sputi sulle nostre facce. Le loro urla contro i “trafficanti degli immigrati” puntano a distogliere il nostro sguardo, a confonderlo, come nel gioco delle tre carte, come se non fossero loro, da secoli, gli organizzatori e i beneficiari del traffico mondiale di schiavi; come se non fossero loro a rendere necessari i “passeur” e le malmesse carrette del Mediterraneo. Come in una partita di caccia, battono forte i tamburi, suonano i loro corni, cercano e trovano le menzogne più efficaci per coprire le loro mostruosità, le loro stragi quotidiane. E stilano – da Bruxelles e da Roma – nuovi elenchi di misure poliziesche: altre navi militari nel Mediterraneo, altre impronte digitali, da prelevare a chi tenta di sfuggire ai loro massacri, perpetrati con bombe, droni e misure di impoverimento di massa (ovvero l’austerity); altri campi di detenzione sparsi ovunque, in Europa come in Africa (Renzi chiede oggi la costruzione di nuovi campi di concentramento in Nord Africa, Sudan e Niger) e, infine, la riduzione in schiavitù nelle campagne così come nelle fabbriche, con l’attivo sostegno degli stati attraverso il ricatto del permesso di soggiorno legato al padrone.

Le loro lacrime e le loro urla servono anche per non farci vedere che in quei barconi ci siamo anche noi, spalla a spalla, gomito a gomito, lavoratori neri e bianchi. Perché ci vogliono in guerra gli uni contro gli altri per le poche briciole che cadono dalle montagne di ricchezza che produciamo col nostro sudore e col nostro sangue. Ci vogliono in guerra, come burattini, per i loro massacri per i profitti. Sono loro i colpevoli, i governi e le finte opposizioni, con i loro razzismo feroce e le loro prese per i fondelli dei “corridoi umanitari”, affinché continuino indisturbati a selezionare, a passare al setaccio, a decidere chi muore e chi vive tra gli sfruttati del mondo. E sono colpevoli anche coloro che ci vogliono convincere che il riscatto arriverà, ma sarà nel regno dei cieli.

Noi il riscatto lo vogliamo qui. E lo cercheremo anche in nome dei nostri fratelli e sorelle uccisi nel Mediterraneo. Perché non c’è differenza tra chi muore emigrando, chi nel posto di lavoro, chi venendo sfruttato, chi scappando da uno sfruttamento ancor più disumano.

Il nostro nemico è il capitale, e i governi-suoi burattini.

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